Intervista a Gianrico Carofiglio

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Gianrico Carofiglio ha scritto racconti, romanzi, saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Ha creato il popolarissimo personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri. Per Einaudi ha scritto il racconto La doppia vita di Natalia Blum raccolto nell’antologia Crimini italiani (Stile libero 2008), Cocaina, con Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo (Stile libero 2013 e e Super ET 2014), Una mutevole verità (Stile libero 2014, Super ET 2016 E Super ET 2018, Premio Scerbanenco), La regola dell’equilibrio (Stile libero 2014, Super ET 2016 e Super ET 2018), Passeggeri notturni (Stile libero 2016 e Super ET 2017), L’estate fredda (Stile libero 2016 e Super ET 2018), Le tre del mattino (Stile libero 2017 e Super ET 2019), La versione di Fenoglio (Stile Libero 2019) e La misura del tempo (2019).
Nel 2016 è stato insignito del Premio Vittorio De Sica per la letteratura e del Premio speciale alla carriera della XVII edizione del premio letterario Castelfiorentino di Poesia e Narrativa.

Lo abbiamo incontrato in occasione del Noir in Festival 2019 e ci siamo fatti raccontare qualcosa del suo personaggio, Guido Guerrieri, e del suo ultimo libro.

1) Benvenuto, Gianrico. Come nasce “La misura del tempo”?
G.: Nasce attorno a un’idea che, come tutte le idee iniziali era molto molto embrionale. Avevo voglia di parlare del successo, del fallimento, di come talune persone che sembrano promettere alla vita straordinari successi – una parola che non amo molto – poi incontrino un destino diverso. Non necessariamente il clamoroso fallimento, ma a volte un’esistenza grigia, in totale contrasto con il fuoco d’artificio delle promesse di gioventù. Questa era proprio l’idea attorno a cui ruota poi la nascita di questo romanzo. Volevo parlarne con il personaggio di Guido Guerrieri. E’ venuto del tutto naturale a un certo punto che protagonista di questa storia di promesse mancate, di successo mancato, di fallimento esistenziale fosse una donna che lui aveva conosciuto quando erano molto giovani. Più grande di lui, comunque.
Una ragazza sfavillante non solo per la bellezza fisica ma per l’intelligenza, il temperamento eccentrico e il fatto soprattutto che sembrasse affacciarsi alla vita con straordinarie promesse. Voleva fare la scrittrice. Una giovane intellettuale brillantissima da cui Guido Guerrieri nell’epoca remota, nel passato in cui la incontra, la breve stagione di pochi mesi, ne è completamente affascinato. Questo incontro termina e questa donna ricompare ventisette anni dopo nello studio di Guido Guerrieri, piegata dalla vita. Molto diversa da quella che uno avrebbe potuto aspettarsi e arriva con una vicenda specifica, terribile. Cioè un figlio detenuto, già condannato in primo grado con l’accusa di omicidio volontario. Questo è l’incipit narrativo che poi si sviluppa su due piani: la storia al presente, il processo, l’avventura, lo scontro processuale, la suspence legata a questo scontro, la domanda che ovviamente troverà risposta soltanto alla fine, mi dicono con dei colpi di scena che son piaciuti ai lettori. Se l’imputato sarà innocente o colpevole, se sarà assolto o condannato è la storia che anch’essa contiene un enigma diverso, esistenziale del remoto passato di questo incontro con questa donna che era indecifrabile nel passato nel suo essere così scintillante e rimane in qualche modo indecifrabile nel presente per molte ragioni, alcune delle quali si scoprono davvero solo alla fine del libro.

2) Lorenza: l’ultima volta che si è vista con Guido è stato nell’87. Come hai pensato a questo personaggio quando l’hai creato la prima volta?
G.: Avevo voglia di parlare di questo contrasto fra promesse e risultati e poi i personaggi una volta che li hai dato il via con qualche spunto, se sono personaggi davvero capaci di occupare con autorità le pagine di un romanzo, prendono un po’ vita da soli. Non voglio dire con questo che vivano indipendentemente dall’autore. Questa è una cosa che spesso gli scrittori dicono quasi per darsi un’importanza e un tono esoterici, però lo sviluppo di un personaggio nasce dal lancio di alcune idee e poi dal fatto che tu lo lasci per qualche settimana o qualche mese crescere senza scrivere, ma pensandoci ogni tanto e dandogli qualche indirizzo. E’ nata così come quasi tutti gli altri miei personaggi.

3) “… smettere di fare quello che fai quando ti accorgi di aver esaurito la voglia di farlo, o le forze, o quando ti accorgi di avere raggiunto i confini del tuo talento, se ne possiedi uno. Tutti ciò che viene dopo quel confine è ripetizione.” Come vive le ripetizioni l’avvocato Guido Guerrieri?
G.: Lui convive con questo misto di insofferenza, malinconia, ironia, il senso di essere leggermente fuori posto, di essere a disagio perché forse vorrebbe fare altro o forse no. Forse il disagio, l’essere un po’ fuori fuoco è una condizione esistenziale ed etica che ci permette di fare meglio quello che facciamo. Credo che una parte della forza di questo personaggio stia nel suo costante senso di disagio a bassa intensità che coesiste. Hanno detto che Guerrieri è un eroe etico e riluttante, mi piace.

4) L’avvocato Guerrieri ha un “vecchio problema con il giudizio degli altri”. Come riesce a far convivere questo lato del suo carattere con l’ostentazione della sicurezza che dovrebbe possedere un avvocato?
G.: Beh, lui le ha tutte e due. Uno degli aspetti caratteristici e stilistici di questo personaggio è proprio il fatto che coesistano in lui una consistente dote di insicurezza e una capacità di porsi rispetto al mondo con determinazione. E’ un avvocato bravo, capace di farlo molto bene e un uomo pieno di dubbi come dovrebbe essere.

5) Il passato e il tempo che passa sono gli argomenti portanti de “La misura del tempo”. È arrivato il momento dei bilanci per Guerrieri? E risulta attivo o passivo?
G.: Lui ha sempre fatto dei bilanci provvisori nella sua esistenza sin dal primo romanzo, lui si guarda attorno, guarda quello che ha fatto, esamina la mistura sempre complicata di coraggio, di timidezza e di paura, di mediocrità e di eroismo che sono in lui. Tutto quanto caratterizzato da una pratica costante alternata dell’ironia e della malinconia che sono due note stilistiche del personaggio, quindi direi che anche in questo romanzo ci sono dei bilanci ma non è la prima volta che lui li fa.

6) Enrico Garibaldi, avvocato civilista che Guerrieri incrocia tra i corridoi del tribunale, dice di sua madre “Ha insegnato per quarantadue anni italiano e latino. I suoi studenti la amavano.
Ancora adesso ne incontro che si ricordano di lei e dicono che se hanno imparato ad amare i libri e la lettura e tante altre cose è stato per lei.” Qual è stato/a l’insegnante che ti ha trasmesso l’amore per i libri e la lettura?
G.: Purtroppo temo che non ci sia stato un insegnante che mi ha trasmesso l’amore per i libri e la lettura. Ho avuto un eccellente e straordinario professore di filosofia al liceo e se devo sceglierne uno direi lui e la suora che avevo alle elementari, che era una donna molto intelligente e che ricordo davvero con simpatia. Lei è stata la mia prima editrice perché fece pubblicare su un libro di quelli che si facevano come sussidio scolastico due o tre miei temi. Quindi le mie prime cose pubblicate dipendono da Suor Giovanna. Detto questo, il personaggio di cui si parla nel libro, la mamma di Enrico Garibaldi, è molto ispirato a mia madre, lei era così.

7) Com’è cambiata la Bari di Guerrieri da “Testimone inconsapevole” (2002) a “La misura del tempo” (2019)?
G.: È una città che continua il percorso non esaurito, per cui allora mi sentivo di dire che è una città nel mezzo al non più e al non ancora. “Non più” la città un po’ grigia di provincia che era in passato Bari certamente è stata questo e “il non ancora”, la metropoli mediterranea che guarda all’oriente capace di essere una piccola capitale. Ma molte caratteristiche in questo senso si sono sviluppate. Un posto più interessante del passato, più ricco di stimoli e di opportunità. Poi la Bari di Guerrieri è quasi del tutto coincidente con quella del mondo reale. A me piace introdurre anche nelle narrazioni più realistiche qualche scarto fantastico. Il più vistoso e credo anche il più amato dai lettori è la libreria notturna, Osteria del Caffelatte che io mi sono inventato. E per me quella libreria e altri posti fantastici in contesto realistico sono come delle porte girevoli per passare dal realismo ad una dimensione più magica, più ricca di fantastico.

8) Guerrieri, come tutti i buoni lettori, non può non andare in Feltrinelli o a Laterza, le librerie sono i suoi ansiolitici. Come citavi alla domanda precedente, di notte la sua libreria di riferimento è l’Osteria del Caffellatte. Ottavio, il proprietario, afferma che i suoi clienti sono dei tipi bizzarri. Cosa rappresenta la notte per l’immaginario di Guerrieri e per tutti coloro che non si sentono rappresentati dalla quotidianità che si svolge invece durante la giornata?
G.: La notte è in particolare il posto magico della libreria Osteria del Caffelatte è il luogo in cui uno si può sottrarre agli stereotipi e alle convenzioni, in cui può immaginarsi diverso, immaginare una realtà diversa. Un’attrice americana disse una cosa che mi era piaciuta “il segreto del successo nella vita è pianificare adeguatamente le giornate e lasciare le notti all’improvvisazione”, che mi è parsa veramente molto molto bella.

9) Tu hai letto tutti i tuoi romanzi, con Emons e con altri. Com’è stato il passaggio dalla scrittura alla lettura?
G.: È stata una cosa molto istruttiva. Intanto perché uno leggendo ad alta voce vede quando ci sono le cose positive e magari è contento ma vede anche gli errori che ha fatto e di cui non si è accorto leggendo mentalmente. Quindi è un passaggio a volte un po’ fastidioso perché ti accorgi di qualche errore che avresti potuto evitare, ma istruttivo ed educativo. Dopo di che il rapporto con i lettori-ascoltatori è particolarmente bello perché si stabilisce, se è l’autore a leggere il libro, un rapporto ancora più intimo tra produzione del libro e sua fruizione. Un rapporto di grande intimità che si percepisce poi quando incontri i lettori-ascoltatori e ti dicono delle cose anche molto belle.

10) A cosa stai lavorando? Puoi anticiparci qualcosa?
G.: Adesso sto pensando a un saggio che rifletta sul metodo della politica ma che in realtà vorrebbe essere un saggio sul metodo dello stare insieme civile e progredito. Una specie di riflessione in controtendenza rispetto alle idee praticata oggi in Italia non solo di una politica di violenza verbale, di assenza di contenuti, di sciatteria, di manipolazione. È un tema che ho già toccato in alcuni saggi precedenti, ma che qui mi piacerebbe mettere in ordine anche con qualche suggerimento di metodo proprio.

Intervista realizzata da Cecilia Lavopa a cura di Cecilia Dilorenzo