Intervista a Antonio Manzini

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Mentre l’ultimo romanzo di Antonio Manzini furoreggia, scalando tutte le classifiche , e piazzandosi sicuro al primo posto, noi gli rivolgiamo alcune domande, a nome del blog Contorni di noir.
Il romanzo si intitola “Fate il vostro gioco” (Sellerio editore Palermo, 2018) e si svolge nell’ambiente del gioco d’azzardo. Ancora una volta Manzini ha fatto centro, e che centro! Chi ha avuto modo di conoscere dal vivo questo autore, e di ascoltarlo, non può che provare simpatia ed ammirazione. Perché non è solo un bravo narratore di storie, ma un fine psicologo, conoscitore dell’animo e delle umane debolezze, sensibile, ironico ed arguto. Già dalla dedica dell’introduzione al romanzo, i suoi lettori sono conquistati. E proprio da qui vogliamo partire, per porgli la prima domanda.

1. Ciao, Antonio e benvenuto. Torni in libreria con il romanzo “Fate il vostro gioco” di Sellerio. Come hai avuto l’idea di ambientare il tuo romanzo nel mondo del gioco, realtà tristemente attuale? Conoscevi qualche storia da cui prendere spunto, o semplicemente hai inventato, per affrontare un argomento di grande attualità?
A.: Il casinò di Saint Vincent è lì, piantato nel mezzo della Valle e ci si passa sempre davanti. E’ un totem, una presenza inquietante e ineludibile e prima o poi dovevo parlarne. Lo spunto nasce dall’osservazione della realtà, dall’alto tasso di ludopatici in valle. La ludopatia è un argomento che mi ha sempre incuriosito, una malattia sulla quale lo stato lucra, come l’alcolismo e il tabagismo, e al diavolo le famiglie spezzate, l’indigenza e la disperazione che in alcuni casi porta al suicidio.

2. Anche se Rocco Schiavone fa impazzire le sue ammiratrici, il suo bilancio alla fine di questo ultimo romanzo non è positivo. Un caso poco chiaro, praticamente non risolto (e meno male…così la rileggeremo presto!); l’amore peggio che mai, dopo la delusione con Caterina. Forse solo due lati sono positivi: l’affetto per Gabriele – ormai come un figlio, suo malgrado – e i ricordi dolorosi che si attenuano, come sempre accade… Forse è proprio questo personaggio così ruvido e tormentato a incrementarne il successo. Non avrà mai la sua parte di felicità Rocco Schiavone?
A.: Felicità è una parola grossa. Sarebbe già un ottimo risultato un po’ di serenità, ma non ha un’esistenza semplice. Sta imparando a ricercare delle piccole oasi dove fermarsi a sorridere, delle bolle d’aria in una grotta sottomarina per poter respirare.

3. La Valle d’Aosta è una regione incantevole, clima rigido a parte. Certo nulla a che fare con le dolcezze del clima romano. Come è nata l’idea di ambientare lì i tuoi romanzi? Il freddo intenso, la neve, i piedi bagnati: Rocco riesce a trasmetterli anche al lettore, durante la storia. Riuscirà un giorno ad abituarsi e ad amarli almeno un poco?
A.: Serviva un posto lontano dalle abitudini di un romano nato a Trastevere, un luogo chiuso, poco conosciuto e poco raccontato in cui il personaggio provasse una sorta di isolamento, di allontanamento coatto. Sono anni che frequento la Valle, la conosco e la amo, e mi sembrava il posto migliore per ambientare i racconti di Schiavone. La somiglianza fra il territorio e il personaggio poi è imbarazzante. Come Rocco, la Valle non è accogliente di primo acchito, anzi è scura, poco luminosa, sfuggente. Basta pensare alle montagne che incombono, rocce nere e taglienti, le vette altissime, pericolose. Poi però conoscendola meglio scorpi i diamanti che nasconde, paesaggi da mozzare il fiato, posti incantevoli, tesori celati, come il personaggio che un cuore ce l’ha anche se lo mostra poco

4. Hai scritto, ad un certo punto: “(le persone) Che se si perdono è leggendo un libro, o dentro un film, o per amore”. E’ autobiografica l’affermazione? Per quanto riguarda i libri, sappiamo essere un accanito lettore; e l’amore, come lo vedi? E’ così dolce e struggente come quello di Rocco e Marina, che fa sognare le lettrici?
A.: L’amore è dolce, è struggente, è totale e non ammette repliche.

5. In merito alle persone che si perdono dentro un film: sei appassionato di cinema e di quale genere? Oltre ad avere realizzato che non era la tua strada, che cosa ti ha lasciato il periodo di frequentazione del mondo del cinema?
A.: Era la mia strada, poi si è interrotta e l’ho lasciata senza alcun rimpianto o nostalgia. Come tutte le esperienze mi ha lasciato esperienze forgianti e delusioni, incontri meravigliosi e altri da dimenticare. E’ la vita, non amo fare i conti, mi piace viverla e accettare quello che offre.

6. Ancora riferendomi alla tua dedica.”Leoni coi forti e cerbiatti coi deboli”. Come ti definiresti: più leone o più cerbiatto?
A.: Dipende. Non mi piace arrendermi e obbedire alle prepotenze e ai soprusi e cedo invece alla tenerezza e alle persone in difficoltà.

7. I tuoi romanzi hanno conquistato un grande successo di pubblico con la versione televisiva, grazie anche alla splendida interpretazione di Rocco Schiavone – Marco Giallini. Ma per i lettori DOC, quelli cioè che non avevano bisogno degli sceneggiati per apprezzare il personaggio e le storie, sono poco gialli e molto “commedia umana”: le persone, le loro emozioni, i loro comportamenti, le loro scelte…. Concordi o ti senti principalmente scrittore di noir?
A.: Racconto storie, a volte a fosche tinte, ma non ho mai amato la tassonomia. Uno scrive quello che sente. Nel caso di Rocco Schiavone, un poliziotto, ovvio che il racconto viri con decisione in quella zona narrativa. Diciamo che mi considero un narratore mimetico, è la storia che crea il genere, mai il contrario.

8. Domanda d’obbligo per un’amante degli animali, in special modo dei cani. Il rapporto di Rocco con Lupa è tenero e saldo, come con una persona e ancor di più. Denota un sentimento che è di Antonio Manzini, e che trasmette al suo protagonista. Lupa è l’amica sempre presente, silenziosa e adorante, è…tutto ciò che un cane rappresenta per il suo umano. E’ il ritratto del tuo rapporto con i cani?
A.: Sì. Ci adoriamo a vicenda. Se lascio casa dopo due giorni ho delle fitte di nostalgia insopportabili. Mi manca abbassare la mano e sentire l’umido dei loro nasi, mi mancano i loro sguardi, gli abbracci e guardarli giocare come degli idioti per interi quarti d’ora.

9. Negli incontri con i tuoi lettori affermi sempre di non essere Rocco Schiavone, anzi. L’unico punto in comune tra di voi sarebbe la lista delle “rotture di coglioni (che per la loro originalità sono un vero cammeo, e che rispecchiano un po’ le…rotture di tutti noi)”.
Ti domando allora: se non hai trasmesso nulla di te e del tuo vissuto, come puoi narrare con tanta sensibilità il dolore? Non è facile senza avere vissuto certe situazioni: è necessaria una sensibilità fuori dal comune. Credo che il successo ottenuto sia anche in virtù di questa tua capacità.
A.: Come faccio a rispondere a un complimento simile? Posso dirti solo grazie. La verità è che il dolore, l’ansia, la gioia, la disperazione la proviamo tutti, chi più chi meno. Impariamo da bambini grazie alle letture a dare un nome alle nostre emozioni, a scoprire i sentimenti. Basta restare in contatto con la parte più profonda di noi.

10. Si parla di un seguito del romanzo “Fate il vostro gioco” molto prossimo. Del resto non si possono lasciare a lungo i lettori e le lettrici nell’attesa, con una storia lasciata incompiuta, praticamente. Confermi? Attendiamo fiduciosi.
A.: E certo. A gennaio. Vuoi sapere il titolo?

Intervista a cura di Rosy Volta