Tanizaki Jun’ichirō – Racconti del crimine vol. 1

1284

Editore Marsilio
Anno 2019
Genere Giallo
A cura di: Luisa Bienati
240 pagine – brossura e epub
Lingua originale: giapponese
Traduzione di: Elisabetta Procchieschi; Veronica De Pieri; Alberto Zanonato; Luisa Bienati


La Marsilio raccoglie e pubblica, per la prima volta in Italia in questo formato, sei tra i racconti di stile più o meno poliziesco di Jun’ichirō Tanizaki – o meglio, usando lo stile giapponese, Tanizaki Jun’ichirō – prolifico autore giapponese vissuto tra il 1886 e il 1965, candidato tra l’altro al Nobel per la letteratura nel 1964 (quell’anno lo vinse Jean-Paul Sartre, che tra l’altro lo rifiutò). La sua produzione ha toccato numerosissimi temi, dal soprannaturale alla sessualità. In Giappone è considerato uno dei più importanti autori del ventesimo secolo, tanto che uno dei premi letterali più prestigiosi di quella nazione, istituito pochi mesi dopo la sua morte, è stato intitolato a lui.
Questa raccolta, introdotta da un lungo, dotto e interessante saggio firmato dalla curatrice della stessa, Luisa Bienati, docente di letteratura giapponese all’università di Venezia e traduttrice, consiste di sei racconti, che andiamo a menzionare nell’ordine in cui sono presentati.

Si apre con “Storia di Tomoda e Matsunaga” (Tomoda to Matsunaga no hanashi). In questo racconto (piuttosto lungo, tanto da occupare praticamente metà dell’intero libro) il narratore, uno scrittore, viene contattato da una donna il cui marito, un semplice campagnolo gracile e malaticcio, a intervalli regolari scompare per anni. In una valigia, la donna ha trovato una cartolina inviata dallo scrittore a un uomo che non ha nulla a che fare con il marito, e sospetta che si tratti di una sua identità segreta. Ma l’uomo che lo scrittore conosce è un cittadino grasso, appassionato di alcol e prostitute straniere; insomma, non ha nulla a che fare con il marito della signora.
Il secondo racconto, “Il caso ai bagni Yanagi” (Yanagiyu no jiken), vede come narratore un altro scrittore. Mentre si trova nell’ufficio di un amico avvocato a chiacchierare, vede entrare un giovane che sembra nel bel mezzo di un attacco di panico. Questi racconta di temere di aver, forse, commesso un omicidio, addentrandosi in una storia complessa della quale non si può conoscere l’aderenza alla realtà.
Si prosegue con “Per la strada” (Tojō), un racconto che Edogawa Ranpo, il “maestro” del giallo giapponese e un contemporaneo di Tanizaki, ha giudicato tra i migliori nel genere. In esso un uomo, che sta passeggiando per la città dopo il lavoro, viene fermato da un investigatore privato che, camminando con lui, lo interroga riguardo a certe cose del suo passato che sembrano poco chiare.
In “Io” (Watashi) un uomo racconta un episodio del proprio passato, di quando viveva in un collegio durante gli anni di scuola. Nel dormitorio cominciano ad avvenire dei furti, e nel suo gruppo di amici iniziano a girare certi sospetti rivolti ora a uno e ora a un altro compagno, finché non spunta una prova che sembra incriminare proprio il narratore.
“Uno stralcio di verbale – Dialogo” (Aru chōso no issetsu – Taiwa) è, come rivela il titolo stesso, lo stralcio del verbale di un interrogatorio fatto dalla polizia a un uomo che già è stato scoperto essere colpevole di omicidio; non racconterò altro per non rovinare al lettore il piacere della scoperta.
Infine “Il movente di un delitto” (Aru tsumi no dōki) ci presenta la scena di un omicidio già avvenuto, con il colpevole che è già stato arrestato; ma la polizia (come anche, comprensibilmente, la famiglia della vittima) vuole sapere perché l’assassino abbia compiuto quel gesto.

Notiamo, anche solo rileggendo queste brevi anticipazioni che ho elencato, che in tutti i racconti fatta eccezione forse solo per il primo (ma al riguardo non voglio dire di più per evitare di rovinare la sorpresa), il crimine in questione è già stato compiuto, e nella maggior parte di esse il colpevole è già stato scoperto. Ognuna di queste storie, nessuna esclusa, usa in maniera molto abile i flashback, tramite i quali veniamo a scoprire cosa sia successo e, sempre, anche perché; in quasi tutti i racconti, poi, a spiegarci i fatti è il colpevole stesso, tecnica che consente all’autore di mostrarci le efferatezze del caso, di esporci ai pensieri della mente, spesso malata, distorta o corrotta, di un criminale, di provare a farci capire perché certi individui finiscono per intraprendere la strada dell’illegalità.
Sicuramente al lettore italiano del ventunesimo secolo alcuni aspetti della società e della cultura giapponese di quasi un secolo fa potrebbero risultare estranei e talvolta addirittura difficili da comprendere, ma ci viene in aiuto il saggio della già nominata professoressa Bienati pubblicato all’inizio del libro, che consiglio caldamente di leggere prima di immergersi nei racconti veri e propri. C’è anche, di nuovo firmato dalla curatrice, una dettagliata presentazione dell’autore; anche questa è molto interessante, pur non essendo strettamente necessaria alla comprensione e al godimento dei racconti.
Se decidete di prendere in mano questo libro, cosa che consiglio, non aspettatevi il classico giallo, dimenticatevi Sherlock Holmes o Poirot, l’investigatore scaltro che scopre fatti invisibili ai più; come ho scritto poco sopra, si tratta invece in molti casi di uno sguardo dal punto di vista del criminale, raffinato e sottile ma allo stesso tempo crudo e raccapricciante. Una lettura affascinante, interessantissima.

Marco A. Piva

 


Lo scrittore:
L’itinerario artistico di Tanizaki Jun’ichirō (1886-1965) può essere quasi interamente ripercorso dal lettore italiano che dispone in traduzione di molti titoli, tra racconti e saggi. L’esordio dello scrittore avviene in un’epoca di grandi contrasti quando, così come la società, anche la letteratura riflette la scelta lacerante fra una tradizione millenaria e la via verso l’occidentalizzazione. Tanizaki vive questa frattura attratto dal nuovo e dal moderno, ma sensibile al bisogno di restare ancorato alle proprie radici. Ai primi racconti, ispirati a modelli occidentali eppure sempre rielaborati in linea con il proprio passato culturale, fanno da contrappunto le opere della maturità, che segnano un ritorno più marcato ai motivi e ai modi narrativi della classicità. La sua vasta produzione è multiforme nei temi e nelle tecniche, la sua vena sempre originale. Una continua ricerca estetica lo induce a tratteggiare ideali di bellezza femminile che riflettono l’infatuazione ora per l’esotismo della donna occidentale, ora per una femme fatale con cui vivere un rapporto di sottomissione masochistica, ora per una bellezza femminile celata nella penombra, avvolta nelle antiche sete del kimono. La fantasia, l’ironia, l’ambiguità pervadono la sua idea dell’arte. Dalla realtà egli trae solo spunto per creare un mondo immaginario, un universo della sua mente.