Intervista a Chicca Maralfa

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Chicca Maralfa è nata e vive a Bari. Giornalista professionista, è responsabile dell’ufficio stampa dell’Unioncamere Puglia e della Camera di Commercio di Bari. Ha collaborato stabilmente per anni con la «Gazzetta del Mezzogiorno», scrivendo di cultura e di attualità, e con i periodici specializzati «Ciao 200» e «Music». Per Antenna Sud e Rete4 (nella trasmissione di Alessandro Cecchi Paone, Giorno per giorno) si è occupata di cronaca bianca e nera.

Ha esordito nella narrativa nel 2018 con la commedia nera Festa al trullo, e nel 2021 ha pubblicato il suo primo giallo, Il segreto di Mr Willer, finalista a vari premi letterari. Ha pubblicato con Newton Compton il romanzo Lo strano delitto delle sorelle Bedin, La prima indagine di Gaetano Ravidà e le abbiamo fatto qualche domanda:

1.In questo nuovo romanzo si ha l’impressione che la vera protagonista sia la storia. Come mai hai deciso di focalizzare la tua attenzione sul milite ignoto rinvenuto dopo cento anni sul monte Lèmerle?
C.: Se decidi, come nel mio caso, di ambientare un qualsiasi romanzo ad Asiago e nei dintorni non puoi ignorare la Storia. Perché lì, è dappertutto. Avrei fatto la stessa cosa anche se avessi scritto un romance o un memoir. Ci tengo al fatto che Storia abbia la S maiuscola, perché la Grande Guerra fa parte di una pagina nazionale tristissima, un dramma maiuscolo che si è tradotto in oltre due milioni di vittime, di cui 650mila morti, quasi un milione di feriti e 600mila dispersi. Sarebbe stato irrispettoso ambientare un qualsiasi romanzo proprio lì, prescindendone. Irrispettoso nei confronti del territorio, della sua gente, e di quello che ha dovuto subire in nome e per conto di un intero Paese e dei capricci scellerati dei governanti dell’epoca. Le tracce di morte del conflitto sono vive e presenti ovunque. Lì i morti continuano a parlare e sul loro racconto si costruisce la memoria del futuro. L’imponente sacrario del Leiten, fatto costruire da Mussolini, contiene 54mila morti di cui oltre 33mila militi ignoti, come il soldato del monte Lémerle, che il mio investigatore, Gaetano Ravidà, spera possa essere suo nonno, perito combattendo in prima linea proprio su quella altura. È una vicenda personale di respiro collettivo, che mi offre l’occasione per il cosiddetto “passo” storico.

Ho cominciato a frequentare l’Altopiano una decina di anni fa con lo spirito del turista, grazie a una carissima amica di Padova, e nel tempo ho maturato lo sguardo del testimone. Sono rimasta così intimamente colpita da quei luoghi da ambientarci un giallo contemporaneo. La storia del Primo Conflitto Mondiale è il fondale de Lo strano delitto delle sorelle Bedin. Non è stato facile scrivere di quei posti perché sono pugliese e quindi non vivo lì, ma l’isolamento della pandemia mi ha consentito di studiare a fondo il territorio, dal punto di vista ambientale, storico, ma anche delle tradizioni. Sull’Altopiano non c’è una sola tradizione che non si traduca in una commemorazione o che non sia condivisa con chi non c’è più.

2. A eccezione del ritrovamento dei corpi di due soldati trovati sul monte Lèmerle, “Lo strano delitto e sorelle Bedin” è sicuramente una storia frutto della tua fantasia, tuttavia per scriverlo hai attinto a fatti di cronaca?
C.: Sì. Studiando il territorio mi sono imbattuta in un fattaccio di cronaca, il delitto efferato di due anziani, moglie e marito, ancora oggi senza un colpevole. Mi è parsa una storia assurda. Ho affidato al luogotenente Ravidà la missione di vederci chiaro e di scacciare via quella brutta ombra che da dieci anni si allunga sull’Altopiano. Pregio della narrazione e della fiction: rimescolare le carte e cercare di fare giustizia, per sostenere il trionfo della verità”.

3.Sin dall’inizio c’è una forte presenza della musica: Who, Ramones, The National. Quanto è importante nella tua vita la musica e quanto ti aiuta nella scrittura?
C.: Sono cresciuta ascoltando il rock’n’roll, per una parte della mia vita la musica mi ha dato anche da vivere, perché me ne sono occupata per un quotidiano e per delle riviste specializzate. Non posso tenerla fuori dalle mie storie. C’è tanta poesia nelle canzoni, ci sono tante connessioni e legami con le vicende che racconto. Bello poter condividere questa passione con i miei lettori. Molti di loro hanno scoperto i The National grazie a me e non fanno che scrivermi per ringraziarmi di questa condivisione, perché hanno cominciato a seguire la band e ad apprezzarla. Il rock’n’roll è stato il mio passaporto salgariano: mi ha aperto tanti mondi, dalla cultura all’arte. Oggi restituisco quello che ho ricevuto inserendolo sempre elle mie storie. Mi viene spontaneo”.

4.Ninni Ravidà è il luogotenente dei carabinieri di Asiago, ma è anche un padre, di sicuro legato alle figlie ma poco presente ed è una condizione molto comune tra le coppie divorziate. È possibile che da parte tua ci sia stata la volontà di rivalutare la figura del padre?
C.: Sì, è quello che volevo mostrare. Un uomo che subisce la separazione e ne resta ferito, traumatizzato. Lui vorrebbe le sue figlie accanto, ma non può, perché la sua vita, suo malgrado, è andata come lui non voleva che andasse. Ha dovuto ingollare una sferzata esistenziale che ha reso impossibile che lui restasse a Bari, accanto alla sua famiglia. Un’incompatibilità ambientale non per ragioni morali legate alla sua professione ma perché sua moglie lo ha mollato per mettersi con il suo migliore amico. Ravidà è un Giobbe contemporaneo, un uomo prima ancora che un investigatore, con le sue fragilità e con una spiccata sensibilità. Il che non vuol dire che è un perdente, anzi. È una persona seria ma non un bacchettone. Lui non smette di interrogarsi su cosa possa aver sbagliato. Ha una mente aperta, ma ha i suoi valori. È un bravissimo padre e un ottimo investigatore.

5.Tra tutti i personaggi presenti nel romanzo, quale ti ha messo in difficoltà?
C.: Bellissima domanda. Forse il medico legale, Maria Antonietta Malerba, perché è un personaggio vero, che esiste realmente. Ho dovuto trasferirla da Castellana Grotte, in provincia di Bari, dove vive, sull’Altopiano, con Gastone, il suo cane, vero anche lui. Lei è felicemente sposata e ha una splendida figlia, ma ne ho fatto una single indefessa. Lei mette in difficoltà anche Ravidà.

6.Le descrizioni di alcuni personaggi, di ambienti o di situazioni sono molto minuziose e spesso utilizzi paragoni e metafore. Questo modo di scrivere deriva dalle tue letture, quelle che ti sono piaciute o è un modo per coinvolgere il lettore?
C.: Non c’è alcuna intenzionalità quando scrivo. È la mia cifra. Ho scritto sempre così, anche da giornalista. Non restare mai in superficie, scavare sempre e soprattutto far sì che il lettore, leggendo le mie storie, si legga dentro, che sia posto di fronte non a un tema sociale o alla cosiddetta narrazione civile – onesta pure quella, per carità – ma a questioni che prescindano il momento storico o la cronaca per affrontare temi più ampi, che riguardano l’uomo e il suo ruolo nella Storia maiuscola. Per farla breve non mi interessa fare intrattenimento ma, attraverso un giallo o qualsiasi altro genere letterario, raccontare l’essere umano, di fronte ai suoi temi esistenziali: la paternità, l’amore, la guerra, la vendetta, il male, per fare qualche esempio più stringente.

Il tutto però con uno stile fluido, che non appesantisca il lettore. La Storia ad esempio, i questo romanzo, non ce l’ho messa in modo enciclopedico, ma inserendola nelle scene, in modo tale che il lettore non la subisse. Certo mi rendo conto di aver realizzato alla fine un prodotto ibrido, un giallo che non è solo un giallo o non è troppo giallo, ma questo lo ritengo un pregio dell’opera, un suo tratto originale”.

7.In questo primo libro non menzioni le motivazioni che hanno portato Ravidà ad Asiago e nel sottotitolo fai riferimento a questa storia come la prima indagine del luogotenente. Quindi ci sarà un seguito?
C.: Sì, sono già al lavoro per il secondo. Ravidà sarà alle prese con questioni ambientali, oltre che sentimentali. Il fondale storico continuerà a esserci, ci tengo tantissimo. Avverto molto il dovere della memoria”.

Intervista a cura di Luciana Fredella