Giuliano Pasini – È così che si muore

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Editore Piemme
Anno 2023
Genere Giallo
351 pagine – rilegato e epub


Con un gioco di prestigio degno di un favoloso Harry Houdini, riappaio dalle nebbie ancestrali (lombarde al momento, ma fa più effetto detta così, ndr). A smuovermi dall’antro in cui mi sono ritirato alla ricerca del lapis philosophrum è stato un mio conterraneo di cui ho sempre apprezzato il lavoro fin da quando lo lessi la prima volta con “Il fiume ti porta via” e del quale recuperai poi “Venti corpi nella neve” e “Io sono lo straniero”. A dispetto di quanto accadeva nelle mie precedenti recensioni, in cui sproloquiavo a destra e a manca, visto che è un tot che manco da Contorni, diciamo che magari è meglio andare dritti al punto.

Quello che Pasini ci consegna, anche questa volta, è un mondo molto concreto, diretto, con pochi fronzoli. È il mondo della provincia che puoi declinare in qualsiasi dialetto e incastonare in qualsiasi luogo d’Italia, ma tale rimane per natura. La provincia è fatta di luoghi che assumono soprannomi utili a essere identificati dai soli indigeni e non dai “foresti” i quali possono impararli solo dopo estenuanti elucubrazioni (dato che nessuno dei soprannomi ha il benché minimo connotato che permetta d’identificarne il come e il dove).

Così a Case Rosse, il colore dominante delle case della provincia emiliana, ha fatto ritorno “al cumiséri” nella speranza di trovare la sua oasi di pace, ma la pace non è una condizione in cui Roberto Serra è destinato a stare, quasi sia maledetto. Maledetto in parte da quella sua danza che lo rivolta e lo stravolge e che gli ha fatto perdere e rischia nuovamente di fargli perdere le persone a lui care. Si è rintanato a Case Rosse, Roberto Serra, chiudendosi alle spalle i demoni che lo inseguono o tentando di far di tutto per annegarli nell’alcool, in quella grappa casalinga che l’oste di turno gli ha prodotto in quantità industriali.

Il male, ahimè, è onnisciente in fatto di luoghi e giunge anche lì, di nuovo, come dieci anni prima. Stavolta non c’è la neve, ma un caldo pomeriggio di Maggio che diventa rovente quando un incendio distrugge una cascina in località Cà di Sotto (toponimo introvabile su una normale cartina stradale) e nel quale perde la vita il Burdigòn, lo scarafaggio, soprannome di Eros Bagnaroli. Ma ci sono da subito cose che non tornano, soprattutto il fatto che Bagnaroli l’ha ucciso qualcuno, non le fiamme: gli hanno aperto la gola come si fa con i maiali quando li si scanna.

Da questo preambolo per nulla scontato riparte la ridda di indagini e disvelamenti, che stavolta ha una coprotagonista notevole: Rubina Tonelli, una romagnola doc, riccionese, finita nella sperduta provincia in bilico tra Modena e Bologna, a due passi da Vignola e quattro dalla Dotta in punizione. Rubina è inizialmente un fantasma che occupa una sedia per scaldarla e un computer per devastarsi di “campo minato”. Mostra una gaggia (viso), dura e sprezzante, ma la sua fragilità è immensa. Poi diventa una collega e, in qualche attimo, forse di più. Due anime molto più simili di quanto non credano e molto più vicine di quanto non pensino, ma che si attraggono e si respingono come i migliori magneti non farebbero meglio.

Le indagini sono lente, pastose: s’incagliano nel silenzio tipico di ogni paese, quel silenzio che fa da scudo e protezione verso tutto quello che “non è di qua”. Sebbene Serra sia in realtà molto più simile a loro, i paesani lo ritengono sempre uno di fuori. Figuriamoci la romagnola, per la quale le dispute e le sfide regionali sono al culmine. Così i due sono costretti a lavorare a tentoni, trovando bandoli e perdendoli immediatamente, rischiando in ogni momento di veder vanificati i loro sforzi. Tutto mentre le loro anime si avvicinano, ma la paura che si fanno l’un l’altra non permette loro di fare passi avanti.

Il romanzo si legge con la stessa voracità di una rosetta con la mortadella, o come una “crescentina” con il pesto (no, nulla a che fare con quello genovese, per carità). Inizialmente lo divorerete a morsi goderecci, assaporandone la frugalità e il profumo, poi però inizierete a mangiarlo con più accortezza, per non perdervi le sfumature o i toni.

Pasini usa le forme dialettali in un modo musicale e fluido, nessuna s’impasta al punto da non farvi comprendere cosa voglia dire o a cosa si riferisca. I personaggi hanno tutti una favolosa tridimensionalità e luci e profumi escono dalla pagina, avvolgendovi. Non c’è un momento di stanca, perché – come quando si corre – nell’attimo in cui pensate di fermarvi l’idea dell’acido lattico vi spinge a muovervi ancora. E il colpo di scena è lì ad aspettarvi.

Io allora vi aspetto a Case Rosse. Buona lettura.

Michele Finelli


Lo scrittore:
Giuliano Pasini, nato a Zocca, è un orgoglioso uomo d’Appennino che vive in pianura, a Treviso. Socio di Community, una delle più importanti società italiane che si occupano di reputazione, è presidente del Premio Letterario Massarosa e in giuria di altri concorsi italiani e internazionali. Il suo esordio, Venti corpi nella neve (ora Piemme), diventa subito un caso editoriale. Seguiranno Io sono lo stranieroIl fiume ti porta via (entrambi Mondadori), tutti con protagonista Roberto Serra, poliziotto anomalo e dotato di grande umanità, in perenne fuga da sé stesso e dal male che lo affligge. È così che si muore ne segna il ritorno a Case Rosse dieci anni dopo il primo romanzo.