Massimo Cassani – Zona Franca

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Editore TEA
Anno 2013
432 pagine – rilegato con sovracopertina

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L’alba di Milano è un preludio che dura un amen. È il nanosecondo che anticipa il colpo dello starter, è un soffio di tempo tra l’immobilità della notte inoltrata e il sorgere del sole.

Così comincia il romanzo di Massimo Cassani, conosciuto su Anobii più di un anno e mezzo fa, quando partecipai alla catena di lettura di Pioggia battente, Sironi Editore.
E ci si immerge sin dalle prime righe nella città di Milano, una metropoli che conserva ancora il fascino dialettale dei pochi milanesi “doc” rimasti, tra i quali Luigi Pecchi detto Gigi Sciagura.

Il Pecchi è un ottantenne ancora arzillo che, cappello da baseball al contrario e megafono al collo, gira per Via Padova in bicicletta insieme al suo cane Bobi. Era convinto che la madonnina del Duomo avvelenasse il cervello attraverso i fumi che uscivano dalla statua e raccoglieva le firme per abbatterla definitivamente. Diceva di celare un tesoro che lo avrebbe reso felice per il resto dei suoi anni.
Gigi Sciagura era un visionario inoffensivo, ma qualcuno ha deciso di toglierlo di mezzo con tre proiettili parabellum sparati da una pistola della seconda guerra mondiale.
Il commissario Micuzzi, capelli rossi e toscanello – acceso o spento – sempre in bocca,  sarà incaricato delle indagini, che lo porteranno a cercare indizi fra cantieri edili, parenti sciacalli pronti a ereditare il suo appartamento in Via Padova, nonché a classificare fra i possibili sospetti anche un personaggio misterioso – arrivato dall’Argentina – accecato dal desiderio di vendetta dopo una delusione d’amore in gioventù causata – pare – proprio dal Pecchi.
Ma Micuzzi, ancora reduce dal declassamento dalla Questura al commissariato Città Studi, in perenne rivalità con il nuovo commissario Lariccia, non ha voglia di buttarsi a capofitto in questo caso. Anzi, si lascia trasportare dallo stesso con indolenza e senza immaginare che, grazie a quell’indagine, scoprirà un sottobosco di criminalità, che spazia dal “caporalato” nell’edilizia, in cui si sfruttano i lavoratori – spesso extracomunitari ancorché clandestini – al traffico di stupefacenti. Una rete malavitosa che agisce indisturbata all’ombra dell’indifferenza dei cittadini e all’impotenza delle forze dell’ordine.
Torna Micuzzi e la sua banda di stravaganti colleghi: Teneriello, logorroico ma simpatico che ricorda il Catarella del Commissario Montalbano; Salada, coraggioso e irruento – forse troppo – nonché la sempre inossidabile Rosaria Dalla Vedova. E, devo dire, questo sgangherato commissario, con la testa fra le nuvole e la ex moglie Margherita che gli si piazza in casa ogni tanto con la scusa di qualche cenetta, fa veramente simpatia..
La caratterizzazione dei personaggi è calibrata, così come lo è la presenza delle donne, molto diverse tra loro: Ambra Cattaneo, giornalista free lance alla ricerca dello scoop, ridotta in fin di vita per essersi avvicinata troppo alla verità. Selene Melini, strana ragazza bisex dai riccioli biondi alla ricerca di stabilità, di un luogo in cui potersi sentire a casa.
Lo scrittore ha compiuto un balzo felino rispetto al romanzo precedente e ha dato a Sandro Micuzzi lo spazio vitale per crescere ed evolversi, maturando una trama ben costruita e assolutamente piacevole.
Consigliato.Lo scrittore:
Massimo Cassani, classe 1966, nasce a Cittiglio, in provincia di Varese. Giornalista professionista, oggi lavora nel Gruppo 24 Ore. È direttore responsabile della rivista Ambiente&Sicurezza-Il Sole 24 Ore ed è responsabile periodici dell’Area Ambiente-Energia.
Zona franca non è il suo romanzo d’esordio ed è l’opera destinata a confermare Massimo Cassani come nuova voce del giallo italiano, dopo aver pubblicato presso Sironi i suoi due primi romanzi, Sottotraccia e Pioggia battente, le prime due indagini del commissario Micuzzi.

Un brano tratto dal libro:

«Nella cucina di Micuzzi ristagnava l’odore dei Quattro salti in padella appena cucinati e mangiati, e di fumo del Toscanello che il commissario teneva a penzoloni fra le labbra e tirava di tanto in tanto senza spostare le mani dal tavolo. Di fronte a lui il rettangolo scuro della finestra. A ottobre le giornate si accorciano senza scampo, come i calzini di lana lavati a novanta gradi in lavatrice. E lui lo sapeva, ogni volta ci cascava. Nel bicchierino ancora un dito di Nardini. L’ultimo goccio, di solito il migliore, per questo Micuzzi aspettava a berselo, visto che quello sarebbe stato l’ultimo piacere della giornata. In attesa di ricominciarne un’altra, la mattina dopo: inutile, dispersiva come quella appena trascorsa. Un filo di fumo regolare saliva lento dal Toscanello e lui lo osservava ipnotizzato, con le pupille lievemente incrociate. »