Editore Adelphi / Collana
Anno 2024
Genere Narrativa
426 pagine – brossura e ebook
Traduzione di Gina Maneri e Andrea Mazza
Per alcuni motivi si può ben parlare di questo libro cominciando da un suo margine finale. Nella quarta di copertina dell’edizione Gli Adelphi troviamo un sostanzioso commento di Roberto Bolaño. È un libro importante, scrive, lo colloca immediatamente nella cronistoria, nella tradizione del paese e della letteratura e va oltre. È una storia immensa e Sergio González Rodríguez è lo scrittore giusto per metterla su pagina. In quelle righe è immediato per la lettrice e il lettore partecipare del senso di urgenza, l’attenzione, la solitudine e l’impotenza, l’ansia di Bolaño e di tutta una società per il caso delle donne a Ciudad Juárez.
Ossa nel deserto è un reportage, il resoconto possibile di un decennio in cui oltre trecento donne e bambine sono sparite, poi, a volte, ritrovate, e sempre orribilmente uccise, appena fuori da Juárez. È un flusso di nomi, eventi, dichiarazioni e orrori che sembra richiedere una qualche forma di abbandono nella lettura. Allo stesso tempo pietre miliari e segnali e codici emergono e qui è un buon momento per indicarli.
Ho accanto a me una fotografia aerea di Ciudad Juárez. Me l’ha regalata un amico. Una foto scattata trenta o quarant’anni fa. Cerco di scorgere nei suoi contorni e dettagli, nel tessuto urbano che sembra sparire tra i monti e il deserto, un messaggio occulto. Ma invano.
Tra stressor climatici e demografici e trappole sistemiche Ciudad Juárez è un personaggio, reso e descritto come un’entità non umana. Una città di frontiera, la stessa frontiera che avvolge e inghiotte uomini e animali nei romanzi di Corman McCarthy; è la Bestia pronta a uccidere professionisti delle forze dell’ordine e della Delta force in Sicario di Denis Villeneuve. Se quei personaggi hanno paura, armati e in pieno giorno, le giovanissime vittime sparite dagli autobus, dalle strade e dai bar di Juarez sono presenze che lo scrittore Sergio González Rodríguez prova a riportare alla luce mentre descrive, pagina dopo pagina, un’oscurità senza rimedio e sembra senza fine.
L’immaginario della frontiera fa quello che fanno sempre gli immaginari: trasforma la realtà in un modo che nessuno aveva previsto o, forse peggio, tutti hanno dimenticato. La periferia, le strade, il modo e i tempi in cui la città è cresciuta, il deserto e la frontiera sembrano ordinarsi per essere complici del massacro in quella che è un‘ecologia del male, come la chiama il citato Mike Davis, che esce, ancora una volta, dai romanzi e dalle formulazioni accademiche per diventare una tremenda realtà. Leggiamo degli effetti di una feroce tarda urbanizzazione e industrializzazione, qualcosa che fa emergere Jack lo Squartatore in una certa soffocante Londra ma qui è accelerata, estrema, di massa, su fondamenta di violenza non mitigate.
Lo stesso habitat e lo stesso momento storico è messo in scena nella serie Narcos Messico (Netflix). Ai margini di questa grande storia di crimine organizzato e narcotraffico, giovani e giovanissime donne venivano massacrate. I nomi, la fauna dei predatori è la stessa ma Ossa nel deserto fa giustizia alla rappresentazione dando la sfumatura di nero più adeguata: quella dell’abisso, termine adeguato. Gli eventi di Juarez sembrano infatti qualcosa di infernale. Gang di ragazzini alla moda del “Norte”, squadre della morte con distintivo, imprenditori e capri espiatori, sciamani e narcosatanisti, snuff movie e voci e indizi di riunioni e riti raccapriccianti affollano lo scorrere del libro. È un paesaggio che si svela scena del delitto dopo l’altra.
Nelle settimane successive al rinvenimento dei corpi nei campi di cotone, lo scenario della frontiera si sarebbe rivelato in tutto il suo orrore.
In questo che è un genocidio seriale di massa altri personaggi intervengono e sono famosi cacciatori di serial killer, superpoliziotti, giornalisti, politici. Lo scrittore riesce sempre a introdurre in modo normale, positivo un personaggio/persona partendo dal suo profilo pubblico, da una dichiarazione rilasciata alla stampa per poi, in poche frasi, far emergere la vera natura, l’ombra, l’orrore a volte, dell’incompetenza, del mindset coloniale, della corruzione o della vigliaccheria. Nessun aiuto è in arrivo per le donne e le bambine di Juarez forse utilizzate per comporre comunicazioni di sangue tra parti della società messicana.
La denegata giustizia sociale, giudiziaria, di genere è un’ancella apocalittica e Sergio González Rodríguez questo riesce a far emergere dal suo libro: un reale collasso in una città e una società che appare funzionale. In uno stile chiaro, con una competenza enorme e grande umanità, Ossa nel deserto svolge uno svelamento del caso magistrale e coraggioso in un libro che è unico.
Uno dei memento da rinnovare nell’Antropocene e il suo flusso di storie e informazioni è quello insieme più semplice e grave: quello che è successo e succede in un punto del tempo e dello spazio può succedere ovunque, in altre vesti, colori, eppure con lo stesso ritmo della catastrofe. Ossa nel deserto va letto non come cronaca ma come una cautionary tale.
Nell’immersione della lettura, va ricordato che questa è una storia vera, è infatti quasi una non fiction novel. Un romanzo terribilmente pieno di domande e tutte terrificanti, di risposte vuote se non di possibilità e tutte orrifiche.
Tra gli ultimi rimedi possibili, umani, c’è quello della testimonianza, che è probabilmente uno dei compiti più nobili dello scrivere, della letteratura. Ossa nel deserto ne è un tragico esempio.
Antonio Vena
Lo scrittore:
Sergio González Rodríguez è uno scrittore e saggista messicano, nato a Città del Messico nel 1960. Dal 1993 è columnist del quotidiano messicano Reforma. Il suo ultimo libro è El hombre sin cabeza (Anagrama 2009). Ha pubblicato Ossa nel deserto (Adelphi 2008), un romanzo sul narcotraffico, la violenza e gli omicidi seriali alla frontiera tra Messico e Stati Uniti, ora ripubblicato.