Intervista a Giancarlo De Cataldo

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Giancarlo De Cataldo è magistrato, drammaturgo, sceneggiatore. Ha scritto il bestseller Romanzo criminale (2002), che gli è valso il prestigioso Premio Scerbanenco e numerosi altri romanzi, tra cui Suburra (2013) insieme a Carlo Bonini. Il suo ultimo romanzo è Alba nera (Rizzoli, 2019). È uno dei pochissimi italiani ad aver vinto il Prix du Polar Européen.

Lo abbiamo intervistato in occasione di Noir in festival che si è svolto a dicembre 2019 durante il tour di presentazioni del suo romanzo “Quasi per caso“, pubblicato da Mondadori. Se volete ascoltare l’intervista, la trovate nella rubrica di Ms & Mr Yellow su www.onboox.it

1.Bentrovato su Contorni di Noir. E’ da poco uscito il tuo romanzo “Quasi per caso” un giallo storico ambientato in un’ Italia risorgimentale. Com’è nata l’idea da cui ha preso vita questa nuova storia?
G.: Intanto omaggio al giallo Mondadori che compie novant’anni, noi giallisti italiani veniamo tutti da lì e anche per me che ho praticato i territori del noir più estremo del romanzo storico è un ricongiungersi alla grande tradizione del giallo italiano. Mi ha dato la possibilità di rimettere in campo il maggiore Emiliano Mercalli di Saint- Just, Gualtiero di Lansefroid e anche la bella Naide, personaggi che avevo già raccontato in Nell’ombra e nella luce (Einaudi, 2014 ndr), un romanzo del 2014 che ha come protagonista un investigatore dei carabinieri e proprio in quegli anni, 1846 – 1849, i carabinieri cominciano a svolgere delle indagini e che poi faranno diventare un vero e proprio corpo di polizia. Mi divertiva ambientare questa storia gialla, proprio classica, con omicidio, colpevole da ricercare, false piste, indagine scientifica ecc. nei giorni della Repubblica romana del 1849.

2. Come dicevi prima, protagonista è Emiliano Mercalli di Saint- Just, maggiore dei Regi Carabinieri, che si trova più a suo agio nel ruolo di investigatore che di soldato. Quali sono i tratti, le caratteristiche che meglio descrivono questo personaggio all’interno della trama ma anche nei riguardi degli altri personaggi?
G.: Intanto lui è un personaggio tenace, la sua qualità migliore è la fedeltà, perché è un uomo di stato, è un servitore del regno del Piemonte, ma è anche sufficientemente aperto dal punto di vista culturale dal fidanzarsi con una donna emancipata che vuol fare il medico – e poi alla fine ci riesce – e dall’avere un amico che lo conduce per mano verso le indagini di polizia scientifica. Da questo punto di vista, lui che è combattente, agitato, ha un gran cuore e una grande disponibilità all’avventura, è un po’ il Watson della situazione mentre il suo partner Gualtiero è lo Sherlock Holmes. Infatti, oltre a consumare svariate droghe, suona malissimo il violino.

3. Ci sono diversi personaggi femminili che lasciano traccia di sé nel lettore, ma tra tutti spicca Naide, la donna amata da Saint-Just, che oltre a promuovere i diritti delle donne non si tira indietro davanti alla lotta necessaria per creare un’Italia unita. Una eccezione tra tante o espressione di tempi in cui i cambiamenti venivano percepiti sempre più come necessari?
G.: Intanto è espressione di un gruppo di donne poco conosciute, ma molto attive nel Risorgimento. Vogliamo citare Cristina di Belgioioso, la principessa milanese che fu proprio una delle più ardite combattenti del Risorgimento, o Margareth Fuller, Jess White, donne emancipate di tutta Europa italiane. Un’altra anche la Ristori, grande attrice. Una serie di figure femminili che legano alla rivoluzione, cioè al cambiamento, al progresso e all’idea di Italia unita anche la rivoluzione femminile e femminista. Sono poco conosciute, sono state oscurate dalla retorica risorgimentale che al massimo ci ha ricordato Anita Garibaldi, ma erano molte, erano forti e hanno dato un contributo decisivo al Risorgimento italiano.
Questo da un lato, dall’altro la Repubblica romana è l’esempio più avanzato del Risorgimento democratico progressista. Mazzini vara una Costituzione che anticipa la Costituzione della nostra Repubblica, che arriverà giusto un secolo dopo, nel 1948. Prevede la parità di diritti tra uomo e donna, la libertà di religione, la libera manifestazione del pensiero, la libera stampa. Insomma, è una Costituzione estremamente avanzata. Se volete, c’è sottilmente dietro questo giallo nascosto tra le pieghe anche un messaggio politico dalla parte del progresso.

4. Durante la narrazione si parte da Torino, nell’aprile del 1849 per giungere e soffermarsi più a lungo a Roma. Facendo un paragone tra la città di allora e quella di oggi, su quali punti in comune o differenze metteresti un accento?
G.: Roma non era così grande, allora. Non era importante come Palermo, Napoli, Milano o come la stessa Torino, che erano rispetto a Roma delle metropoli. Era il piccolo feudo del papa in quegli anni. Da questo punto di vista, quindi, non c’è proprio paragone. C’è però sempre questa eterna anima romana che ha conosciuto l’impero, il potere, e che lo guarda e lo tratta con un certo scetticismo. C’è anche il gran cuore del popolano romano, che si è trascinato nel corso del tempo. Poi c’è un misto di cinismo e divertita superficialità dei romani, però anche la loro disponibilità a rimboccarsi le maniche e tuffarsi nel vivo della mischia, quando ne vale la pena.

5. Rappresentare personaggi del livello di Mazzini, Cavour e Re Vittorio Emanuele II, deve essere stato impegnativo ma anche divertente. Quale tratto caratteriale principale hai assegnato ad ognuno di loro?
G.: Ho studiato i personaggi quando ho scritto il romanzo storico “serio” come “I traditori” e quando ho collaborato con Martone per il film “Noi credevamo”. Mi sono fatto una certa cultura su quel periodo che mi diverto a infilare nel libro giallo. Direi che Cavour è un abile e spregiudicato politico, Mazzini è un idealista ma altrettanto spregiudicato, molto decisi entrambi nel perseguire i loro obiettivi. Vittorio Emanuele qui è presentato come un giovane re, focoso, molto attratto dall’elemento femminile, un po’ confusionario, ma sostanzialmente una brava persona.

6. Nel modo di approcciarsi alle indagini in un periodo storico come questo, ci sono naturalmente tecniche diverse da quelle utilizzate in un libro di genere ambientato in tempi contemporanei. Già qui si comincia a parlare di medicina legale, di intuire la psicologia delle persone dai loro gesti più che dalle loro parole. In quale maniera ti coinvolge e mette alla prova scrivere di un periodo così diverso dal nostro?
G.: Intanto hai detto giustamente: “si comincia a parlare”. Quindi se ne sa pochissimo e per lo scrittore si apre una sterminata prateria. E’ molto liberatorio scrivere un romanzo giallo storico, perché sei libero dal DNA, dall’ossessione della prova scientifica, dai RIS, e quindi puoi ricondurre l’indagine a quell’incrocio tra cervello e cuore che è poi nell’anima del poliziesco. Il rapporto con la prova scientifica è come quello di Guglielmo da Barkerville ne Il nome della rosa, cioè quello di un uomo che ha curiosità, che vuole esplorare, ma che sta ancora conoscendo il metodo scientifico, non ha dato per acquisito tutto compresa la mappa genetica dell’uomo.

7. Ora che sei un autore noto e amato, con quale stato d’animo ti metti a scrivere rispetto a quando hai iniziato?
G.: Con molta maggiore sicurezza nei propri mezzi, nella propria capacità. Una padronanza della tecnica che è consapevolezza dell’essere riconosciuta, però nello stesso tempo mi piace sempre affrontare un nuovo racconto, un nuovo personaggio, una nuova serie, anche se vogliamo come una sfida. Cerco di fare qualcosa che non sia stato già detto da me. Magari l’avrà detto qualcun altro, ma l’idea è di dare sempre qualche cosa di più al lettore, anche di spiazzarlo, anche di giocare con le sue sicurezze e metterle in crisi, così come gioco io con le mie sicurezze per metterle in crisi.

8. Una cosa che mi preme molto come lettrice, che noto negli ultimi anni, è che la letteratura stia diventano sempre più intrattenimento e meno denuncia sociale. Si può dire che la letteratura di oggi sia il nuovo oppio dei popoli? Ovviamente è una domanda provocatoria…
G.: Magari ci fosse tanta di quella letteratura da poterla definire un’attività di spaccio, risposta altrettanto provocatoria. Noi abbiamo il dovere di salvare invece la narrazione, perché come sappiamo si legge di meno – anche se non tanto meno di quanto si dice – e soprattutto c’è il dovere di portare la lettura e anche il recupero dei grandi classici verso i ragazzi che ne sono completamente tagliati fuori. Ciò detto, io non ho mai trovato niente di disdicevole nell’intrattenimento e succede che passano tanti anni e tu hai vissuto nell’illusione che il cinema politico degli anni ’60 e ’70 fosse la vera frontiera del cinema, ironizzavi su tutto quello che c’era stato prima e poi scopri che i film più belli e importanti politicamente degli anni ’40 li ha fatti Lubitsch, che faceva delle commedie.

9. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri se ci puoi anticipare qualcosa?
G.: Una serie di romanzi che è appena all’inizio – sto scrivendo il primo – che ha come protagonista un pubblico ministero melomane, appassionato di opera lirica, convinto che dentro ognuna ci sia la chiave per risolvere ogni conflitto umano, o per lo meno per interpretarlo. E quindi ogni delitto.

Intervista di Cecilia Lavopa a cura di Federica Politi