Intervista a Giulia De Biase, editor di Alafair Burke

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fonte: www.affaritaliani.it

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Abbiamo incontrato Giulia De Biase, editor di Piemme,  che ha seguito autrici internazionali come Paula Hawkins ne La ragazza del treno
E ora Alafair Burke ne La perfetta sconosciutaCi ha raccontato i retroscena del lavoro che c’è dietro l’editing del thriller psicologico che ha scalato le classifiche in brevissimo tempo:

Alafair Burke è un’autrice di libri gialli romanzo che possiamo definire un thriller psicologico perché c’è un detective, c’è un’indagine, ci sono dei morti. Poi come “La vita perfetta” la protagonista si ritrova a non capire quello che le sta succedendo intorno. E’ stato il libro più acclamato, anche da Michael Connelly il modo in cui è facile indentificarsi in qualcuno le cui certezze piano piano cominciano a crollare. Questo è stato il punto di partenza.
Le sue storie nascono da due cose: la sua esperienza come avvocato – anche all’interno della polizia – e poi dai fatti di cronaca. Infatti, la storia della ragazzina scomparsa nasce da un fatto vero, quindi sono storie romanzate.

1. Del lavoro che fai tu mi incuriosisce l’importanza che ha il tuo ruolo nel mantenere intatta la voce dello scrittore, perché il rischio è che tra traduzioni, editing ecc si possa perdere soprattutto per noi che lo leggiamo in lingua differente. Quali sono i tratti particolari dell’autrice rispetto ad altri?
G.: E’ fondamentale, è il primo passo la traduzione, richiede un’attenzione totale. C’è un processo di revisione proprio per questo motivo. Dipende dal libro, in questo la Burke ha dato voce a vari personaggi, quindi ha dimostrato la propria versatilità nel cambiare i punti di vista.
Le parti di Alice sono in terza persona, ad esempio. Con Connelly c’è una certa somiglianza: hanno entrambi lavorato nel mondo della legge, infatti quando leggi ti accorgi che sanno di cosa si sta parlando. René Knight, invece, ha un altro tipo di costruire il plot, ne “La ragazza del parco” ci ha fatto entrare nel personaggio di Olivia e ci ha trasmesso tutte le sfumature della protagonista.

2. Il lavoro di traduzione e di editing sono due fasi successive o può accadere che ci sia una prima parte di traduzione e un primo lavoro di editing per dare delle direttive e tenere queste voci?
G.: Con traduttori nuovi o con libri complicati ci facciamo trasmettere una trentina di pagine per dare delle direttive. Devo dire che con l’esperienza acquisita se diamo direttive si tende ad esagerare. L’ideale è parlare prima del libro e farlo leggere tutto al traduttore. Alcuni dicono che diventa noioso tradurre un libro se lo leggono fino alla fine. Quindi traducono leggendo. A mio avviso, invece, è fondamentale nei gialli leggere prima, per poi tornare e riprendere tutte le particolarità per evitare di non rovinare un finale a sorpresa.
Ci sono traduttori come Colitto, che conosce l’autore a menadito, quindi diventa più facile anche scrivere ed essere in empatia con il romanzo.

3. Hai la possibilità di scegliere e presentare dei testi o ti vengono dati dalla casa editrice?
G.: L’editor fa proprio la scelta di cosa pubblicare, ovviamente all’interno di un gruppo di lavoro. Noi abbiamo tutti i giorni una cinquantina di proposte e molto dipende dall’editore e dal momento. Dieci anni fa in Piemme scattava il sì sui libri che parlavano di Afghanistan, visto il successo de “Il cacciatore di aquiloni”. Ora c’è il filone della tensione e del thriller, come della Hawkings. Poi dipende dall’editore se in America o in Inghilterra.

4. Dopo quante pagine dici “Non se ne parla”?
G.: A volte anche a pagina 3 ti rendi conto se ne vale la pena. Altre volte basta addirittura la lettera di presentazione, parlando di italiani.

5. Una bellissima storia scritta male?
G.: Non è un libro che potete conoscere. Una storia perfetta, un thriller psicologico.

6. E’ comune che un manoscritto che hai rifiutato lo hai visto pubblicato e lo vai a rileggere?
G.: Si, mi è capitato. Spesso un editore quando cerca di prendere un romanzo, anche altri editori hanno cercato di acquisirlo. Devo dire che tutti gli editor hanno in comune di non rileggere qualcosa che hai già letto.

7. Di quante parti si compone un editing?
G.: Si parte in modo macro: lo leggi tutto e evidenzi alcune cose che non tornano o troppo breve, o troppo lungo.

8. Personaggi che sono presenti nel romanzo sono tanti. Tra questi ce n’era qualcuno che non ti convinceva? O che all’interno della trama non collimava con gli altri?
G.: Il testo originale non l’ho letto in quanto l’editing viene fatto direttamente dagli editor stranieri. Io ho letto la versione che leggete voi. Ci sono magari personaggi che vengono fuori meno, come ad esempio il padre di Becca. Però è voluto anche questo, in quanto il bello del thriller psicologico tu vedi la realtà da i vari punti di vista.

9. Alla fine del romanzo, la Burke scrive di essere stata ispirata dal West Village di New York, oltre che alla vicenda di una ragazza scomparsa. E’ sentita molto la crisi in America tanto da raccontarne in un romanzo?
G.: Si è trasfertita a N.Y. Tardi e prima di scrivere questo romanzo ci ha vissuto un po’ e ha avuto modo di conoscere la città molto bene. N.Y. non è l’America vera, profonda. Il discorso vale per tutte le grandi città e il quartiere si è trasformato con ristoranti alla moda e gallerie d’arte, molto suggestivi. Il libro è molto newyorkese, scompare la lavanderia cinese o le catene di Bucks.

10. Una scena preferita del romanzo?
G.: L’approccio di Drew nella galleria è molto divertente! La Burke è molto brava a tenere in piedi il dubbio sul comportamento di lui nei confronti di Alice. Non era facile partire da una premessa del genere. Poi tutta la parte di Becca, quella è l’America delle piccole città: il paesino, la mamma single, la tenerezza del poliziotto nei confronti della madre. Anche i poliziotti sono persone fragili, anche il detective Morhart dedica parte del suo tempo a consolare la madre.

11. Gli editor sentono la mancanza della figura del lettore di manoscritti in casa editrice?
G.: Ho alcuni lettori di fiducia che, nonostante i tempi brevissimi, mi diranno cosa ne pensano del libro. Posso permettermi il lusso di far rientrare pochi libri tra quelli che verranno editati ed è difficile che io acquisti un libro solo in base alla segnalazione dei lettori.

12. Team cover: la copertina è davvero molto bella. Vuoi raccontarci com’è nata?
G.: Questa non è la copertina originale, è una nostra idea. Dovevamo scegliere un elemento molto semplice, qualcosa di concreto. Non paesaggi, non figure umane.
Abbiamo provato con un taxi giallo, oppure con un’auto descritta sul romanzo, infine un guanto. Quest’ultimo è proprio classico da utilizzare, ma molto efficace. Molto nitido, su un piano, qualcosa di materico. Il colore è stato un’idea della grafica, volevamo un colore solo dominante, che si riconoscesse anche da lontano. Anche ne La vita perfetta c’era un solo oggetto: un ombrellone.