Intervista a Maurizio Maggi

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Maggi (C) Daniela Foresto
(c) Daniela Foresto

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Abbiamo recensito il romanzo di Maurizio Maggi, L’enigma dei ghiacci (Longanesi, 2016) e abbiamo voluto intervistarlo per comprendere meglio qualcosa di questo autore, oltre alla biografia che troviamo sul sito della casa editrice e che vi riportiamo: ricercatore in un istituto di studi socio-economici, si è occupato a lungo di musei, lavorando – in Italia, ma anche in Australia, Brasile, Cina – con comunità e istituzioni locali: il terreno nel quale è maturato l’interesse per la scrittura in ambito narrativo. È stato finalista al Premio Italo Calvino 2014. L’enigma dei ghiacci è il suo primo romanzo.

1. Benvenuto sul nostro blog, Maurizio. Raccontaci qualcosa di te, come hai cominciato e come vorresti proseguire.

Ho cominciato a scrivere nel 2009, ma il romanzo era ancora troppo impegnativo per me e sono passato ai racconti brevi, alcuni scritti da solo e altri a quattro mani con un amico. Qualcuno è stato pubblicato in appendice ai romanzi da edicola, qualcuno ha vinto dei premi, ma la svolta è arrivata nel 2014 con la finale del Premio Calvino. Longanesi mi ha notato e mi ha chiesto di scrivere un thriller. Io ne avevo già uno (non quello in finale quel giorno), gliel’ho spedito e tutto si è messo in moto.

2. E’ uscito ora per Longanesi il tuo romanzo “L’enigma dei ghiacci”. Qual è stata la scintilla?
La scoperta di un luogo incredibile come il lago Vostok: acqua temperata in Antartide a quattromila metri sotto il ghiaccio, isolato dalla superficie già milioni di anni prima dell’Uomo, quasi certamente popolato da forme di vita sconosciute. Ero stupito che non avessero già scritto decine di storie su quel posto.

3. Da un punto di vista storico politico il tuo libro è uscito con problematiche reali e proprio al momento giusto. Indicatori precisi? Fortuna? Altrimenti dove tieni la sfera di cristallo?
Essere un ricercatore mi ha aiutato: mi occupavo di scenari già una ventina d’anni fa, cercando eventuali forze motrici nelle relazioni fra tanti fenomeni in apparenza slegati. Ma i conflitti descritti nel romanzo sono elementi di sfondo utili a proiettare i personaggi in un contesto destabilizzato, perché siano più soli nel momento delle scelte. A farli muovere sono sempre odio e amore, paura e coraggio, e anche la tensione verso un mondo diverso: basato sull’intolleranza e il dominio per alcuni, e per altri invece sul rispetto della varietà e della bellezza della vita. Sono forze universali che non conoscono nazionalità o religione. Agitano le nostre piccole esistenze da sempre, e lo faranno ancora: non servono tecniche di scenario per prevederlo.

4. Siamo in un periodo storico in cui purtroppo il fondamentalismo religioso vorrebbe fare da padrone, condizionando il mondo intero. Tu hai messo a Gabriel il cappello di angelo vendicatore “cristiano”. Perché?
Potrei ricordare l’attacco di Utoya, all’epoca secondo per vittime solo alle bombe di Madrid, in Europa. O quello di Oklahoma City, il più grave in USA prima dell’11 settembre, o ancora l’attività sanguinosa di Army of God, ma non è questo il punto. Un vendicatore islamico o “folle” avrebbe dipinto il Male come una minaccia esterna, che potrebbe sottometterci ma non contaminarci. Invece violenza e intolleranza sono strategie diverse di fronte alle medesime pressioni, che tutti subiamo.

Se osserviamo il mondo attorno a noi, siamo sopraffatti dalla sua complessità: vediamo potenti strumenti di felicità e prospettive di povertà e dolore altrettanto grandiose, un benessere che mai le generazioni precedenti avevano conosciuto ma anche la possibilità di perdere tutto in un attimo, e per azione di forze che la maggior parte di noi non comprende. Essere spaesati o avere paura non è una vergogna. Non sarà questo a fare di noi dei coraggiosi o dei vigliacchi, ma il modo in cui reagiremo.  Facendo leva sulla ragione e sul cuore, consapevoli che la vita è una cosa più grande di noi, un albero immenso nel quale non siamo che un rametto insignificante e trovando il modo migliore di crescere in quel fogliame rigoglioso, nel rispetto di chi è diverso da noi. Oppure illudendoci di poterlo dominare, guidati da una visione del mondo che non accetta confronti con quella degli altri e provare a spazzare via chiunque non vi si adatti. Non ho la pretesa di insegnare nulla a nessuno con il mio libro, che è solo un romanzo d’avventura, ma è inevitabile che le visioni dell’autore condizionino la storia, no? E la mia storia dice che l’intolleranza non è una malattia aliena, magari nascosta sul fondo di un lago subglaciale: il virus più pericoloso per l’uomo è sempre un altro uomo.

5. Il tuo è un romanzo corale con tre punte. Il duetto di morte Amanda/Gabriel con una diversa visione etica di bene e di male. E il terzo incomodo, il russo Misha, l’eroe puro, senza macchia. Sei d’accordo con me che sia il più simpatico e azzeccato della covata?
Di Mikhail mi piace la dignità che si sforza di conservare anche nella cattiva sorte. Malinconico e solitario ma a suo modo ottimista, sempre convinto che se c’è un’ombra dev’esserci per forza anche una luce, l’avevo pensato come personaggio principale. Ma strada facendo mi sono innamorato di Amanda. Di lei mi piacciono lo sforzo ostinato per immaginare una seconda strategia di vita, dopo il fallimento della prima, e l’umiltà, non sempre scontata per gli studiosi, di accettare i segnali del mondo reale e di capire che quando la vita è una cosa diversa da quello che la teoria prevede, ha ragione la vita e ha torto la teoria.

6. Uno scenario difficile per una bella storia. Scafandri computerizzati, hydrbot eccetera eccetera. In quanto tempo e soprattutto come ti sei documentato sui tuoi “misteri” dell’Antardide?
Ho iniziato a studiare il “caso Vostok” a inizio 2012. Circa nove mesi dopo avevo una prima versione, poi integrata e approfondita, nel lavoro con Longanesi. Ho studiato e letto cose nuove sull’argomento fin dall’inizio e lo faccio ancora: articoli scientifici, blog e memorie web di chi è stato in Antartide, donne che l’hanno davvero attraversato a piedi, ricercatori e ricercatrici (un grazie particolare alla nostra brava pattuglia di Base Concordia). Ho visitato anche pagine di russi (e qui grazie a Google traduttore) che erano stati a Base Vostok. Le loro bellissime fotografie mi hanno ispirato. Quegli uomini barbuti con maglioni sformati, mobilio povero e attrezzature che sembravano uscite dai primi del secolo scorso, avevano negli occhi una luce di grande dignità, come fossero consapevoli di fare qualcosa d’importante: è lì che è nato il personaggio di Mikhail.

7. Il tuo romanzo mi ha richiamato certe fantastiche avventure cinematografiche di James Bond. Sbaglio?
Per scenari e tecnologie le ricorda, per altri aspetti è molto diverso. Senza la pretesa di generalizzare, mi pare di vedere differenze fra thriller d’avventura (dove scontro e competizione fisica e spettacolare sono centrali, mentre l’indagine è secondaria e piuttosto semplice) e thriller investigativi (dove succede il contrario). Sotto questo profilo, il mio è avventura, nessun dubbio. Ma non è tutto. Nell’avventura, buoni e cattivi sono ben distinti, alla fine c’è un chiaro vincitore e tutto ciò che appare sulla scena ha un ruolo, che prima della fine del romanzo deve essere chiarito, senza ambiguità. Nei romanzi d’indagine invece non sempre si chiarisce tutto. Anzi, spesso l’ambiguità è uno degli aspetti intriganti. Buoni e cattivi non lo sono sempre al 100% e vittorie e sconfitte non sono mai nette. L’enigma dei ghiacci presenta tratti di entrambi i generi: un ibrido che potrebbe sconcertare il lettore oppure catturarlo, chissà, ma è il mio modo di scrivere.

8. Ci sono molti riferimenti al potere della multinazionali. La Most che tu ipotizzi ha qualche punto di contatto con l’attuale politica mondiale?
Premesso che è tutto molto semplificato, altrimenti avrei ucciso i lettori di noia, i grandi capitali finanziari sono oggi più potenti che in passato. Per capirci: i soldi contano più delle merci e si fanno con altri soldi e non con investimenti. Inoltre conta più muoverli che averli. Parliamo di potenze di solito ignote al grande pubblico. Tutti conosciamo Coca-Cola company o Apple, ma ci sono sconosciuti fondi d’investimento capaci di spostare cifre enormi con un click, o di modificare i tassi d’interesse di un paese con una dichiarazione alla stampa, e dunque assai più potenti.

9. Quanto della tua possibile realtà si deve temere veramente?
Le relazioni competitive anziché cooperative fra paesi europei sono purtroppo una realtà e fuori dalla UE non va molto meglio.  Lo scarso potere d’indirizzo dei singoli nei confronti delle grandi forze motrici della storia, non è invece una novità e non è mai esistita un’età dell’oro in cui i cittadini contavano di più. Però è vero che la maggior parte delle persone, nella maggior parte dei paesi, fino a qualche anno fa, reagiva con più coraggio alle sfide.

10. E quanto delle tue possibili realtà invece si dovrebbe auspicare?
Alcuni comportamenti dei singoli. Prendiamo Mikhail: i sogni sono un’arma a doppio taglio, possono farti perdere il contatto con la realtà. È giusto dunque non farli morire, ma più che mantenerli in vita con l’accanimento terapeutico, conta la capacità di cogliere l’attimo per realizzarli, quando si presenta. Tempismo e coraggio: è questo che distingue un sognatore da un illuso.
E Amanda: immaginare oltre gli schemi prefissati, come nelle parole di George Bernard Shaw che lei ricorda nel finale. Pensare a cose mai esistite e chiedersi: perché no?

Intervista realizzata da Patrizia Debicke