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Abbiamo incontrato Wulf Dorn, in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo intitolato “Gli eredi“, edito da Corbaccio ed è stata realizzata questa intervista collettiva insieme ad altri blogger.
Giusto per curiosità, il titolo del romanzo in Germania è “I bambini”, modificato poi in Italia secondo un’idea del direttore editoriale Cecilia Perucci. L’idea è nata da una pubblicità del WWF di molti anni fa: una foto su una rivista con l’erba alta dalla quale spuntavano le teste di due orsetti e la frase: “Non siamo noi che lasciamo in eredità il mondo ai nostri figli, ma sono i nostri figli che ce lo danno in prestito”. Fu detta da un grande capo indiano nel 1856 in occasione di un incontro negli Stati Uniti. Una scelta molto azzeccata.
1. “Gli eredi” è una favola nera? E, come tale, c’è una morale?
W.: Si, direi che l’intenzione della favola è raccontare un certo tema in maniera tale da trasportarlo verso chi lo ascolta e renderlo comprensibile. Quindi il termine è molto calzante.
Non si tratta di una morale, non voglio dare un finale come quello delle favole. Il mio pensiero iniziale era proprio quello di trasmettere un’idea che serbavo da tempo e non di dare la soluzione. Il lettore deve trovarla da solo leggendo il libro e tutti possono trovare un diverso finale. Direi, anzi, che ogni lettore viene spronato a pensare a cosa si potrebbe fare di diverso.
2. I bambini nel tuo romanzo si ribellano quasi nel grembo materno. Senza arrivare a questo estremismo, credi che l’unica possibilità di salvare il mondo sia effettivamente nei giovani?
W.: Secondo me i bambini simboleggiano il futuro, ma il pensiero che mi ha mosso è: “Cosa stiamo facendo noi del mondo in cui viviamo?”, “Cosa stiamo lasciando alle generazioni future?” La reazione dei bambini rispetto al nostro comportamento, al nostro modo di risolvere i problemi così carico di violenza (guardate a livello politico cosa succede nel risolvere i conflitti mondiali). Ho tentato attraverso i bambini di rendere evidente tutto ciò. Se non cambiamo il nostro modo di comportarci, come faranno le prossime generazioni? Faranno lo stesso o una rivoluzione?
3. La tua scrittura è cambiata: prima scrivevi del passato che tornava a fare paura ai protagonisti, mentre in questo è il futuro che fa paura.
W.: Noi ci troviamo esattamente a metà strada tra passato e futuro. Il passato è il punto da cui partiamo e il futuro è il punto verso il quale ci stiamo dirigendo. Dobbiamo imparare dal passato per creare un nuovo futuro, altrimenti rifaremo sempre gli stessi errori. Non sarebbe auspicabile né dal punto di vista individuale né da quello evolutivo.
4. Da quale storia reale sei partito per scrivere questo libro?
W.: Ho letto i rapporti annuali dell’Unicef e non è altro che una minuscola percentuale di tutto ciò che sono i destini di queste creature. Leggendo questi rapporti, ti accorgi di cosa succede a questi bambini e ti rendi conto che ciò che loro vivono sia uno dei peggiori horror esistenti. Ritengo importante che esistano delle istituzioni come l’Unicef che si impegnano per la salvaguardia di queste vite.
5. Un’immagine che mi ha colpito molto era quella della bambina che riceve per il compleanno un’arma. Secondo te cosa spinge un genitore a fare questo tipo di regalo al proprio figlio?
W.: E’ veramente così com’è nel libro, esiste veramente una ditta che vende anche queste armi modello Hello Kitty. E’ scioccante vedere come esistano nella realtà aziende che producano armi, ma anche fumetti. E’ tutto come il mondo di Barbie. Se guardi su Youtube, per esempio, ti rendi conto di quanti genitori ci siano, tutti fieri di insegnare ai propri figli l’uso delle armi.
Direi che questo è tipicamente americano, forse da noi non è proprio così. Sono stato negli Stati Uniti e ho visto con i miei occhi il culto delle armi, le hanno tutti in casa. Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano la più alta percentuale di omicidi, risolvono così qualsiasi tipo di conflitto. La scena nel romanzo è stata molto impegnativa e nomino anche una serie di fotografie che ritraggono una bambina che presenta la sua prima arma.
6. Mi vengono in mente fatti di cronaca degli ultimi giorni: l’uccisione del tifoso argentino buttato dalla scalinata di uno stadio, o i ragazzi italiani che hanno massacrato a pugni e calci uno fuori dalla discoteca. I bambini potrebbero cambiare le regole del gioco, nel tuo romanzo. Ma a me fanno paura i bambini di adesso, come crescono. Dove sta andando questo mondo? Siamo sicuri che i bambini di oggi non saranno i violenti di domani?
W.: E’ la stessa domanda che mi sono posto io. Dove stiamo andando? Cosa stiamo facendo del nostro mondo? Io non ho una risposta ma solo possibili risposte. Se noi non cambiano niente nel nostro atteggiamento, cosa succederà? Mi sembra di essere tornato indietro negli anni: la bomba atomica, la minaccia nucleare, tutto questo in nome della pace. E’ un paradosso. La violenza è l’unico mezzo per risolvere i problemi, ma se un singolo non può risolvere tutti i problemi, possiamo però cominciare a dare l’esempio. Tutti possono imparare e in questo voglio credere.
7. C’è un punto del romanzo nel quale scrivi: “Credo che noi adulti commettiamo spesso il grande errore di sottovalutare voi bambini, siamo stati anche noi bambini. Avevamo domande e avevamo risposte.” Com’è stato Wulf Dorn da bambino? Avevi anche tu domande? E quali risposte ti davi? Hai avuto la sensazione di non essere ascoltato dagli adulti o hai sentito un senso di frustrazione verso quelle che potevano essere le tue idee e per questo hai avuto l’idea di scrivere questo romanzo?
W.: Il fatto che i bambini vengano troppo spesso sottovalutati mi balza all’occhio. I bambini hanno un modo diverso di pensare. Noi adulti pensiamo in maniera più complessa. Pensate tutti a una cosa che può essere piccola, verde e triangolare. Se lo chiediamo a un bambino, c’è subito la risposta: un triangolo piccolo e verde! Ed è per questo che finiamo per sottovalutarli. I bambini affrontano in modo diverso la conversazione e potremmo imparare da loro. Io sono sempre stato un bambino curioso – la mia cameretta era praticamente una biblioteca comunale – e ho fatto sempre un sacco di domande agli adulti, ricevendo le risposte. Non mi sono mai sentito frustrato.
Quando non le avevo, passavo alla lettura di libri ai tempi in cui internet non c’era ancora.
8. Hai inserito molti passaggi relativi agli animali, in particolare la scena delle farfalle ha inquietato tutti. Pensi che i bambini siano più vicini – come gli animali – alla parte istintiva? Rispondono più alla loro natura e non alle regole imposte?
W.: Sono cresciuto in campagna e mi piace immergermi nella natura e credo che le cose che osserviamo finiscano per influenzarci. Vicino al posto in cui vivo c’è un fiume in cui ci sono, ad esempio, anatre che si riuniscono in branco come forma di protezione e per stare al caldo d’inverno.
La scena dei pesci mi serviva per dimostrare come la natura riesca ad essere così intelligente da unirsi per la sopravvivenza. Diventare un unico essere rappresenta un grande passo evolutivo, così come accade alla bambina piena di farfalle.
9. E’ stato curioso leggere di una gravidanza che sconvolge la vita sia degli uomini che le donne, i primi impegnati nella carriera e le altre che si preoccupano delle difficoltà in cui incorreranno. Nel momento in cui Laura aspetta un figlio, prende consapevolezza del male che la circonda, come se fosse stata la maternità ad aprirle gli occhi.
E’ un monito ad avere più figli e attraverso loro preparare un futuro migliore?
W.: Per me Laura è proprio la parabola di questa società. Posso parlare solo della società in cui vivo, ma intorno a me c’è un sacco di gente che pensa solo al presente. In Germania c’è stata un’analisi dei testi delle canzoni degli ultimi decenni e sono state analizzate tre parole in particolare: Tu – Io – Noi.
Abbiamo potuto verificare che la parola che compare con maggiore frequenza è Io. E’ una società egocentrica, pensiamo alla nostra carriera e al nostro benessere e poco a quello che sarà il futuro. Laura, con questa gravidanza, si interroga sul “dopo”, perché in quel momento non è solo responsabile di se stessa ma anche della vita che ha in sé. Nella vita di tutti, arriva un momento in cui ti chiedi qual è il tuo ruolo nel mondo. Questa era la mia intenzione, bisogna pensare al peso della propria esistenza nel mondo.
10. Il titolo in tedesco era “I bambini” e la traduzione italiana è “Gli eredi”. La scelta è stata azzeccata in quanto cambia totalmente il significato.
W.: Grande punto a favore di Corbaccio, che lo ha modificato dando maggiore profondità e senso alla storia. Infatti, Robert si rende conto che la generazione precedente ha avvelenato il mondo.