Intervista a Ivan Brentari

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(c) Cecilia Lavopa

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Ivan Brentari è laureato in Storia, ha pubblicato Giuseppe Sacchi. Dalle lotte operaie allo Statuto dei Lavoratori e, con Aldo Giannuli, L’insolita morte di Erio Codecà. Il suo ultimo libro è Meccanoscritto, un romanzo ipercollettivo, scritto con Wu Ming 2 e il Collettivo MetalMente, da cui, sempre insieme a Wu Ming 2, ha tratto Meccanicosmo, pièce teatrale andata in scena al Teatro Argentina di Roma.
Ha cominciato a scrivere il thriller Nel fuoco si fanno gli uomini, pubblicato da Piemme (2018) alla fine del 2011 a soli 24 anni ed è l’inizio della vita letteraria di Alessandro Valtorta che è il protagonista di questo romanzo, nato e cresciuto a Corvetto, come l’autore. La zona di Corvetto ha un passato complesso, ex quartiere operaio dalla fine degli anni 70, è diventata una delle piazze di spaccio dell’eroina più importante d’Italia. Brentari è contrario a tutte le dipendenze ma tutte quelle realtà le ha vissute. Valtorta è figlio e vittima delle sue stesse ossessioni, della sua vita e le sue scelte in senso lato.
Passiamo al romanzo: viene uccisa una prostituta russa in una casa vicino Piazzale Libia. In casa ci sono soldi e tracce di cocaina. Qualche giorno dopo, sparisce un sindacalista della Fiom. A Milano c’è la lotta per il contratto nazionale dei metalmeccanici, il Salone del mobile, è tutto contemporaneo e questa sorta di tempesta perfetta dà vita alla storia e getta benzina sul fuoco delle ossessioni di Valtorta. All’inizio le storie sembrano separate ma poi diventano una sola.
Abbiamo incontrato l’autore per farci raccontare qualcosa in più di lui e del romanzo:

1. Ci presenti i personaggi principali?
I.: C’è Alessandro Valtorta, protagonista e commissario di polizia, nato e cresciuto in Corvetto con un passato da informatore. Poi Mattia De Pin, ispettore capo di circa 60 anni. C’è anche Miranda, la donna di Valtorta, che è stata anche la sua psicologa. Durante un’operazione di polizia nella quale muore una ex amica di Valtorta – figlia di un boss – lo aiuta ad uscire da questa ossessione, ma si scopre che Miranda è una manipolatrice.
Poi c’è Oxana Golubeva, una prostituta russa anch’essa vittima della sua vita. Ha però saputo volgere questa debolezza nella sua forza ed è tramite il suo corpo che controlla tutti gli uomini che finiscono per orbitarle intorno.
Infine, c’è il sindacalista della Fiom, Antonio Medri di cui si perdono le tracce a seguito di un incidente sul lavoro. Sono rimasto molto scosso nello scoprire che le dinamiche di cui ho scritto sette anni fa sull’incidente in fabbrica del quale racconto all’inizio del romanzo, sono le stesse che sono accadute alle Acciaierie Venete di Padova a maggio 2018. C’è poi un altro personaggio, che è il padrone della fabbrica in cui si svolge l’incidente, che verrà coinvolto nell’indagine. Da ognuno di queste figure ho preso le distanze, ma c’è qualcosa di me nel romanzo, a partire dal quartiere in cui svolgo la storia.

2. Ho notato una tua attenzione particolare alla classe operaia, viste le pubblicazioni precedenti. Il meccanoscritto (ed. Alegre, 2017) racconta i tempi che raccontavano la trasformazione del lavoro negli anni 60. Ci spieghi come mai e, per fare una similitudine, come pensi sia cambiato il modo di scrivere dagli anni ’60 a oggi?
I.: Ho una formazione umana e politica che viene da un mio amico, Giuseppe Sacchi, un grande sindacalista che aveva 70 anni più di me. E’ morto nel 2016 a 99 anni e del quale ho scritto anche la biografia, uno dei più grandi rivoluzionari italiani in senso leninista, secondo me. Essendo nato io nel 1987, ho conosciuto la Milano da bere e oltre, dove il versante economico si è molto terzializzato, sono sparite – ma non del tutto – le fabbriche, sicuramente se ne parla meno. La mia formazione politica e anche culturale deriva da questa persona, infatti vivo in realtà una generazione che non è la mia e vivo il mondo con 50/60 anni di ritardo. Alcune cose restano, la classe operaia resiste ancora, i giornali ne parlano solo quando qualcuno muore.
Sulla narrazione di Milano, sono un lettore molto lento. Questo significa che seleziono i libri che leggo e spesso sono di letteratura americana o straniera. Ho letto autori che scrivono di Milano, ma quello che ti posso dire è che la maggior parte dei libri ambientati a Milano rincorrono certi tipi di cliché, la Milano di facciata e non quella reale.

3. Hai raccontato di un quartiere immerso nella droga, come hai fatto a non farti coinvolgere?
I.: Nel quartiere dove sono cresciuto è continuato ad esistere il problema della droga, ne gira tanta ancora oggi. A me personalmente è capitato di portare fuori il cane e accorgermi in tempo che stava facendo pipì su alcuni ragazzi che si stavano bucando fra le macchine. L’eroina sta tornando, purtroppo, in ragazzi giovanissimi – sedici, diciassette anni – ed è un problema sociale ed economico: la mia generazione, per ragioni culturali, economiche e politiche, per la prima volta vivrà sotto la soglia della generazione dei nostri genitori. La cocaina è l’illusione di darsi la carica, mentre qui lo sappiamo che non andrà meglio.

4. In una precedente intervista, dopo la pubblicazione de L’insolita morte di Erio Codecà, tu dicevi che uno degli obiettivi era parlare di storia attraverso il giallo. In questo romanzo, invece? Parlare di giallo attraverso la storia o…?
I.: Volevo creare una storia e un protagonista che avesse una direzione morale e fare una storia sugli operai, sulla parte di una Milano meno conosciuta in chiave noir.

5. Quando scrivi ti piacciono i contrasti e in questo romanzo se ne vedono tanti. Vai sempre a cercare questo tipo di dualità o è una cosa che avviene nel tuo lavoro e ti sei accorto alla fine?
I.: E’ dal conflitto che nasce la storia, secondo me. E’ la base della narrazione ed è più facile creare e caratterizzare i personaggi che si scontrano con qualcosa. Mi piace un personaggio che non sa cosa vuole, nel canone del contrasto si posso trovare delle sfumature particolari e diverse.

6. Ho trovato molti accenni nel tuo libro alle musiche blues di John Lee Hooker. Che canzone abbineresti al tuo romanzo? Permettimi di dire che è un genere che non piace molto ai giovani, quindi hai gusti particolari in fatto di musica…
I. Direi che abbinerei Crowling King Snake. Sia nel leggere che nell’ascoltare musica, non ho mai uno sguardo ampio, se trovo un cantante che mi piace, ascolto tutto di lui. E poi io sembro un sessantenne, come gusti. Ma mi va bene così! Il blues è una musica semplice, che con parole semplici trasmette contenuti molto alti.

Cecilia lavopa