Editore Fazi / Collana Darkside
Anno 2020
Genere Giallo
112 pagine – brossura e epub
Traduzione di Federica Angelini
Nestor Burma è un investigatore privato, attività da poco intrapresa. È stato assunto da un famoso attore, Julien Favereau, che teme per la propria vita dopo aver ricevuto minacce di morte. Il fatto strano è che abbia richiesto la sua presenza solo sul set dove sta girando un film, inserendolo nel cast come comparsa e truccandolo di conseguenza. Mentre Nestor gli chiede ragione del perché lui abbia paura di esser ucciso solo mentre lavora e non anche fuori mentre vive la sua quotidianità, l’attore gli muore davanti agli occhi, probabilmente avvelenato.
All’arrivo delle forze dell’ordine, Burma affianca il commissario nell’indagine con l’aiuto di un giornalista, Marc Covet, che si trovava anche lui sul set sotto mentite spoglie. Serve veramente poco tempo per rendersi conto che erano in molti ad odiare l’attore, soprattutto a causa della sua passione per le donne, che non lo fermava davanti a nulla. L’indagine si aggira nei pressi del palcoscenico cercando di far cadere quel velo che finalmente mostrerà quale realtà si celi dietro ai fatti così come ci sono stati raccontati.
“Primo piano sul cadavere”, è un romanzo breve e ben costruito. Un giallo che ci mostra come il famoso investigatore di Léo Malet, ha iniziato la sua attività e aperto la sua agenzia Fiat Lux, servendosi di una trama ben delineata che si sbroglia ai nostri occhi tra sospetti e smentite avvalendosi di inquadrature precise come sarebbe fatto se si trattasse di un film.
Una carrellata di personaggi che incuriosiscono. Nestor Burma, che si misura in un lavoro in cui crede fortemente affidandosi alle sue dosi intuitive, al suo acume, al suo spirito di osservazione. Marc Covet, brillante giornalista che lo affianca in questa indagine, che con le sue buone maniere ottiene le confessioni più sincere da utilizzare in un articolo che finirà sulla prima pagina del quotidiano per il quale lavora. Il commissario Petit-Martin che pur essendo a capo delle indagini e sostenendo di non dar troppo peso alle parole di un investigatore privato, finisce per confidare nelle intuizioni e sui sospetti di Burma. Julian Favereau, il morto, che veniamo a conoscere attraverso le parole dei testimoni e di una lista di indagati che covano nel profondo un forte sentimento di vendetta nei confronti dell’attore che dimostrava di avere una coscienza solo professionale, che non mancava mai di servirsi degli altri per il proprio tornaconto senza preoccuparsi dei loro sentimenti, seminando amore quanto odio.
Una costruzione così accurata e geniale dei personaggi non poteva essere affidata a una ambientazione improvvisata o solo accennata ed ecco che il genio di Malet la affronta esattamente come se fosse dietro la macchina da presa di pellicole come Le Rats de Montsuris o 120 rue de la Gare, entrambi suoi romanzi che diventano dei meravigliosi film polizieschi rispettivamente con la regia di Maurice Frydlan e di Jean Daniel Norman. Perché Malet è un in effetti più un regista delle sue storie che un narratore e per questo i cineasti lo amano perché è come se trovassero le loro pellicole già realizzate sulla carta. E anche in questo romanzo, inedito fino a ora in Italia, l’attenzione nel descrivere le ambientazioni del dietro le quinte delle produzioni cinematografiche, del set, di quello che avviene in scena e nei camerini degli attori è un tour turistico che l’autore regala ai lettori ancor prima della tensione che permea la storia tra azione e indagine poliziesca. E così ogni capitolo del romanzo si apre come se fosse una assolvenza su una scena e ogni scena è come se fosse un set proprio della storia. Sullo sfondo della narrazione, inoltre, in chiaroscuro e appena accennata c’è sempre Parigi, la ville lumiere dei noir della nouvelle vogue, quella meno glamour, meno turistica, meno romantica e che ha fatto la fortuna di scrittori come Malet e di registi come Godard.
Infine, ma non di meno importanza, il linguaggio e lo stile di uno scrittore che ha finito, inevitabilmente, per fare scuola e per creare un proprio paradigma che ha visto emuli del calibro di Bukowski e Carver, e basta leggere Post Office o Da dove sto chiamando per comprendere quanto entrambi debbano al linguaggio evocativo di Malet che ha non ha mai avuto bisogno di esagerare in descrizioni e dialoghi, perché gli bastava definire tutto con il più appropriato degli aggettivi.
È così che si diventa un maestro indiscusso, ed è così che non si passa mai di moda, come la sua Parigi e come il suo impareggiabile Nestor Burma.
“Due nel mirino”: Federica Politi e Antonia del Sambro
Lo scrittore:
Léo Malet, l’anarchico conservatore, come amava definirsi, è uno dei padri del romanzo noir francese. Nato al numero cinque di Rue du Bassin, a Montpellier, figlio di una sarta e di un impiegato, rimane prestissimo orfano. Quando Léo ha due anni muoiono prima il padre e il fratellino e, a distanza di un anno, la madre. Tutti e tre di tubercolosi. Così, è il nonno bottaio e grande lettore che si prende cura del nipote e lo inizia, in modo non certo canonico, alla letteratura. A sedici anni Léo Malet si trasferisce a Parigi in cerca di fortuna. Determinante è l’incontro con André Colomer, disertore e pacifista: Colomer gli dà una famiglia e soprattutto lo introduce in ambienti anarchici. In questo periodo Malet collabora anche a vari giornali e riviste (En dehors, Journal de l’Homme aux Sandales, Revue Anarchiste). A Parigi abita in molti posti, anche sotto il ponte Sully, vive alla giornata, fa l’impiegato, il manovale, il vagabondo, il gestore di un negozio d’abbigliamento, il magazziniere, il giornalista, la comparsa cinematografica, lo strillone, il telefonista.
Nel 1931 l’incontro con André Breton gli dà accesso al mondo delle case editrici e degli scrittori; Malet entra a far parte del Gruppo dei Surrealisti. Per qualche tempo il suo vicino di casa è Prévert, uno dei suoi migliori amici Aragon. Si sposa con Paulette Doucet e insieme fondano il Cabaret du Poète Pendu. Dopo una dura esperienza in un campo di concentramento nazista, nel 1941 inizia a scrivere polizieschi firmandosi con svariati pseudonimi: Frank Harding, Leo Latimer, Louis Refreger, Omer Refreger, Lionel Doucet, Jean de Selneuves, John Silver Lee. Con lo pseudonimo di Frank Harding crea il personaggio del reporter Johnny Métal, protagonista di una decina di romanzi gialli. Nel 1943 pubblica 120 Rue de la Gare con cui esordisce la sua creazione narrativa più celebre, l’investigatore privato Nestor Burma. Burma sarà protagonista di una trentina di avventure, inclusa una “serie nella serie” intitolata I nuovi misteri di Parigi, che comprende quindici racconti, ognuno dei quali dedicato a un diverso “arrondissment” di Parigi. Con Nestor Burma, Malet da un lato riscuote i primi consensi di pubblico, anche attraverso successive trasposizioni cinematografiche, una serie televisiva (1991-1995) di 85 episodi e l’adattamento a fumetti. Ma d’altro canto si allontana dal movimento anarchico: nel 1949 il gruppo dei Surrealisti lo espelle con l’accusa di essere diventato “seguace di una pedagogia poliziesca”. In realtà Malet è uno scrittore dai mille volti: accanto al poliziesco, si cimenta nei romanzi di cappa e spada e, soprattutto, nel noir. La critica gli concede proprio in questo filone i maggiori riconoscimenti: la Trilogie noir, di cui fanno parte Nodo alle budella, La vita è uno schifo e Il sole non è per noi, viene considerato il suo capolavoro. Malet muore nel 1996. Chi vuole andare a visitare la sua tomba, la trova al cimitero di Chatillon-sous-Bagneux.