Intervista a Marco Vichi

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Abbiamo intervistato per voi Marco Vichi, presente al Pisa Book Festival per presentare il nuovo romanzo intitolato “Nel più bel sogno“, pubblicato da Guanda e prossimamente recensito su Contorni di noir.

1. Benvenuto, Marco e grazie della tua disponibilità. Ci puoi raccontare i tuoi esordi come scrittore, se hai fatto fatica a farti pubblicare?
M.: Ho cominciato a scrivere da bambino. Era un gioco, uno sfogo. Ad un certo punto mi son detto: “Voglio fare lo scrittore”. Con molta paura, molto pudore, tenendo la cosa un po’ nascosta. Conservo ancora in una cartellina tutte le lettere di rifiuto che ho ricevuto in quasi vent’anni d’attesa. Non sono mai stato ossessionato dall’idea di pubblicare, però per chi scrive essere stampato è un traguardo naturale. In più l’idea di vivere del mio lavoro era un bellissimo “sogno”.

2. Come è nato il commissario Bordelli e perché hai scelto di ambientare la storia negli anni ’60?
M.: Nelle mie letture ho incontrato Friedrich Dürrenmatt, che mi ha fatto vedere cosa si può fare con il poliziesco, ossia raccontare l’umanità dei personaggi oltre alla trama. Ho pensato che poteva essere un bel divertimento, per dire anche altre cose. E nel ’95 è nato Bordelli, che nelle prime pagine era ambientato in quegli anni… ma piano piano il commissario mi ha trascinato negli anni ’60.

3. La città di Firenze è protagonista nei tuoi libri insieme agli avvenimenti che accadono di anno in anno. Tutto questo influisce sia sulle storie che sulle vite dei personaggi. Quanto è cambiata la città e quanto si presta ad essere raccontata in un passato che forse non è mai stato dimenticato?
M.: Gli anni ’60 sono un mondo perduto. Io ero bambino. Mi ricordo molto bene l’atmosfera completamente diversa di quegli anni. Si sognava ancora un mondo migliore, e il futuro sembrava riservare belle sorprese… adesso invece il futuro sembra piuttosto nero. Ma quel mondo antico (e anche ingiusto, dove non tutto erano riusciti a salire sul treno del boom economico) doveva essere svecchiato, e ci ha pensato il ’68, che a conti fatti è stato una “rivoluzione borghese” se si possono unire queste due parole.

4. La città di Firenze la descrivi come chiusa e inospitale, è più facile che nasconda meglio il suo lato oscuro in questo modo?
M.: Firenze è stata spesso usata dagli scrittori, anche in passato, per ambientarci storie molto nere. Ha un’anima oscura molto profonda. Il fiorentino tipico, quello che io ho conosciuto nella mia infanzia e giovinezza, nasconde un lato morboso per niente simpatico, è chiuso verso tutto ciò che non riconosce come appartenente al proprio mondo, perché in fondo ne ha paura, e la sua difesa è l’attacco… Anche se naturalmente non voglio dire che siano tutti così. Oggi questo aspetto “fiorentino” è molto diluito: ci sono molti turisti e molte persone che sono venute dal resto d’Italia e dall’estero per vivere in questa bellissima città. Firenze ha la fortuna di avere un passato grandioso, che come sappiamo bene può trasformarsi nel pericolo di addormentarsi sulle glorie trascorse. Ma negli ultimi anni Firenze è assai migliorata, e ho molte speranze che continui a cambiare sempre in meglio, che abbia sempre di più un’attenzione al presente.

5.  Esce ora il nuovo romanzo pubblicato da Guanda, “Nel piu’ bel sogno”. Com’è nata l’idea?
M.: Preferisco non parlare della trama, non vorrei sciupare la sorpresa in chi lo leggerà. Il titolo “Nel più bel sogno” è preso da una canzone di Don Backy che per l’appunto si chiama “Canzone”. Il libro è ambientato nel ’68, e questo titolo mi sembrava perfetto per raccontare  il sogno dei giovani di allora.

6. In questa nuova storia Bordelli sembra che viva un momento di serenità e leggerezza. I fatti su cui indaga riusciranno ad incrinare questo equilibrio?
M.: Come nella vita di ogni uomo, ci sono alti e bassi. Diciamo che adesso Bordelli sta vivendo una sorta di primavera interiore, dopo aver passato un brutto periodo nei libri precedenti. Questa sua leggerezza coincide con la primavera meteorologica, ma anche con quella del ’68, quando la nuova spinta dei giovani, che già fermentava da anni, esplode in tutta la sua forza.

7. Spesso il commissario racconta i terribili ricordi della guerra che a noi lettori sembrano del tutto reali. Sono anche per te frutto di racconti da parte di qualcuno che conosci?
M.: Ho trasferito il passato di guerra di mio padre nella memoria del commissario, lo stesso percorso: marina, sommergibili, battaglione San Marco. Solo che mio padre è partito per la guerra che era un ragazzino, a 17 anni, ed è tornato uomo, con negli occhi qualcosa di terribile. Raccontava spesso della guerra, e questi romanzi ambientati negli anni ’60 mi hanno dato la possibilità di salvare tutti questi ricordi che altrimenti sarebbero andati perduti.

8. In diversi libri la storia di Bordelli s’incrocia con quella del Colonnello Arcieri, protagonista dei libri di Leonardo Gori. Com’è nata l’idea e come di fatto viene realizzata?
M.: E’ nata per gioco. Una volta lui mi disse che stava scrivendo un libro di Arcieri sull’alluvione. Se Arcieri viene a Firenze, gli ho detto, non può non conoscere Bordelli. Gori ha accettato il gioco e ha scritto una scena in cui Arcieri va dal commissario a chiedergli un favore (le battute di Bordelli nel suo libro le ho corrette io, per rispettare il linguaggio). Quando ho scritto Morte a Firenze, ho rimesso la stessa scena vista dagli occhi del commissario. Questo gioco è andato avanti fino a Fantasmi del passato, il romanzo dove tra i due personaggi, Bruno e Franco, si consolida l’amicizia.

9. Ci sono dei personaggi che entrano in empatia con i lettori i quali ne diventano dipendenti, tanto da obbligare lo scrittore a inventare sempre nuove storie, impedendo loro di abbandonare il protagonista beniamino. Ti sei mai sentito obbligato verso i tuoi lettori in questo senso?
M.: No, direi proprio di no. A me Bordelli mi è stato subito simpatico e continua a starmi simpatico. E gli anni Sessanta sono un mondo in cui mi immergo volentieri. Quando scrivo un romanzo vivo completamente dentro quella realtà, e passare dei mesi a fianco di Bordelli e dei suoi amici mi piace molto. E comunque non riuscirei a scrivere per dovere editoriale.

10. La serie del commissario Bordelli: la definisci più romanzo che giallo. Quanto è importante per te la classificazione dei generi? Sei un “purista” o ti piace “sporcare” e giocare con le trame?
M.: Per me non è la trama che fa il romanzo, anzi la trama è quasi secondaria. Da lettore, mi appassiono a una storia per la scrittura, per lo sguardo sul mondo, per il percorso di conoscenza che faccio attraverso le parole dello scrittore. Riguardo ai libri “bordelliani”, li considero più “romanzi” che “gialli”, perché la quantità di poliziesco è veramente ridotta al minimo indispensabile.

11. I personaggi che ruotano attorno al commissario, come sono nati? C’è qualcuno in questo ultimo romanzo che ti è piaciuto di più?
M.: Non scrivo mai storie studiate a tavolino. Fin dal primo romanzo Bordelli si muoveva in città e mi presentava i personaggi del suo mondo. Le sue amicizie non hanno nulla a che vedere con la professione o con il ceto sociale, ma nascono dalle affinità e da una sensibilità comune.

12. Ci sono autori che fanno restare immutati i loro personaggi in tutti i loro romanzi. Vedasi Camilleri con Montalbano, ad esempio. Tu hai scelto un periodo che va dal ’63 al ’68 per Bordelli, quindi pochi anni in realtà. Trovi comunque che il commissario sia invecchiato o cambiato?
M.: Bordelli cambia nel tempo, come è giusto che sia e come accade nella vita. Il tempo viene scandito anche da fatti storici realmente accaduti, come l’alluvione o il ’68, e nel frattempo la sua storia personale va avanti. Bordelli ha fatto scelte difficili e scomode, anche dolorose, e l’ho seguito nel suo percorso. Con il passare degli anni il commissario si sente invecchiare, anche perché a quel tempo avere più di cinquant’anni era assai diverso da oggi.

13. Qual è il libro che ti è costato più fatica e quale quello a cui sei più affezionato?
M.: La fatica è solo fisica. Ci sono serate in cui non riesco ad andare avanti di una sola riga, ma questo non mi preoccupa. Il divertimento è quello di avere davanti una storia che si srotola piano piano davanti ai miei occhi. Si potrebbe dire che il romanzo al quale sono più affezionato è sempre l’ultimo nato, ma in fin dei conti sono affezionato a tutti: ogni romanzo mi ricorda un periodo intenso della mia vita.

14. In “Morte a Firenze” oltre ad un terribile caso di omicidio il commissario Bordelli si trova ad affrontare la spaventosa grande alluvione. Com’è stato scrivere di questo fatto?
M.: E’ stata molto appassionante tutta la fase della ricerca. Ho avuto a disposizione vari libri, i numeri dell’epoca del quotidiano La Nazione, una pubblicazione dell’istituto geografico militare con la cronaca dell’esondazione e una cartina degli allagamenti, gli archivi delle teche Rai, e poi ho fatto diverse interviste a poliziotti e carabinieri, oggi in pensione, che avevano vissuto in prima persona quei tragici momenti. La sfida più grande era cercare di raccontare lo stupore di Bordelli per un avvenimento accaduto 50 anni prima, e di cui ormai conosciamo ogni particolare.

15. Ne “La forza del destino” il commissario Bordelli si trova a dover fare i conti con la propria coscienza. A compiere un passo decisivo dal quale sicuramente non si può tornare indietro. Come lo ha cambiato questa decisione?
M.: Bordelli in quel romanzo “gioca” con il destino, illudendosi di esserne guidato, nella speranza di alleggerire la propria colpa, la propria responsabilità. In realtà lui commette qualcosa di profondamente sbagliato in nome della giustizia: l’impunità di crudeli colpevoli gli ha provocato una reazione esagerata. Ma anche in questa occasione non ho potuto che seguirlo nelle sue decisioni.

16. In “Fantasmi del passato” quando la città si sta risollevando dal disastro dell’alluvione, Bordelli si trova ad affrontare gli spettri irrisolti del suo passato. A quali risorse ha dovuto attingere per riuscirci?
M.: La grande medicina è come sempre il tempo, che lavora lentamente ma inesorabilmente, riconducendo ogni cosa verso il massimo di serenità possibile, che non sempre è vera serenità. Bordelli si è preso la responsabilità di commettere delle azioni molto gravi e sbagliate, e questa colpa se la porterà dietro per tutta la vita.

17. Tre aspetti fondamentali nella vita di Bordelli: la natura, il cibo e l’amore. Ce ne vuoi parlare?
M.: Da quando una mattina all’alba il commissario ha accompagnato il suo amico Ennio Bottarini, detto Botta, alla ricerca di funghi, si è appassionato dei boschi e non può più fare a meno di andarci a fare lunghe camminate, a volte anche con il colonnello Arcieri, ma più spesso da solo. Bordelli ha un necessario e quotidiano bisogno di solitudine: momenti in cui il pensiero si “muove” in strade diverse dalla consuetudine.

Il cibo è la vita. Lui ama mangiare bene. A quei tempi non esisteva una vera cultura del cibo, ma a tavola Bordelli vuole stare bene. Chi a tavola si regala il piacere (al giorno d’oggi aggiungerei: di cibi sani a buoni), secondo me è una persona che si vuole bene.

In amore Bordelli è un adolescente, capace di innamorarsi in pochi secondi. Non è diventato un vecchio cinico, sentimentalmente ormai logorato. Anzi, è ancora capace di arrossire di fronte ad una ragazza che gli piace. Lo trovo meraviglioso.

 

Intervista a cura di Federica Politi