Marcello Simoni è nato a Comacchio nel 1975. Ex archeologo ed ex bibliotecario, laureato in Lettere, ha pubblicato diversi saggi storici; con Il mercante di libri maledetti, romanzo d’esordio, è stato per oltre un anno in testa alle classifiche e ha vinto il 60° premio Bancarella e il premio Emilio Salgari 2012. I diritti di traduzione sono stati acquistati in diciotto paesi. Sono seguiti La biblioteca perduta dell’alchimista, Il labirinto ai confini del mondo, Il segreto del mercante di libri e La profezia delle pagine perdute, successivi capitoli della Saga del mercante; L’isola dei monaci senza nome, con il quale ha vinto il premio Lizza d’Oro 2013; La cattedrale dei morti; la trilogia Codice Millenarius Saga (L’abbazia dei cento peccati, L’abbazia dei cento delitti e L’abbazia dei cento inganni); Il marchio dell’inquisitore; la trilogia Secretum Saga (L’eredità dell’abate nero, Il patto dell’abate nero, L’enigma dell’abate nero).
Tra i riconoscimenti ricevuti, il premio Stampa Ferrara, il premio Ilcorsaronero e il premio Jean Coste. Il 21 gennaio 2020 è stato invitato in Senato a discutere di lettura come strumento di democrazia.
Presso La nave di Teseo ha pubblicato I misteri dell’abbazia di Pomposa e La dama delle lagune. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo nuovo romanzo, uscito sempre per La Nave di Teseo, Morte nel chiostro.
1. Nel tuo nuovo thriller storico Morte nel Chiostro le protagoniste assolute sono delle donne, nel caso specifico delle monache. C’è un motivo particolare per questa scelta in un’epoca non proprio “femminista”?
M.S. È stata una scelta maturata in questi anni. Nei miei primi romanzi i personaggi femminili erano presenti ma relegati ad ambienti chiusi in cui non succedesse loro nulla di male. Nel mio primo romanzo Il mercante di libri maledetti la moglie del mercante appare a metà del libro e viene rappresentata come una Penelope in eterna attesa del marito.
Nel Medioevo una donna se usciva di casa non accompagnata le poteva succedere davvero di tutto. Per questo e per una mia sensibilità verso le donne nei miei primi romanzi le tutelavo facendole restare in luoghi sicuri. Negli ultimi anni, però, ho deciso di “sporcare” questi miei personaggi perché sapevo bene che se volevo creare un personaggio femminile forte all’interno di una trama thriller dovevo far in modo che queste figure subissero qualcosa: ingiustizie, vessazioni, maltrattamenti.
Da sempre io parlo di monache e monaci ma cerco sempre di guardare sotto la loro cappa poiché quello che mi interessa non è l’aspetto religioso ma l’aspetto umano. Così pian piano è nato in me il desiderio di rendere uno di questi personaggi femminili una protagonista assoluta, all’apparenza più debole all’interno di una trama thriller ma può mettere nel lettore ma anche in chi scrive tante aspettative, può dare tantissima tensione specialmente se il racconto avviene nel periodo di tempo di una sola giornata.
La sfida mi piaceva moltissimo. Mi affascinava l’idea di creare un’ambientazione totalmente femminile perché volevo dimostrare che il Medioevo non è solo maschile ed è molto più complicato di quello che immaginiamo. C’è la consapevolezza che la donna non è solo importante ma sia quella chiave che dà, nella pienezza dei colori, l’aspetto di quest’epoca.
2. In Morte nel chiostro la figura di Ildegarda di Bingen, monaca e dottore della Chiesa, è una presenza che aleggia nel romanzo. Che modello può rappresentare per i giovani d’oggi questa mistica?
M.S. È un modello fondamentale perché potrebbe insegnare che non ci sono soltanto gli influencers e che per realizzare qualcosa nella vita, sviluppare un gusto, una creatività propria bisogna studiare e lavorare. Questi strumenti di cui disponiamo oggi giorno tendono a uniformare il pensiero delle persone. Il Medioevo che viene descritto oscuro, in realtà è un periodo in cui gli uomini e le donne devono lavorare con la mente per arrivare all’originalità e ce la fanno più loro che noi. Ildegarda ha dedicato tutta la sua vita allo studio e in una condizione particolare perché donna. Ha voluto mettersi in gioco per comprendere chi fosse. La sua opera non è un elogio di erudizione ma è la volontà di voler conoscere tutto quello che Dio ha creato. È una figura importante perché dimostrò che per diventare se stessi non bisogna seguire la corrente ma andare contro gli schemi. E lei gli schemi li ruppe tutti con grande coraggio, determinazione e umiltà.
3. Vorrei soffermarmi sull’uso che fai della lingua. Dai tuoi primi romanzi a oggi c’è stata un’evoluzione. Che lavoro hai fatto e continui a fare sulla lingua? Una lingua estremamente colta e semplice allo stesso tempo che è diventata tua, un tuo vero e proprio modo di essere.
M.S. Nel mio piccolo sto cercando di fare un esperimento linguistico che si può avvicinare a quello di Dante con la Divina Commedia e di Camilleri con i suoi romanzi. Creo un mio linguaggio che deve funzionare in modo liscio e veloce come una sorta di macchina del tempo. Ti deve portare con pochissime parole nel XII secolo ma il lettore deve capirlo. Se io volessi essere filologico e volessi scrivere dei romanzi appartenenti all’epoca dovrei scriverli in latino medievale. Ma si può ben capire che risulterebbe comprensibile solo a pochi intimi. Cerco di conservare una musicalità del linguaggio. C’è tutto un lavoro di immedesimazione e romanzo dopo romanzo mi sono trovato con questo linguaggio che è solo mio ed è sicuramente maccheronico. L’aver avuto una formazione musicale mi ha certamente aiutato. Ascoltare musica e far in modo che le parole e i dialoghi diventino musica serva non soltanto a trasmettere delle informazioni ma anche e soprattutto a trascinarti lontano.
Il linguaggio è importantissimo e fornisco al lettore parola dopo parola, pagina dopo pagina, degli elementi che un po’ per volta verranno assimilati quasi in maniera inconsapevole e lo porterà alla fine del romanzo a leggere delle pagine che esprimono dei concetti che non avrebbe mai pensato di dover affrontare in vita sua.
4) Qual è il significato simbolico del furto della reliquia per la quale si è disposti a uccidere e a sacrificarsi nel tuo romanzo?
M.S. Il movente di un omicidio non può essere legato solo a una cosa materiale o emotiva. A volte, in alcuni romanzi, il movente può essere collegato a un concetto astratto, a una filosofia.
Noi, oggi, sorridiamo dell’uomo medievale che praticava l’antico culto delle reliquie. Ma questo avviene ancora ai nostri giorni. Basti pensare alla devozione che alcune persone nutrono nei confronti delle spoglie di santi e sante. Questa non è una forma cultuale legata alla religione ma è qualcosa di più antico, di antropologico. Noi siamo legati anche a livello superstizioso a queste figure perché pensiamo che questi resti mortali conservino un alone di santità che rappresenta una sorta di collegamento tra noi e Dio. Dal punto di vista vocazionale questo forma di culto attira dentro le chiese tantissimi fedeli nel corso di un anno. Nel Medioevo questo fenomeno è ancora maggiore. La presenza di una reliquia in una chiesa attira l’interesse della gente e attira i pellegrinaggi: questo porta grande ricchezza e grande circolo di denaro.
Queste reliquie di fatto creano una produzione letteraria a sé perché spesso esse erano accompagnate da testi scritti o raccontati: la vita dei santi ai quali appartenevano le reliquie seguita dalla storia del ritrovamento delle stesse. La storia delle persone che per avventura o per miracolo, si imbattono in queste reliquie le rubano per, poi venderle o donarle a dei monasteri che per questo diventeranno famosi.
5. Quanto è stata complessa la parte di progettazione del romanzo, la parte più difficile?
M.S. La parte più difficile è stata quando ad un certo punto, circa a metà del romanzo, ho maturato l’idea di far svolgere tutta la storia nell’arco di una sola giornata. In fase di progettazione avevo già ben chiaro tutto. Volevo scrivere un giallo claustrale in cui i personaggi fossero donne, ambientato in un monastero femminile dove ci fosse una badessa molto dotta aiutata nelle indagini da una novizia. Però non avevo concepito l’idea che questa storia potesse svolgersi in una sola giornata. Ho realizzato che questo tipo di scelta imprimesse un ritmo molto più veloce alla storia perché c’è l’urgenza di risolvere il caso prima che arrivino persone a mettere i bastoni tra le ruote. Una volta scelto questo arco temporale non ho voluto mettere capitoli ma ho preferito che ogni capitolo diventasse il battere di una campana. Il suono delle campane è il suono predominante della vita dell’uomo medievale. Tutta la sua vita era regolata dai rintocchi delle campane.
È stato anche difficile ma stimolante entrare nel modo di pensare di una donna. Volevo che le “mie” monache fossero prima di tutto donne. E soprattutto volevo far capire che queste persone avevano una spiccata profondità emotiva. Ognuna di queste religiose ha una storia che si porta dietro. L’aspetto affascinante del mondo monastico è che, nel bene e nel male, ogni monaca ha una vita che rimane segreta. Queste donne vivono e muoiono con delle sofferenze interiori, con delle storie destinate ad essere sepolte nel silenzio. Io ho desiderato far in modo che ciascuna di queste monache lasciasse un segno di queste vite che vengono poi sepolte dalla Storia.
La costruzione del romanzo è venuta pagina dopo pagina. Dopo il mio terzo romanzo non lavoro più per sinossi perché mi sono reso conto che dopo un po’ la sinossi diventa una gabbia e toglie spontaneità al romanzo. Mi sono lasciato trascinare dalla storia, dalle emozioni, dal carattere di Engilberta la magistra abbatissa e dall’emotività e dal coraggio di suor Beatrice.
6. Quali sono i consigli che ti senti di dare ai giovani scrittori e scrittrici che desiderano affacciarsi a questo genere?
M.S. Il mio consiglio agli esordienti è imparare cosa sia la sinossi, fare esercizi, lavorare con essa capendo bene come funziona.
Esercitarsi in tutti gli stili. Per me, l’esercizio migliore per diventare scrittori è leggere tanto. La lettura ti rende consapevole, ti consente di ampliare il tuo bagaglio culturale per capire anche cosa ti piace o non ti piace. La lettura ti dà suggestioni, spunti e ispirazione per trovare il proprio modo di scrivere e proporre sempre qualcosa di diverso.
Noi abbiamo la cattiva abitudine di voler etichettare tutto quanto, invece, ognuno di noi, ogni scrittore è un universo a sé e sa di poter offrire qualcosa di originale e di unico a chi legge.
7. Di questo romanzo si è pensato di farlo diventare una serialità visto che hai dei personaggi con personalità molto forti, affascinanti e a cui il lettore si affeziona?
Sinceramente non ci ho ancora pensato ma in effetti ne varrebbe la pena poiché questo ambiente monastico così bello non ha, però, esaurito la sua bellezza in questo romanzo. Ci sono molti aspetti di questa vita monacale che sono stati solo accennati ma che sarebbe molto interessante approfondire. Ad esempio Engilberta de Villers sta compilando un trattato sulle erbe velenose e questo potrebbe essere al centro di un nuovo romanzo. Engilberta ha anche un anello di pietra di serpentino dalle proprietà magiche che non ritorna più nel romanzo ma glielo ho voluto mettere perché inconsciamente, forse, stavo già cercando di proiettare questo personaggio in una prossima opera.
Intervista a cura di Benedetta Borghi