Intervista a Franck Thilliez

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Oggi nel salotto di Contorni di noir ospitiamo Franck Thilliez!
1. Informatico per lavoro, scrittore per passione. Credi sia corretta la mia definizione? Quando hai oltrepassato il confine tra queste due attività così diverse? 
F.: Si, è corretto quello che dici. Ho iniziato a scrivere perché a un certo punto volevo far uscire una storia che mi frullava in testa e che era il risultato di una mia passione per il cinema e per certe letture quando ero ragazzo. Ma soprattutto la passione per il cinema, per il poliziesco, per l’horror. Quindi ho iniziato a scrivere per passione ed è stato difficile all’inizio perché lo facevo di notte e nei we. A un certo punto questa passione si è fatta così forte che si è sostituita al mestiere di informatico e 5 anni fa ho cominciato a scrivere professionalmente. L’ho fatto nel momento in cui mi sono reso conto che c’erano dei lettori che mi seguivano e che potevo finanziariamente fare questo passo e dedicarmi totalmente alla scrittura. 
2. Perché vuoi incutere la paura attraverso i tuoi romanzi? 
F.: Perché quando ero adolescente ricordo ancora questa sensazione così forte di paura di quando appunto guardavo i film o leggevo certi libri, ed era nel contempo una sensazione molto affascinante. Una cosa davvero poco ordinaria nella sua paradossalità una cosa che ti attira fortemente e nello stesso tempo ti fa una paura tremenda. Mi sembrava davvero notevole la capacità di certi scrittori e di certi cineasti di procurare sensazioni di gioia fortissima o una pelle d’oca tremenda e io volevo trasmetter questa sensazione ai miei lettori. Che è poi quello che cerco di fare in ogni mio libro. 
3. C’è il male conosciuto e il male sconosciuto. Bisogna temerli entrambi o è più facile combattere il noto rispetto all’ignoto? 
F.: Ci sono tantissimi mali diversi all’interno della nostra società e non è possibile combatterli tutti. Io mi concentro soprattutto sui mali che si nascondono nel profondo della nostra anima e della nostra società e trovo interessante rendere noti alcuni fatti veri che sono attualmente sconosciuti ai più e anche se sembra incredibile, è vero. Sul mio libro ‘L’osservatore” mi focalizzo principalmente sul male dei miei personaggi, ma anche sulla violenza che viene trasportata dalle immagini e tento di raccontare come ci sia gente che impiega le immagini per fare del male agli altri. Questo è un tema che tratto in maniera scientifica, c’è uno studio in quello che io racconto attraverso proprio la scienza, ma tento anche di mostrare come la scienza, nelle mani sbagliate possa produrre crimini e abusi. 
4. Quale scrittore rappresenta meglio la letteratura francese di genere in questo momento? 
F.: Io direi Grangé. Quando ero all’inizio, leggevo i suoi romanzi, li trovavo molto interessanti e riuscivo ad immaginare ciò che Grangé raccontava e mi ha fatto venire voglia di raccontare anche le mie storie. Lui inoltre tratta dei temi che mi interessano e credo sia stato proprio lui a lanciare il thriller francese in Francia. 
5. Il filone nordico, partendo da Stieg Larsson, ha in qualche modo dato una scossa ad un settore in parte “monopolizzato” perché in realtà, si parla sempre del thriller americano, anziché di altri Paesi. In qualche modo questo ha smosso il lettore a leggere altri scrittori non sempre originari dello stesso paese. Sei d’accordo? Da cosa dipende, secondo te? 
F.: Si, oggi infatti i lettori si sono resi conto che ci sono anche altri paesi oltre agli Stati Uniti dai quali provengono degli ottimi libri. In Europa si parla molto del thriller nordico, anch’esso un prodotto eccellente. Quindi hanno scoperto che non esiste soltanto quello e arrivano anche al thriller francese, perché si rendono conto che c’è anche dell’altro e arrivano anche in Francia. Tuttavia è ancora difficile perché ci sono lettori legati ancora ai classici scrittori americani, tipo la Cornwell o Agatha Christie. Ma poi esiste anche “Millenium”, che ha avuto un grande successo e ha fatto in modo che l’interesse dei lettori si sia spostato verso altri nomi. Io ritengo che siano molto utili e positivi e fanno evidenziare autori meno conosciuti. 
6. “La stanza dei morti” è stato definito un vero caso letterario. Quali sono i motivi? E quali sono le caratteristiche che lo hanno reso tale? 
F.: Anch’io nasco all’interno della cultura statunitense del thriller. A un certo punto ho cercato di creare una storia utilizzando il modello delle storie americane, ma che si svolge in Francia, nella zona del nord dove tra l’altro io vivo. Una terra che comunque ha dei problemi, tra cui la disoccupazione e paradossalmente, ciò che all’inizio poteva essere ritenuta come una debolezza, si è rivelata nei fatti un punto di forza e sia i giornalisti, sia i lettori, sia i librai, lo hanno ritenuto tale e hanno dichiarato che fosse possibile fare un thriller parlando della gente di questa regione, dei nostri poliziotti, dei nostri vicini di casa. Per questo è diventato un caso letterario, perché ho mescolato elementi e culture diverse. 
7. Ho letto, in alcune interviste che hai concesso, che sei affascinato dal proibito e dall’insolito, tanto da comportarti in modo opposto rispetto a quello che consiglierebbe la prudenza. Tipo girare di notte in un bosco.. Domanda provocatoria…a questo punto mi chiedo…che infanzia ha avuto Franck Thilliez? I tuoi genitori sono riusciti a farti superare qualsiasi paura o tabù, da permetterti tale atteggiamento? 
F.: (sorride) No, direi che la mia vita durante l’infanzia è stata una delle più classiche, però il fatto strano è che io da adolescente mi sono guardato tantissimi film horror e thriller e ne sono rimasto affascinato. A differenza dei miei coetanei che uscivano e si andavano a divertire, io mi guardavo tutti questi film, che mi hanno messo in testa un sacco di immagini e di idee che ad un certo punto ho desiderato di far uscire dalla testa..era necessario che me ne liberassi. Io non riesco a spiegare esattamente il perché questi film esercitassero su di me così tanto fascino, perché in genere le persone considerano tabù e ne hanno paura. E io volevo dimostrare alla gente che tutte queste cose esistono e sanno che con me proveranno i loro 5 minuti di brividi! 
8. Ora è uscito il tuo nuovo romanzo “L’Osservatore”. Come è nata l’idea e come ti sei documentato? 
F.: Beh, l’idea è nata per caso durante le ricerche per un romanzo precedente, più esattamente sulla psichiatria e sono incappato in un fatto di cronaca che riguardava il Canada, più precisamente degli avvenimenti su degli orfani. Io ho immediatamente messo da parte questa storia perché mi sembrava fosse un’ottimo spunto per un romanzo, proprio su questi orfani. Una storia mostruosa, ma al contempo anche molto interessante, soprattutto perché nessuno sapeva che fosse successo. Alla fine del romanzo precedente ho quindi avviato delle nuove ricerche su questo tema e ho trovato tutta una serie di informazioni, dagli esperimenti della CIA alla neurologia, alla medicina. Tutti elementi che sono serviti a costituire la storia che è diventata “L’osservatore”, la cui stesura è durata circa 6 mesi, proprio per l’accuratezza della ricerca.
9. Ho notato una foto in cui si ritrae un occhio che guarda dal buco della serratura, quasi a simbolizzare un voyerismo collettivo. Pensi che ci sia una sostanziale differenza tra “guardare” e “osservare”? Pensi ci siano abbastanza filtri nelle immagini che ci vengono proposte? 
F.: No, non credo ci siano dei filtri. Oggi siamo letteralmente circondati da immagini, sono dappertutto e non è possibile controllare tutto..ci arrivano dalla pubblicità, da internet, dai videogiochi e l’unica cosa che possiamo controllare è il modo di educare i figli, che sono sempre a confronto con l’immagine e con la violenza mutuata dall’immagine. E l’unica cosa che possiamo sorvegliare è il loro tempo di esposizione a tutto questo. Altrimenti avremo a che fare con i fatti di cronaca che ben conosciamo..giovani suicidi, giovani che fanno delle autentiche mattanze a scuola o in occasione di qualche riunione o assemblamento. La causa di questa violenza che si scatena in loro è dovuta sicuramente alla percentuale di violenza che assorbono proprio attraverso le immagini. Ed è questo messaggio che voglio trasmettere attraverso il mio romanzo.
10. Il commissario Sharko, fuori dagli schemi del poliziotto classico in realtà, ha combattuto per una vita con i fantasmi dei morti che ha dovuto vedere. Imbottito di psicofarmaci per evitare di essere internato..Com’è nata l’idea di questo personaggio?
F.: Questo è un personaggio che ho creato 5 o 6 anni fa e “L’osservatore” è il terzo romanzo in cui compare. Evolve di romanzo in romanzo. Senza svelare niente, è una persona che perde la sua famiglia, moglie e figlia e non si rimette da questa perdita e si rifugia nel lavoro. Continua a vedere cadaveri e cadaveri e il suo cervello ne risente tantissimo e diventa schizofrenico. In questo romanzo si ritrova a fare i conti con una malattia di cui ha piena coscienza ma della quale non riesce a sbarazzarsi. Qui abbiamo una nuova evoluzione della sua persona e anche nel prossimo romanzo. E’ un personaggio che invecchia insieme a me e che vive parallelamente a me. Porta in sé una grande sofferenza..
11. A proposito del prossimo romanzo, visto che lo hai anticipato tu, puoi svelarci qualcosa?
F.: Il prossimo romanzo è già uscito in Francia e riprende gli stessi personaggi de “L’osservatore”, tanto da creare una sorta di continuità tra l’istante in cui termina il libro e l’inizio dell’altro. La relazione tra i personaggi continua e c’è una nuova inchiesta basata sempre sul tema della violenza, però trattato in maniera diversa. Sono due romanzi che uniti formano un dittico, perché il tema è sempre lo stesso, ma trattato dal punto di vista temporale. Vale a dire come ha potuto propagarsi la violenza nel corso dei secoli. E’ un problema genetico? E’ qualcosa che ha a che fare con la memoria collettiva?  E’ qualcosa di culturale? Analizzo questi aspetti.
E allora “Bonne chance”, Franck e aspettiamo il prossimo libro anche in Italia!

Qui la recensione de L’osservatore