Intervista a Marco Buticchi

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(foto di Marco Buticchi)

1. Benvenuto su Contorni di noir e comincio chiedendoti: chi è Marco Buticchi? Non dimenticare di menzionare la tua onorificenza a “Commendatore al merito della Repubblica Italiana”..
M.: Marco Buticchi è una persona normale che sta bene in famiglia e non ama la vita frenetica, dopo aver svolto lavori frenetici per buona parte della sua vita. Non so se questo sia funzione del coltivare le sue passioni che mal si sposano con il perdere i propri giorni rincorrendo denaro e successo. Con questo non voglio dire di essere persona modesta e contagiata da falsa umiltà: ricordate che chi sale sul palcoscenico, lo fa per raccogliere applausi. Devo smentire tutti quei politicanti che hanno sbandierato per anni che “con la cultura non si mangia” e dire che, indipendentemente dai risultati economici, la cultura mi ha regalato un sacco di soddisfazioni; non ultimo il titolo di Commendatore al merito della Repubblica per aver contribuito alla diffusione della letteratura italiana nel mondo. Non so quanto queste soddisfazioni riempiano lo stomaco del politicante che fa crollare Pompei. Sicuramente riempiono l’anima.

2. Si parla spesso e in modo negativo di editoria a pagamento e il self-publishing viene posto alla stessa stregua. Entrambe le strade sono perseguite dallo scrittore emergente che crede nel proprio romanzo..Cosa ne pensi? Quali le principali differenze?
M.: Sono due cose assai differenti: la pubblicazione a pagamento è un vicolo senza uscita nel quale lo scrittore privo di una seria casa editrice alle spalle si infila per vedere coronato il proprio sogno. Rari sono i casi di libri “pagati” approdati al successo e spesso il sogno rimane chimera con l’aggiunta di un sostanzioso aggravio delle finanze.

Il self publishing, invece, è credere nelle proprie capacità sino a giocarsi in prima persona il mercato. Forse nessuno si accorgerà dello scrittore emergente selfpubblicato, ma il sogno sarà coronato e, nella peggiore delle ipotesi, si saprà che cosa regalare a Natale ad amici e parenti. Quando mi pubblicai da solo perché nessuno mi si filava, non esisteva ancora la pubblicazione on line e c’era l’obbligo della “tiratura” per abbattere i costi. Oggi invece la quantità non è più vincolante e stringere tra le proprie mani il frutto delle proprie fatiche letterarie è alla portata di tutti. Consiglio vivamente di ricorrere al self publishing dopo un primo giro di consultazioni con editori che rarissimamente rispondono. A proposito di editori vorrei ricordare qui quello che mi diceva Mario Spagnol – il grande editore che mi ha voluto alla Longanesi – quando si parlava di libri a pagamento : «Un editore deve pagare (poco aggiungeva essendo ligure come il sottoscritto) l’autore. Il contrario è un rapporto contro natura!»

3. Sei annoverato fra gli scrittori dal calibro di Wilbur Smith, Clive Cussler. Quali aspetti ti accomunano a loro?
M.: Il paragone è sempre lusinghiero, anche se adesso – e ciò mi rende fiero – si incomincia a dire che Buticchi scrive come Buticchi. Posso dirvi che cosa NON mi accomuna: la bilancia delle copie lette nel mondo pende inesorabilmente dalla loro parte per diverse centinaia di milioni di lettori… ma ci stiamo attrezzando .

4. Scrivi da parecchio tempo e stai riscuotendo notevoli successi con i tuoi romanzi ma..ti è capitato in momenti di difficoltà di trovarti a pensare: “Basta, non scrivo più.” o invece, come affermano in molti, la scrittura è una “necessità”? Cosa rappresenta per te la scrittura?
M.: La scrittura è uno sfogo naturale, un bisogno impellente che, gradatamente e in maniera non traumatica, si trasforma in lavoro. La struttura di un romanzo crollerebbe se ad alimentarla ci fosse soltanto il magico soffio dell’ispirazione. Oltre a quella ci vogliono anche perseveranza, applicazione, conoscenza, capacità e fatica per portare a termine qualsiasi opera.

5. Si legge poco in Italia, a tuo avviso? Quali sono i motivi?
M.: Perché – e parlo da lettore – la presunzione di molti scrittori del dopoguerra li ha portati alla convinzione di essere dei Verga o dei Pirandello con la diretta conseguenza che il loro “verismo” familiare fosse capace di interessare il mondo. Nel contempo ci vergognavamo di chi scriveva per far sognare o per intrattenere, arrivando a chiamare Emilio Salgari, Emile Salgarì alla francese. Nel frattempo, giù pagine di sfighe catastrofiche dei nuovi veristi: lampadine pendule, bambini affamati, parenti sul letto di morte. E, quando i romanzi che non fanno sognare si traducevano in colossali flop, nessuno si interrogava su che cosa volessero i lettori. Quando io leggo voglio sognare, voglio divertirmi, immaginare, appassionarmi, tendermi e rilassarmi. E, per inciso, siamo abituati a sognare con le gesta di eroi, regine e principesse. È invece sufficiente un telegiornale o quattro chiacchiere con la vicina per venire a conoscenza di disastri capaci di tenerci svegli in una notte senza sogni.

6. Ti hanno detto che “un italiano che scrive d’avventura ha vita breve in Italia”. Qual è il motivo di tale affermazione?
M.: Perché quando, negli anno ’80, consegnai la bozza del mio primo lavoro a un editore “amico”, non c’era più nessuno in Italia che scrivesse romanzi d’avventura. Il tempo poi ha sovvertito la profezia: la casa editrice dell’amico editore è stata chiusa e io scrivo romanzi d’avventura con un discreto successo da alcuni decenni.

7. E’ uscito ora il nuovo romanzo “La stella di pietra” per Longanesi. Ce ne vuoi parlare?
M.: Sarebbe lungo riassumere in poche righe un romanzo così articolato. Dirò solamente che la trama conduce il lettore tra i misteri del meraviglioso rinascimento italiano per poi calarlo tra i risvolti più inquietanti degli anni di piombo…

8. Spesso si parla di opere d’arte che celano intrighi, come a ricordarci che anche le cose più belle hanno sempre un lato nascosto. Cosa ne pensi?
M.: Penso che geni come Leonardo, Michelangelo, Botticelli e altri, si divertissero a racchiudere nei loro dipinti i propri segreti con la speranza che qualcuno, prima o poi, sarebbe arrivato a svelarli. L’arte, qualsiasi essa sia, avvicina al sogno umano dell’eternità. Perché non affidare il nostro messaggio più nascosto al tempo che scorre?

9. Nel romanzo parli di due epoche della nostra storia, le quali hanno trasformato il nostro Paese: da un lato il Rinascimento, periodo storico di rinnovamento e evoluzione. A fare da contralto, gli Anni di piombo. Qual è stata la ragione di questa scelta?
M.: Non esistono, per quanto mi riguarda, specifiche ragioni: un romanzo nasce da una folgorazione che racchiude in se tutta la forza per eseguire approfondite ricerche e sviluppare la trama.

10. Come ti sei documentato per la stesura e quanto tempo ti ci è voluto?
M.: Come sempre occorrono due anni tra un romanzo e l’altro. Il tempo di stesura è equamente suddiviso tra ricerche e stesura vera e propria.

11. Si parla di frequente di “strapotere anglosassone del romanzo”. Cosa ne pensi? Mi sembra che i nostri connazionali se la cavino piuttosto bene e che la letteratura italiana vada a scontrarsi con lo “zoccolo duro” della letteratura americana, creando una piacevole digressione. Pensi che possano avere eguale successo? Quali, a tuo avviso, i punti di forza o le debolezze rispetto a quella americana?
M.: Fateci caso, quasi ogni volta che un anglofono persegue un successo planetario, viene a rimestare nelle nostre italiche vicende: da Sapartacus al Codice da Vinci, ogni trama è intrisa di storia Patria romanzata. La differenza sta nei mezzi e nelle barriere protezionistiche di fatto esistenti. Mi spiego meglio: dinanzi a un americano si apre un mercato di fatto mondiale. Di fronte a un italiano si apre un asfittico mercato nazionale in cui impera la concorrenza più spietata e dove il solo nome straniero dell’autore garantisce la pubblicazione e un grosso tam-tam pubblicitario. Provate voi a tradurre un romanzo italiano in America! Vale l’esempio della filmografia: i film stranieri, in Italia, godono di doppiatori eccezionali. I film italiani in America vengono sottotitolati e così resi incomprensibili a chi non conosce la nostra lingua. I diritti del Nome della Rosa di Eco vennero ceduto negli Stati Uniti per pochi spiccioli. Poi diventò un fenomeno mondiale…

12. Molti autori decidono di creare un personaggio e fargli attraversare tante storie, mentre tu hai deciso di non creare una serie. E’ una scelta voluta? Credi sia vincente?
M.: I miei romanzi non sono “concatenati” l’uno con l’altro. Sono però sempre presenti i due protagonisti ricorrenti, il “piccolo” Oswald Breil e la bellissima Sara Terracini. Non si tratta però di interpreti evergreen sempre giovani e aitanti. Oswald ha la mia età e Sara quella di mia moglie e, come ogni comune mortale, invecchiano giorno dopo giorno. Se sia una scelta vincente non lo può certo dire l’autore… ma pare che i dati mi confortino.

13. Saluta i lettori e convincili a leggere il tuo romanzo (anche se li leggono a prescindere!)
M.: Non credo di dover convincere a leggere un mio romanzo, ma a leggere. Leggere apre la mente, aiuta ad affrontare la vita, insegna, distende, mitiga, rende felici. Quindi leggete, leggete, leggete. E, se vi capita di leggere un autore italiano, tanto meglio!

Grazie della tua disponibilità e in bocca al lupo per questa nuova avventura!

M.: Speriamo che il lupo non incontri la balena!