Léo Malet – Nestor Burma e la bambola in blogtour

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Prima tappa oggi del blogtour del romanzo di Léo Malet, in uscita il 27 giugno 2019, per Fazi Editore, intitolato Nestor Burma e la bambola in blogtour e partiamo con la presentazione e l’estratto.
Le prossime tappe saranno su Milanonera, Penna d’oro, BooksHuntersThrillernord .

“Per qualche interminabile secondo, l’assassino conservò la sua tragica immobilità.
Poi si animò, rinfoderò l’arma, si avvicinò alla vittima e, senza togliersi i guanti, l’afferrò per il bavero della giacca da camera con i disegni e fece cadere il cadavere sul pavimento. Lo guardò un istante, forse con soddisfazione, poi a tutta velocità gli rifilò un bel colpo di chiavistello in testa. Sembrava che non gli piacesse granché.
Accortosi che, con quello che era successo, il foglio di carta che l’ex medico stava scrivendo al suo arrivo era volato a terra, l’assassino lo afferrò, gli diede una lunga occhiata e lo mise in tasca. Poi si chinò sul corpo.
Non vedevo bene cosa facesse, perché me lo impediva la scrivania, ma immagino che lo stesse perquisendo perché, quando si rialzò, aveva in mano delle banconote. Anche quel denaro sparì al volo nella tasca dell’impermeabile bisunto.
Con metodo e senza fretta, prendendo le precauzioni del caso, il tizio si mise allora a ficcare il naso in giro. Innanzitutto, e per suo maggior agio, aveva cercato l’interruttore e riacceso il lampadario. Siccome nel frattempo si era di nuovo abbassato sugli occhi il cappello, non lo vidi perfettamente in faccia, ma quel poco mi bastò.
Roba da far vergognare Jean-Claude Romer, che allo Studio de l’Etoile organizza festival di film dell’orrore con i vari Nosferatu, Frankenstein e altri mostri di chiara fama. Il tizio che avevo l’onore di spiare, in quella notte convulsa, batteva tutti i record di bruttezza. Aveva la faccia rovinata, come mangiata da un acido; era davvero orrido! Sembrava che portasse una maschera!
Tornai a esaminare i suoi gesti: aprì la cassaforte dalla quale Mauffat aveva preso il denaro che in quel momento era in mio possesso e afferrò un po’ di mazzette. Benedetto Mauffat! Sembrava proprio non fidarsi delle banche! Cosa se ne faceva di tutto quel contante in casa? Cioè…
Frankenstein impilò le mazzette di banconote in un angolo della scrivania con l’intenzione di appropriarsi del malloppo. Poi sembrò cambiare improvvisamente idea. Lo divise in due parti quasi uguali, ne intascò una e rimise l’altra nella cassaforte. Restò per un po’ indeciso lì davanti.
Sembrava che provasse i sintomi di un imminente starnuto o che annusasse l’aria, pari pari a un segugio. Capito! Faceva come me poco prima. Sentiva quel forte odore di benzina.
Rimise la mano nella cassaforte e tirò fuori una bottiglia. La guardò con aria sorpresa, l’aprì, avvicinò il naso e fece una smorfia, peggiorando le sue fattezze. Rimise il tappo alla bottiglia, la ripose dove l’aveva trovata, guardò il cadavere e fece un gesto espressivo con la mano, all’altezza del cappello, a dire che riteneva la sua vittima un pazzo.
Con quella muta e particolare orazione funebre, chiuse la cassaforte e se ne andò come era arrivato, lasciando accesa la luce e facendo così salire la bolletta.
Io rimasi immobile sul mio balcone, attento a non produrre il minimo rumore che potesse tradire la mia presenza, anche perché il tizio sembrava tutto fuorché una frequentazione raccomandabile.
Volevo lasciargli il tempo di andarsene. Poi avrei deciso.
Avevo tenuto d’occhio lo spiraglio della tenda. Non perché speravo che Mauffat si risvegliasse, ma per sorvegliare il locale mortuario. Fu così che vidi l’assassino tornare sul luogo del delitto, come si suol dire.
Non era più solo. Trascinava Paul Dobel, lo teneva da sotto le ascelle tirando ancora più su le maniche già corte della giacca da domestico indossata dalla penosa guardia del corpo. Paulot si muoveva quanto una sardina in scatola. Come Mauffat aveva ricevuto la propria dose. Il primo sparo che avevo sentito era stato per lui, nessun dubbio.
Frankenstein mollò Paulot in un angolo della stanza. Lo lasciò lì, appoggiato al muro, con le braccia penzoloni, la testa piegata sulla spalla. Poi, senza fretta, rovesciò una poltrona e sparse sul pavimento di legno qualche foglio preso dalla scrivania, organizzò cioè un po’ di disordine sul campo di battaglia.
Aprì un cassetto, poi un altro, trovò finalmente un revolver di cui esaminò il funzionamento. Fatto questo, sistemò il corpo di Paulot come se volesse fotografarlo sotto l’angolazione migliore e gli sparò due pallottole nella carne morta.
Tutto questo fece un po’ di rumore, ma il tizio se ne fregava. Era uno che andava dritto per la sua strada, senza preoccuparsi delle contingenze.
Poiché la pistola che aveva appena usato contro Paulot apparteneva a Mauffat, la mise in mano a quest’ultimo.
E dopo aver tolto il silenziatore, fece dono a Paulot della sua pistola, prima accuratamente ripulita e sul calcio della quale premette le dita del finto cameriere ammazzato.
A quel punto, dopo aver dato un’occhiata intorno per accertarsi che fosse tutto a posto, si eclissò. Sembrava soddisfatto di sé.
Questa volta non era una finta uscita di scena.
Un quarto d’ora dopo non era ancora tornato.
Mi concessi un margine supplementare di dieci minuti e mi misi in azione.”

Qui gli argomenti delle prossime tappe del blogtour: