Editore: Longanesi / Collana: La Gaja scienza
Anno 2018
Genere: Thriller
434 pagine – rilegato e ebook
Traduzione di Alessandra Petrelli
Come accadde a Kouretas, il capraio che la leggenda narrata da Diodoro Siculo vuole scopritore del potere del vaticinio che diverrà poi quello dell’oracolo di Apollo a Delfi, riemergo dalla caverna in cui sono scomparso qualche tempo or sono e cerco di riagganciare i fili che mi legano al reale.
Devo infatti darvi conto di un po’ di letture che ho svolto in questo tempo nascosto. Tra queste mi è ricapitato, a volte ritornano, il buon Andreas Gruber di cui, oltre due anni fa, vi narrai a seguito della sua “Sentenza di Morte”. Cosa sia cambiato da allora ad oggi lo andiamo a vedere tra poco.
So che questo incedere non è tipico nelle recensioni, ma sto cercando di dar loro un po’ più di brio senza nulla togliere all’analisi. Cosa voglio dire? Bene, con questo libro siamo al terzo capitolo della serie di Maarten Sneijder e Sabine Nemez, la copia carbone sbiadita di Gil Grissom e Sara Sidle (personaggi di CSI, ndr), sempre infinitamente più spocchiosi, imbranati, pieni di sé e improbabili. La cosa, di per sé, non sarebbe un problema se non fosse che – ed è una sensazione che mi ha pervaso per tutto il libro e per le ultime duecento pagine in modo particolare – Gruber ami esagerare, forse fin troppo, con inevitabili conseguenze.
Devo ammettere che per le prime duecento pagine sono rimasto sorpreso, avevo avuto l’impressione che Gruber avesse imparato la lezione e che questo libro denotasse la sua maturità. Al di là ancora di alcune facilonerie ed esagerazioni – nella norma – tutto il racconto filava liscio e ben strutturato. I due detective continuavano, e continuano, a non piacermi come personaggi, ma ci sta, quello che importa è che la storia in cui sono immersi sia logica ed avvincente e, come dicevo, per la prima parte Gruber è riuscito a trattenersi.
Cosa sia successo dopo, non lo so. In certi momenti sembrano quasi due autori diversi, il primo con un decente senso della misura, il secondo bulimico e parzialmente irrealistico. Una miriade di personaggi di supporto, un accavallarsi di storie parallele e individuali che non portano nulla in più al racconto che sarebbe potuto terminare in quel momento dato che, da quando il colpevole viene preso in poi, tutta la disamina dei correlati si priva della sua ragion d’essere poiché avete già in mano il criminale e la tensione è sparita.
Continua, come dalla volta precedente, un senso di dejà-vu con l’abuso dello stereotipo oramai stentoreo del profiler eccentrico, misogino (accentuato dalla omosessualità del personaggio) ed irritante che può permettersi di trattare gli altri come pezze da piedi e che ha l’indiamento che lo porta ad avere intuizioni incredibili in merito allo psicopatico di turno.
Cosa rimane? Rimane, come la volta precedente, una indubitabile capacità nel descrivere luoghi e situazioni, con cinematografica sequenza, cristallina visione ed ottima scelta di termini e successioni. Ottima è anche la partenza – che mi aveva fatto ben sperare – e ottime sono anche la capacità di Gruber in fatto di suspence.
E’ come se si cucinasse un ottimo piatto, ma poi lo si ricopra di spezie per insaporirlo ulteriormente. Infine: non fatevi fuorviare dalla mia opinione (che essendo mia condivido…) e buona lettura.
Michele Finelli
Lo scrittore:
Andreas Gruber è nato a Vienna nel 1968 e vive con la sua famiglia a Grillenberg, in Austria. È autore di racconti e di romanzi di successo grazie ai quali ha vinto numerosi premi. Longanesi
ha pubblicato i thriller Sentenza di morte (2016) e Fiaba di morte (2018).
www.agruber.com