Editore Mondadori Collana Omnibus
Anno 2018
Genere Noir
264 pagine – brossura e ebook
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I giorni dell’ombra è un microcosmo “di umano sentire”, osservato all’inizio dall’esterno da chi in realtà conosce quanto vi accade all’interno e, dopo, in ragione di un talento rarissimo, visto da dietro uno schermo da un’estranea a se stessa e al mondo, Vittoria, e dai suoi occhi nuovi, gettando via l’esperienza di uno sguardo che ha già provato ad essere qualcuno là dentro, ma è rimasto invisibile. Le parole traducono ogni immagine, ogni azione, ogni emozione che abita quel piccolo mondo diviso da pochi metri di strada, una mezzeria dell’esistenza che separa la realtà dal desiderato, l’amore dall’odio, la sottomissione da una possibilità di poter respirare senza disturbare.
L’intero libro è permeato da un disagio chiuso a cui però nessuno può rinunciare per evitare di doversi vedere. Ne è un esempio la figura di Daniel, dove i suoi pensieri vedono, mentre gli occhi restano ciechi e le sue parole sono vuoto assoluto rivolte a nessuno. Non c’è un solo personaggio, a partire da Vittoria e Maria, che sia visibile a se stesso e, la storia, come a voler cancellare un inizio che non esiste, lascia spazio a un divenire in continuum. In ragione di ciò, la Scrittrice Esterna Sara Bilotti è un distacco presente, una goccia che dall’alto ingloba e custodisce quel piccolo universo di umanità smarrite, ritrovate, perdute, esitando e poi lasciandovisi precipitare sopra fino a restare sospesa sfiorandolo appena, senza alcuna volontà di sopraffazione o intromissione, ma pervasa da un’accoglienza istintiva e sensibile, più o meno violenta.
I giorni dell’ombra è quotidianità dolorosa, ingoiata ma mai deglutita, che ostruisce la voce e zittisce le parole, è ordinario nell’Arte, intesa nella sua forma più nobile e alta di condivisione universale che si compie silenziosa, senza avvisi, cominciando a fluire nel sangue stesso di chi legge contaminandolo di sentimenti contrastanti, dolorosi, squarcianti, ma altresì irrinunciabili.
Dentro al lettore confluiscono emozioni pure, non filtrate dalla razionalità. Emozioni bianche e nere che si fondono per creare quel grigio che è l’essere umano. I giorni dell’ombra può essere considerato un saggio narrativo su l’essere umano. I giorni dell’ombra non è un noir, sarebbe assai limitativo definirlo tale, ma è dramma, scandito dall’armonia del libro, dai suoi tempi perfetti. I giorni dell’ombra è rinascita dentro i tanti brani che si potrebbero estrapolare dal contesto avendo un loro inizio, centro e fine di un preciso concetto emotivo, dove i personaggi sono tramiti in carne ed ossa, espedienti per lasciare vita, arte e parte alle emozioni più profonde, anime uniche ed eterne.
L’autrice ascolta quelle anime e per questo è disposta ad annullarsi e smarrirsi, a restare solamente dentro quel confine che permette di vedere i contorni ma impedisce di toccarli. E ci troviamo davanti a case, dentro case, case vere con dentro case di carne, poi case di carne con dentro case di anima, case di anima con dentro case di vuoto. Case di vuoto che si vorrebbero arredare, ma dentro le quali poi sarebbe comunque vivere dentro l’ennesima prigione. Il vuoto invece dà sicurezza, seppur nel dolore, un travaglio descritto con la piuma di un’eleganza antica che appartiene ad ogni lavoro della Scrittrice Esterna, dentro una scrittura che ha la capacità rara di sottrarre. Nella musica ci sono il battere e il levare. Il battere è comune. Si sente, è l’ascolto. È il levare che è difficile. Quell’attimo in cui si marca l’aria nel silenzio. È per pochi la capacità di saper acciuffare il respiro del tempo, dentro il quale sta il Tutto di filosofica greca memoria, ovvero quell’unica regione costituita dalla totalità delle cose. Sara Bilotti coglie ogni volta quell’infinitesimo di tempo e dentro a quel soffio legge l’emozione arrivando poi a personificarla in modo materiale e universale. Un talento di sensibilità e comprensione che le permette di lasciar vivere le emozioni, limitandosi a guardarle da fuori, spingendosi al massimo a un breve dialogo con esse, come accade nella seconda parte dell’opera, ma sempre da ospite misurato e sul punto di andare via per non ritornare più. Non è necessaria una presenza invasiva dell’autrice, poiché quelle stesse emozioni l’hanno già con sé e non occorre che i sentimenti siano rigenerati e riproposti. È questo processo mancante, un vuoto, che rende straordinaria e unica la scrittura di Sara Bilotti (come d’altra parte, si era già notato nel suo libro di esordio, la raccolta di racconti “Nella Carne”).
L’assenza di sé e di un qualcosa che non è scritto, ma di assoluta presenza dentro e oltre le sue parole. Un vuoto che sarà riempito da chi avrà la fortuna, il privilegio, di leggerla. Quel vuoto è riservato al lettore, alla sua esperienza dopo una lettura d’altri tempi scritta e sublimata in un tempo “oggi”. Quel vuoto è lasciato alla sensibilità di comprendere e di lasciarsi vivere dalle emozioni, anche le più feroci e destabilizzanti, arrivando infine ad arricchirsi. Basta non aver paura di vedere i sentimenti dentro quelle case, perché la vita è quelle case, contiene tutti, ognuno con le sue storie, diverse ma così uguali ad altre. Dalla vita non si può uscire, ad eccezione di qualche minuto di sogni liberi vissuti in un cortile, incastonati preziosi e impossibili nell’angolo tra un giglio e una viola e di passi ricalcati su una strada sempre uguale, uniche concessioni di una Regina anarchica. Perché uscire dalla vita non vuol dire soltanto morire, ma anche non esistere più o non essere mai esistiti, (soprav)vivendo.
Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini
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La scrittrice:
Sara Bilotti è nata a Napoli, dove vive. Dopo anni di attività come traduttrice e ghostwriter, ha esordito nel 2012 con la raccolta di racconti Nella carne (Termidoro Edizioni), per poi pubblicare per Einaudi Stile Libero nel 2015 la trilogia composta dai romanzi L’oltraggio, La colpa e Il perdono.