Editore Carbonio / Collana Cielo Stellato
Anno 2021
Genere Procedural
304 pagine – brossura e epub
Traduzione di Anna Mioni
Più continuo a leggere e a condividere con voi il mio stream of counsciousness quando mi ritrovo di fronte alla tastiera del Mac, più mi rendo conto di come – seppur condendo il tutto con le più svariate digressioni – la discussione su un libro alla fine si possa sempre e inevitabilmente ridurre a: mi è piaciuto, non mi è piaciuto. Il vantaggio di una buona dialettica è quello di poter infilare tra questi due estremi una congerie di affabulazioni che propendano ora da una parte, ora dall’altra. Per carità, anche valutazioni e osservazioni profonde – la letteratura dovrebbe avere anche quel compito, ovvero farci osservare il mondo in cui viviamo in modo diverso – ma alla fine sempre quello: sì, no. Purtroppo, però, tale approccio è fin troppo infantile. Accettabile per tante altre cose, ma sul libro no. Perché, a parte casi estremi, un no non è mai un no pieno così come un sì si porta dietro qualche perplessità. Tipo come in questo caso.
Una poliziotta newyorkese, Kateri (nome dal suono islandico), a seguito di un problema di alcolismo viene “esiliata” (non potrei definirlo meglio) in un paesino sperduto dello stato di New York, Spring Fall, il cui nome argentino lascia spazio a un luogo che per alcuni tratti descrittivi mi ha ricordato le ambientazioni lovecraftiane del New England. Il luogo rurale si presta a descrizioni un po’ telefonate, ma nel complesso ne traiamo l’idea di una località nella quale non vorremmo risiedere. Questa sensazione di disagio vi farà compagnia per tutto il racconto, cosa che a me è piaciuta, ma non è detto sia tale per altri lettori. Kateri viene subito coinvolta in un caso delicato: deve investigare sulla scomparsa di una donna, Pearl, una sorta di reclusa, che vive in un capanno ai limiti del bosco. Giunta sul luogo, Kateri trova solo sangue e ossa, il corpo della donna non c’è, ma c’è in compenso una bambina di cinque anni di cui nessuno conosceva l’esistenza. Il primo sospettato è il figlio, Shannon, anche lui problematico e borderline. Inizia così una vicenda che non sarà qualcosa di bello da vivere.
Con un escamotage letterario ampiamente usato, Pashley sdoppia il racconto: al presente con Kateri, al passato con Shannon. Questo espediente è molto valido se usato in maniera coordinata, perché sviluppando la vicenda su due fronti gli intrecci sono molto più vividi ed intriganti. Se invece ci si lascia prendere più da uno che dall’altro, si rischia uno sbilanciamento per cui, nel momento che vede le due vicende tornare a viaggiare parallele nello stesso piano temporale, alcune cose sia dell’una che dell’altra rimangono irrisolte o trattate superficialmente. Inoltre alcuni tratti di queste due storie tendono a rieccheggiare fin troppo dei topoi già visti altrove, sebbene la qualità scrittoria di Pashley sia molto valida e il lettore venga coinvolto da un ottimo uso della prosa. Ciò non toglie che sotto a un favoloso sapore d’arrosto vi possa rimanere una nota di coriandolo.
Alla fine della lettura mi piacerebbe sapere se siate stati più attratti dal personaggio di Shannon piuttosto che da quello di Kateri (la mia preferenza è evidente… credo), ma oltre a questo ognuno di voi non potrà non dire che si tratti di un libro assolutamente ben scritto e strutturato, dove nulla manca o è lasciato al caso, dove anche il lodevole lavoro di traduzione ci aiuta ad apprezzare le sottigliezze scrittorie di Pashley.
Michele Finelli
La scrittrice:
Jennifer Pashley è nata e vive a Syracuse (NY). I suoi racconti, apparsi su diversi giornali e riviste, sono stati pubblicati nelle raccolte States (2007) e The Conjurer (2013). Ha vinto il Red Hen Prize for Fiction e il Carve Magazine Esoteric Award for LGBT Fiction.
Di Jennifer Pashley Carbonio Editore ha già pubblicato Il caravan (2020), eletto miglior libro dell’anno dal blog di cultura americana Roots Highway. Gli osservati è il primo capitolo della serie con protagonista la detective Kateri Fisher.
Sito: jenniferpashley.com