Intervista a Patrick Fogli

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Patrick Fogli è nato a Bologna nel 1971. Laureato in ingegneria elettronica, vive sull’Appennino reggiano. Tiene, quando ha qualcosa da dire, un blog e si fa un punto di rispondere a chiunque gli scriva. Ha pubblicato i romanzi Lentamente prima di morire (Piemme, 2006), L’ultima estate di innocenza (Piemme, 2007), Il tempo infranto (Piemme, 2008), Dovrei essere fumo (Piemme, 2014), Io sono Alfa (Frassinelli, 2015), e A chi appartiene la notte (Baldini + Castoldi, 2018), che gli è valso il premio Scerbanenco.
E’ uscito ora il thriller intitolato Il signore delle maschere (Mondadori) e noi abbiamo voluto domandargli qualcosa di più su questo romanzo che dovete assolutamente leggere.

1. Benvenuto su Contorni di noir, Patrick. Qual è stata la scintilla per questo tuo nuovo romanzo?
P.: È un piacere essere qui. La scintilla è stata di sicuro la storia. I due personaggi principali, prima Caronte e poi Laura. Quello che fanno, il legame che c’è fra di loro. E come conseguenza il ragionamento su cui è incentrato tutto il romanzo: l’identità. Chi siamo? Cosa fa di ognuno di noi quello che è? Cosa è apparenza e cosa sostanza? Fin dove arrivano le maschere e fin dove le maschere sono in effetti quello che siamo?

2. Hai eletto a protagonista del tuo romanzo una specie di serial killer anomalo che parrebbe rimandare anche a eroi negativi quali Arsene Lupin e magari volti noti del fumetto quali Diabolik e altri più attuali avidi, prevaricatori e menefreghisti, per non parlare dei celebri e implacabili banditi del passato, delle più recenti saghe del padrino ecc, ecc ma privo di identità e con un lato abbastanza intrigante in grado di suscitare nel lettore un involontario istinto di comprensione. Come descriveresti il tuo protagonista?
P.: Se lo chiedessi a lui, Caronte ti direbbe che è un terrorista etico. Non è un serial killer, non desidera uccidere qualcuno per il gusto di farlo, per una rappresentazione che deve inscenare o per soddisfare un bisogno psicologico, ha uno scopo da ottenere.
Nella sua battaglia, etica dal suo punto di vista, ma non di certo nel senso reale del termine, per fare il bene degli ultimi occorre spazzare via i primi. In senso letterale. Credo che lo chiamerebbe riscatto sociale.

3. Come nasce Caronte?
P.: Come prima cosa dalla fascinazione molto consueta fra chi scrive per l’uomo senza volto. Tu hai citato Arsène Lupin, a me vengono in mente Fantomas, le maschere di Mission Impossibile, l’idea letteraria e spaventosa che la persona che ti cammina a fianco potrebbe essere chiunque. Caronte nasce da qui. Fa paura quello che non vedi, la tradizionale forma sotto il lenzuolo e Caronte è proprio questo. Una forma che riempie con quello che gli fa comodo.
Poi c’è l’idea, che mi interessava molto, di raccontare la genesi di una personalità come questa. Da dove viene il Male? Cosa lo ha creato? Caronte è il personaggio di una tragedia, il protagonista del dramma della sua vita. In fondo è un sentimentale, nel senso letterale del termine, vive per i suoi sentimenti. E usa una forma soltanto razionale per ottenere lo scopo che li realizza. Può essere nero o bianco, può comprendere la crudeltà di quello che fa, ma non ritrarsi. Amare e distruggere quello che ama.

4. Ritieni che il cieco e fatale orrore delle sue azioni guidate dalla sua distorta e personale visione della giustizia possa avere una qualunque giustificazione psicologica eticamente accettabile oppure lo hai volutamente ideato come un crudele dominatore, quali erano i signori: imperatori, papi, sovrani, principi dei passati secoli?
P.: Lui la vede di sicuro, una giustificazione. In fondo, ridotto ai minimi termini, è un rivoluzionario. Uno che cerca un bypass che la Storia non gli concede e forse non gli può concedere, figlio e vittima a sua volta – per quello che si può dire – della Storia. Non è un dominatore crudele. Un imperatore o un papa non sacrifica, se non in minima parte, la sua intera esistenza a un fine. Caronte lo ha fatto, al punto di non esistere mai o quasi mai in quanto se stesso. È la giustizia, il punto finale. Distorta o personale che sia.

5. Il signore delle maschere, titolo che ci fa pensare al teatro, alle tante diverse interpretazioni degli attori che si susseguono sul palcoscenico e Caronte, l’uomo dai cento volti e dalle cento identità, è il maestro del travestimento, dell’ambiguità, della doppiezza. Un attore che ha volutamente scelto di interpretare solo la tragedia. Perché?
P.: Perché è l’unico copione che sente di poter recitare. Non ha altri registri. È un attore, in fondo e la sua esistenza è la parte che recita, fino al punto in cui il sipario si dovrà chiudere. Eppure, all’interno di quel limite, ha spazio per molte cose. Il divertimento con cui costruisce i suoi alias, tutti nomi che hanno un significato. O il sentimento che coltiva per alcune delle persone che incontra. L’amore, addirittura.

6. Che cosa vuole veramente? Qual è il suo scopo finale?
P.: Chiudere il cerchio con la sua stessa vita. Affermare chi è, senza esitazione. Senza maschere. Un percorso che ha iniziato da bambino e che è il vero motivo per cui è diventato Caronte. Il terrore che genera, in fondo, è un modo per vendicare quello che gli è accaduto, che il lettore scoprirà nelle ultime pagine del romanzo.

7. Laura/Arianna è la seconda protagonista d’eccezione de Il signore delle maschere. Professoressa emerita, solitaria, madre, amica devota, impagabile ma anche… Cosa ha portato Laura a scegliere la sua strada?
P.: Credo che il problema di Laura sia di non aver mai scelto niente. Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai, diceva De André. Laura è molte persone diverse. Forse, a differenza di Caronte, tutte compiute all’interno del loro spazio, ma lei non le ha mai saldate in una personalità sola, le ha semplicemente lasciate allo stato brado, padrone del loro recinto e quasi in competizione.

8. Laura, come Caronte, nasconde una esistenza parallela con la convinzione di aver fatto per tanti anni qualcosa di importante, di utile per gli altri, aiutandoli a crearsi una seconda chance di vita. Nuove e diverse rinascite, che molti hanno cercato, tutte intessute dallo specchio della fantasia della sua scrittura. Ma qual è mai la spinta a cambiare identità e vita?
P.: Credo che chiunque di noi, anche solo per un istante, abbia desiderato una vita diversa. È quell’istinto di fuga che teniamo a bada perché la vita non funziona così. Chi si affida a Laura, invece, non può più tenere a bada la sensazione di essere nel posto sbagliato, tondo in una scatola quadrata. Il cambiamento che cercano è più una rinascita e in fondo le storie di Laura sono la levatrice. Però la questione, come scoprirà proprio Laura, è più complessa. Cambiare semplicemente vita è sufficiente o bisogna cambiare noi stessi, quello che siamo?

9. I media, la televisione e i social sbattono giorno dopo giorno davanti agli occhi assuefatti degli spettatori o dei lettori l’insondabile dilagare del terrorismo. Ormai viviamo immersi in una perenne nebbiosa atmosfera che volutamente trasuda paura di qualcosa che non sappiamo individuare. Questo è un romanzo che dà corpo a quella paura. Allora Caronte, con il suo inestinguibile odio e la sua volontà di terrorismo, potrebbe essere anche considerato un’ambigua metafora generata dalla paura?
P.: Assolutamente. Cosa fa più paura di quello che non conosci, che non vedi, di cui non cogli forma o sostanza? Il terrorismo con cui abbiamo fatto i conti in questi anni ti colpisce non per qualcosa che rappresenti, ma soltanto per il fatto che esisti. Ovunque. In qualunque momento. Caronte, in fondo, è meno generalista.

10. Non concedi spazio di manovra ai tuoi personaggi, anzi, li travolgi in un turbine di viaggi nel tempo, nei luoghi e nell’immaginario. Definiresti Il signore delle maschere oltre che thriller un romanzo d’avventura?
P.: Credo che ogni buon thriller dovrebbe esserlo. Accadono cose, lo fanno di continuo, gli scenari mutano e ogni volta sembrano chiari e ogni volta sono da ridiscutere. Un viaggio. Il signore delle maschere è un romanzo sulle storie e le storie ti portano da qualche parte. Almeno dovrebbero.

Grazie Patrick.
P.: Grazie a voi, è stato un piacere.

Intervista a cura di Patrizia Debicke