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Mirko Zilahy ha conseguito un Phd presso il Trinity College di Dublino, dove ha insegnato lingua e letteratura italiana. Collabora con il Corriere della Sera ed è stato editor per minimum fax, nonché traduttore letterario dall’inglese (ha tradotto, tra gli altri, il premio Pulitzer 2014 Il cardellino di Donna Tartt). È così che si uccide, il romanzo con cui ha esordito nel 2016 facendo conoscere ai lettori il personaggio di Enrico Mancini, è stato un grande successo di pubblico e di critica ed è uscito nei principali Paesi esteri, fra cui Germania, Spagna e Francia.
Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo romanzo “Così crudele è la fine” (Longanesi, 2018) e ci siamo fatti raccontare molte cose interessanti su di lui e sul personaggio che ha creato.
1.Com’è nato il personaggio del commissario Enrico Mancini?
MZ: È nato da uno scarabocchio su un’agendina: un volto e un paio di guanti di pelle. I guanti erano quelli di Tony Curtis in Attenti a quei due. Piano piano gli ho costruito una storia attorno. Potente e dolorosa. La mia.
2. Hai subito pensato ad una trilogia o in seguito al primo sono venuti anche i successivi?
MZ: subito tre libri, tre temi, tre spettri, tre… cantiche. Avevo l’idea precisa di raccontare la caduta, la trasformazione e la rinascita di Enrico Mancini. Di mettere in scena tre facce della mia Roma e tre temi che mi stanno a cuore: la giustizia, il rapporto con la realtà e l’identità. Tre concetti (tre certezze) con cui abbiamo a che fare ogni giorno e che i tre assassini seriali di È coì che si uccide, La forma del buio e Così crudele è la fine, prendono letteralmente a spallate.
3. Nel primo libro “È così che si uccide” qual è il tema principale e cosa si trova ad affrontare il commissario?
MZ: Il tema è la giustizia e Mancini si trova alle prese con un killer che costruisce i suoi delitti seguendo un senso di giustizia del tutto dissimile da quello che anima il commissario. Nonostante ciò i due hanno qualcosa che li accomuna, che li rende a loro modo simili. Che li rende ciascuno preda e cacciatore dell’altro.
4. Nel secondo libro, invece “La forma del Buio”, che forma prende il male che minaccia la città di Roma?
MZ: La realtà è il tema del romanzo. Meglio: il rapporto che abbiamo con quella che chiamiamo realtà. Esiste una realtà oggettiva o è la nostra psiche che la ricrea ogni momento rendendola leggibile? L’assassino seriale de La forma del buio, la stampa lo ha ribattezzato lo Scultore, uccide le sue vittime e le mette in posa, le scolpisce, utilizzando il rigor mortis, come se fossero mostri mitologici. La Medusa, il Minotauro e tanti altri vengono ritrovati nei parchi e nei musei di Roma, che diventa il palcoscenico perfetto per le opere in carne ed ossa dello Scultore.
5. In questo terzo volume “ Così crudele è la fine”, il commissario Mancini si trova sulle tracce di un serial killer che cerca di cancellare l’identità delle sue vittime. Perché?
MZ: Il tema è l’identità, il terzo spettro, quella che crediamo di avere, di possedere, quella che ci definisce e che riconosciamo come tale, ma anche quella fluttuante e coperta di sovrastrutture che ci raccontiamo. L’assassino di questo romanzo ha un modus operandi peculiare, mutila le sue vittime sottraendo loro qualcosa che in un certo senso le “rappresenta” e li lascia agonizzanti in luoghi sconosciuti della Roma monumentale. Chiusi, al buio, abbandonati a un ultimo confronto con se stessi.
6. In questo romanzo c’è una parte fondamentale dedicata alla parte sotterranea e archeologica della città di Roma. Come ti sei documentato?
MZ: Studiando le pieghe più profonde della mia città, gli strati ed i livelli, documentandomi alla Biblioteca Nazionale su luoghi e leggende come quella del Campo Scellerato e della Città dell’acqua, ma solo alla fine, facendo visita ai siti che sono diventati le scene del crimine di Così crudele è la fine.
7. Tra le altre cose, in questo libro si parla del passato, del tempo, di come questo non ci venga restituito. Ce ne puoi parlare?
MZ: Non è il tempo che non ci viene restituito, è la memoria delle cose che le cambia e cambia noi. Ci rapportiamo con la storia di noi stessi, la nostra biografia, quella che raccontiamo in giro per inverarla, attraverso una memoria di fatti, cose, eventi che vogliamo speciali, o “notevoli”. Il passato non ci appartiene, anche se siamo convinti sia così perché ce lo raccontiamo continuamente, lo riempiamo di toni, colori, significati. Solo il presente ci appartiene ma è difficile raccontarlo perché siamo occupati a usarlo, viverlo.
8. Altro tema fondamentale, insieme all’identità, è quello della casa che diventa un luogo dove ritrovarsi, dove riconoscersi. Come ci descriveresti la tua casa volendo raccontarci qualcosa di te?
MZ: la casa è la cosa più vicina che c’è all’io. Quando sogniamo case sogniamo noi stessi, le stanze in cui ci sentiamo divisi, rappresentati. Ma la casa è anche l’angolo di mondo che ci siamo costruiti e in cui ci acquattiamo per escludere il resto del mondo, appunto, dalle nostre esistenze. Per tirare il fiato. Ecco, per me la mia casa è una tana, all’interno della quale si parla una lingua diversa, ci si capisce e si discute, si vive un’esistenza interna, diversa da quella che il mondo fuori considera vera, reale. Ma che è l’unica che conti e che mi dica chi sono, a proposito di identità.
9. Con i tuoi personaggi riesco a stabilire una forte empatia. Anche con quelli negativi. A cosa attribuisci questa tua qualità? Come riesci a creare questo legame?
MZ: i miei serial killer sono perturbanti, della società, della nostra cultura, minano le nostre sicurezze, che sono effimere e legate a concetti (identità, realtà, giustizia) che diamo per scontati ma che non lo sono affatto. Il fatto che riescano a farci ragionare sui temi che portano in dote come demoni, e che mettano in dubbio ogni nostra certezza me li fa cari. Perché il Male abita una delle stanze dell’animo umano che abbiamo chiuso. E a volte trova la chiave. Ma il Male è umano, è dentro di noi. Dobbiamo stare attenti a non dimenticarci la chiave dalla parte sbagliata della porta. La chiave è la scintilla per riesumare il Male connaturato nell’essere umano. E rovesciando la prospettiva, anche gli assassini più feroci hanno una forte componente umane che non ce li fa “alieni” come vorremmo.
10. Che funzione attribuisci alle parti scritte in corsivo all’interno dei tuoi romanzi?
MZ: i miei corsivi sono il punto in cui si incontra il thriller classico, la violenza e il ritmo, con la letteratura considerata più lirica e stilisticamente alta. Sono i capitoli dedicati allo sguardo del serial killer, in cui il lettore si trova in scena al fianco dell’assassino e non può in alcun modo tirarsi indietro. Sono racconti lirici ed evocativi, costruiti con una lingua ricca e barocca che si trova agli antipodi rispetto alla morte e alla violenza che racconta. E l’effetto è devastante.
11. Nonostante questa trilogia possa dirsi conclusa, noi non perdiamo la speranza di ritrovare prossimamente il commissario Mancini. Intanto quali sono i tuoi progetti futuri?
MZ: La trilogia degli spettri è conclusa ma Mancini presto mi seguirà nella sceneggiatura per una serie tv. Per i miei lettori invece posso solamente dire che sto scrivendo e che il mio prossimo romanzo sarà un progetto nuovo a cui sono molto legato.
Intervista a cura di Federica Politi