Jean Malaquais – La Città Senza Cielo

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Editore Cliquot / Collana Biblioteca n.7
Anno 2019
Genere Sci-fi
288 pagine – brossura e epub
Prefazione di Norman Mailer
Traduzione di Elisabetta Garieri


Nella immensa produzione letteraria attuale, messa a confronto con quanto veniva pubblicato anche soltanto trent’anni fa, mancano scrittori in grado di avere una visione del futuro. No, non parlo di fantascienza, ma parlo di una schiera di sensibili anime che siano in grado di figurarsi come sarà il domani. La sua società, la sua gente, i suoi costumi e tutto il resto. Forse perché il presente del secolo scorso stava stretto a molti, forse perché la diffusione d’informazioni era molto meno immediata ed esorbitante, e forse per un’altra lunga serie di se, sta di fatto che non erano infrequenti anime pensatrici in grado di prefigurarsi il domani. Magari era un modo per parlare del loro presente, per metterne in luce le follie o le derive totalitarie. In tutti i modi oggi non abbiamo scrittori che si possano assimilare ad un Orwell, Huxley (forse l’unico è Ray Bradbury, per la verità) o il presente Malaquais che grazie alle lungimiranze di Cliquot ritorna in stampa, in una nuova edizione, e ci mette di fronte ad uno scrittore suo malgrado, nato Wladimir Jan Pavel Malacki in Polonia, e morto nel 1998, che nel 1947 elabora questo racconto in cui il nostro presente è follemente reale.

Un uomo lotta con la città che lo inghiotte, una griglia di parallelepipedi sfalsati, blocchi di cemento di mille piani a cortina di un cielo troppo lontano per essere visto. Una serie di istituti nazionali dai nomi assurdi come “Bellezza ed estetica” o “Idiosincrasia applicata”, abitati da burocrati e funzionari pubblici, il tutto a perdita d’occhio. Il nostro protagonista, (che poco al termine del libro definiremo amico) Pierre Javelin è un rappresentante di lozioni anti-rughe che ci viene presentato nel momento culmine di quella che si tramuterà in una giornata che dirla complicata è dir poco, foriera poi di una serie di eventi che definire assurdi sarebbe il minimo. Innanzitutto, l’annuncio di un aumento che di per sé dovrebbe essere un qualcosa di bello, ma che nel nostro scatena una ridda di pensieri che lo spingono, bontà sua, a firmare in modo illeggibile il modulo dell’aumento. Una firma, sbagliata, malfatta, non la solita firma. Banalità. Quante firme tutte uguali siete in grado di fare? Bene, anzi: male. Arriva a casa e le chiavi che ha non corrispondono alla toppa. Nell’appartamento Pierre, al posto della sua amata Catherine, trova la sagoma grottesca di Mr. Bomba e Mrs. Kouka, due grandi russi che affermano di aver sempre vissuto lì. Chiamare Catherine e sentire la sua voce sparire pian piano dall’altro lato del telefono e non riuscire più a sentirla…Inizio della fine. Di ora in ora, di uffici amministrativi in ​​archivi inaccessibili, l’identità di Pierre Javelin viene cancellata dai registri. Intorno all’errore, la morsa si stringe. Il segno nero delle cancellazioni punteggia i capitoli come un timbro.

È impossibile fare una qualsivoglia richiesta e persino trovare un hotel perché in città tutti dovrebbero avere la propria casa: manca la carta X che non può essere ottenuta senza la carta Y consegnata sotto la copertina della carta Z, che viene solo consegnata grazie alla carta X (alzi la mano chi ha già visto questa scena in un qualsiasi ufficio amministrativo nostrano, ndr). Gli specchi sostituiscono i vetri degli sportelli spingendo la tragica farsa burocratica al suo parossismo: immaginatevi di spiegare il vostro caso da un ufficio all’altro di fronte al vostro stesso riflesso. Così le parole perdono il loro significato.

Inimmaginabile, allo stesso modo, per il nostro Pierre,  fare un discorso senza essere spiato. I telefoni invadono ogni stanza, i vicini guardano con il binocolo, la città non si spegne mai, nulla può essere segreto, tutto è sospetto, persino il silenzio. E soprattutto la scrittura. Ecco il vero problema. Ecco la vera stimma che lo condanna. La scrittura. Una lettera scritta, scritta usando illegalmente un calamaio, per scopi sovversivi, per scopi che non sono quelli dettati dalle regole folli della burocrazia, per lo scopo sovversivo di usare la parola in modo libero. La libertà. E’ sempre questo il motore che anima la tirannia, limitare la libertà, limitare il pensiero, la cultura. Allineare, assuefare, rendere tutto piatto e uguale, punire la diversità, la parola nuova, il sentimento.

Censura, sorveglianza, burocrazia alle stelle, distruzione dell’individualità. Ci sono molte affinità con 1984 di Orwell, ma fortunatamente c’è anche la rutilante follia di un Brazil (film di Terry Gilliam che vi consiglio di vedere), con il suo umorismo smarcante, le sue battute improvvide e quell’ottimismo che nulla riesce a scalfire dal nostro protagonista. Lui, colpevole di “lesa-città”, non si lascia manipolare ed integrare e per questo si cerca di disintegrarlo. Denuncia la pappetta abominevole servita dai mass media e trasmessa a tutti, sempre. La differenza, con altri racconti, è che non vi è nessun leader supremo o un leader politico, nessun governo: il corpo della città è composto da migliaia di piccoli corpi che le appartengono, ben sistemati nelle loro piccole scatole tristi, ma in perfetta conformità alle regole. L’errore è emanciparsi e rifiutarsi di essere solo “tollerati”.

Michele Finelli


Lo scrittore:
Jean Malaquais (1908 – 1998), di origini polacche, si trasferì in Francia e imparò la lingua in cui avrebbe scritto le sue opere soltanto da adolescente. Nel 1935, dopo anni di impieghi modesti, conobbe e lavorò per André Gide che ne individuò il talento. Apolide, di origine ebraica e dalle idee marxiste, durante la Seconda guerra mondiale fu prigioniero nella Francia occupata. Scrisse poche opere prima di dedicarsi agli studi di filosofia: Les Javanais (I giavanesi, romanzo, 1939), Journal de guerre (diario, 1943), Coups de barre (racconti, 1944), Planète sans visa (Pianeta senza visto, romanzo, 1947), Le Gaffeur (La città senza cielo, romanzo, 1953). Fu anche traduttore verso il francese di Norman Mailer e Mircea Eliade.