Intervista a Marco Vichi

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Marco Vichi è nato a Firenze e vive nel Chianti. Presso Guanda ha pubblicato i romanzi: L’inquilino, Donne donne, Il brigante, Un tipo tranquillo, La vendetta, Il contratto, La sfida, Il console, Per nessun motivo; le raccolte di racconti Perché dollari?, Buio d’amore, Racconti neri, Se mai un giorno; la serie dedicata al commissario Bordelli: Il commissario Bordelli, Una brutta faccenda, Il nuovo venuto, Morte a Firenze (Premio Giorgio Scerbanenco – La Stampa 2009 per il miglior romanzo noir italiano), La forza del destino, Fantasmi del passato, Nel più bel sogno e L’anno dei misteri. il graphic novel Morto due volte con Werther Dell’Edera e Il commissario Bordelli con Giancarlo Caligaris, e la favola Il coraggio del cinghialino. Ha inoltre curato le antologie Città in nero, Delitti in provincia, È tutta una follia, Un inverno color noir e Scritto nella memoria. Il suo sito internet è www.marcovichi.it
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare com’è nato l’ultimo romanzo uscito per Guanda intitolato “L’anno dei misteri“.

1) Grazie per la disponibilità, ti diamo il ben ritrovato su Contorni di Noir. Iniziamo con una domanda di rito. Com’è nata l’idea che ha dato il via alla creazione di questo nuovo romanzo “L’anno dei misteri”?
M.: Mi è sempre molto difficile rintracciare quale sia la prima scintilla, ma a un certo punto mi arriva una specie di folgorazione… in questo caso il romanzo doveva cominciare con la finale di Canzonissima, che sicuramente doveva avere una parte nella storia. Durante la scrittura, la canzone della sigla “Zum Zum Zum” mi ha accompagnato dalla mattina alla sera.

2) Ritroviamo un commissario Bordelli a cinquantanove anni, a quindici mesi dalla pensione, diviso tra lo sconforto per i misteri che ancora non ha saputo svelare preoccupato che si vadano a sommare come pesi al suo passato, e la curiosità vibrante del futuro che lo aspetta. Ci puoi parlare di questo particolare momento che il commissario si trova ad affrontare?
M.: In Pubblica Sicurezza si andava in pensione a sessant’anni, lui li compie nell’aprile del 1970 e ci pensa sempre più spesso, perché non sa come affronterà questa novità della sua vita. Ho diversi amici che sono andati in pensione, e prima che avvenisse si chiedevano: “Chissà come la prenderò”, e ovviamente la realtà è sempre diversa dall’immaginazione. Anche Bordelli, avvicinandosi a questo momento, si fa molte domande. Posso comunque anticipare che andrà in pensione nei romanzi ma non nella sua vita letteraria, perché fino a che posso continuerò a raccontare le sue avventure.

3) L’ambientazione è una delle caratteristiche più forte nei tuoi romanzi. Ritroviamo Firenze che ne “Nel più bel sogno” descrivevi come “chiusa e inospitale”, questa volta ce la presenti come “una città maligna e spietata”. In questo alternarsi di luci e ombre si conferma un palcoscenico perfetto per le tue storie. Quali sono le sue caratteristiche che maggiormente affascinano il commissario ma anche Marco Vichi?
M.: Firenze è una città che ha un lato scuro e nascosto, di cui non ci si accorge troppo presto. Visitandola come un turista si ammirano le bellezze medievali e rinascimentali, le opere d’arte, l’armonia dell’insieme, che si coglie ad esempio affacciandosi sulla città da Piazzale Michelangelo… Colori meravigliosi, il Lungarno, i campanili, la cupola… C’è qualcosa di magico. Certe cose non si possono programmare: la storia, il lavoro dell’uomo, i grandi artisti, tutto questo ha contribuito a creare Firenze, una città affascinante. BELLEZZA è una delle parole che contraddistingue Firenze. Ma questa città ha anche un’anima nera, scura e nascosta, che emerge piano piano, che si scopre soltanto abitandoci. È anche una città maligna, diffidente, infida, maligna, spesso cattiva. Adesso Firenze non è più quella di quando ero bambino, quando in centro c’erano molti più fiorentini (mentre adesso sono difficili da trovare), ma può ugualmente capitare di assistere a qualcosa di sgradevole, di orribile, che rivela l’anima vile e torbida dei fiorentini, e che può far fuggire chi prima amava questa città.

4) Per quanto riguarda i personaggi che ritroviamo in ogni libro e che portano con sé la propria storia personale, chi trovi maggiormente cambiato e in che modo?
M.: Di romanzo in romanzo, mi piace seguire il commissario e i suoi amici nei loro cambiamenti, e ogni volta mi sorprendo: Rosa che sogna fidanzati e mariti. Il Botta, che dopo il “colpaccio” (messo in piedi addirittura con la complicità del commissario) è diventato abbastanza tranquillo economicamente. Diotivede, che è andato in pensione. Questi mutamenti non sono mai programmati, ma il tempo passa e i personaggi cambiano. Quello che è cambiato di più, forse è il Botta: viveva di espedienti, viveva in un seminterrato che poi si era anche alluvionato, mentre adesso ha comprato un appartamentino, ha una bella Alfa Romeo sportiva e una bellissima fidanzata. Anche se, quando Bordelli lo coinvolge in certe azioni “illegali”, Ennio si diverte da morire, perché agisce da fuorilegge protetto dalla legge.

5) “Riesce sempre a cogliere l’essenza del proprio tempo,”. Pensi che il commissario Bordelli riesca in questo, cioè ad essere l’espressione, il ritratto dell’epoca in cui si trova a vivere, portandosi pure dietro l’esperienza di ciò che ha vissuto?
M.: Bordelli ha lo sguardo di un quasi sessantenne che vive alla fine degli anni Sessanta. Ma è un sessantenne libero, aperto, curioso. Non è un uomo chiuso, che teme il cambiamento, come sono spesso i fiorentini, per i quali tutto ciò che “era prima” è sicuramente meglio di quello che “c’è adesso”. Per molti fiorentini, quello che cambia non si è rinnovato, ma “si è sciupato”. Bordelli invece, è curioso di capire se il cambiamento può portare a qualcosa di meglio. Anche nel rapporto con Eleonora, di trent’anni più giovane di lui, il commissario è pronto ad accogliere nuove modalità di relazione, nonostante sia un uomo nato nel 1910 che ha vissuto l’adolescenza e la giovinezza durante il fascismo, quando certi valori maschilisti erano ben radicati.

6) “La memoria del passato aveva in sé qualcosa di incomprensibile, di crudele,”. Qual è secondo te l’importanza che ha il ricordo nella vita di una persona così come nell’essere di un popolo?
M.: Questa frase Bordelli la pensa riferendosi alle fotografie: persone che si amano, che non ci sono più, ci appaiono davanti con la forza della realtà. Questa “presenza” quasi folle dell’immagine stampata diventa crudele, perché vedi persone con cui non puoi più parlare. Un po’ come vederle distese nella bara: vicine ma lontanissime. Riguardo alla memoria in sé, perdere la memoria è perdere se stessi. Ovviamente è importante il rapporto che si ha con la propria memoria: i ricordi del passato possono anche essere una zavorra, un peso insopportabile che impedisce di camminare con leggerezza, possono diventare dei “fantasmi”, non c’è dubbio, ma se vengono cancellati completamente, anche la nostra personalità viene annullata, perché in fin dei conti “noi siamo fatti della stessa sostanza del nostro passato”, per parafrasare William. Nelle nuove generazioni, alcuni giovani (non voglio generalizzare), non sanno guardare indietro, non conoscono e non sono interessati al passato, alla storia, e si perdono la preziosa occasione di affinare il proprio spirito critico riguardo al presente. Avere memoria significa fare esperienze che ti consentono di osservare meglio gli errori già commessi nel passato, e dunque di difenderti dagli inganni che hanno già attraversato la storia.

7) Ti dico subito che la parte che scorre all’interno del romanzo in cui affronti autori e citi titoli, è diventata parte fondamentale durante la lettura. Un modo in cui riconoscersi ma anche far tesoro dei suggerimenti che metti in bocca al commissario. Che cos’è per Marco Vichi la lettura?
M.: Approfitto dei romanzi per suggerire alcuni grandi scrittori. Faccio leggere, pensare e dire al commissario quello che io penso degli autori che amo, oggi dimenticati o ignorati, come Fogazzaro, De Amicis, Saroyan, Alba de Céspedes. Sono letture potentissime. Per me la lettura è un’esperienza che mi coinvolge a più livelli, diciamo così: come ogni lettore, mi identifico con i personaggi, vivo attraverso i loro sentimenti, le loro emozioni, che è in fin dei conti vivere altre vite oltre la propria (sono esperienze reali, tangibili, che lasciano il segno come ogni altra esperienza di vita). Ma per me – che scrivo – è anche un modo per scoprire nuovi orizzonti della scrittura. Ogni volta che leggo un romanzo capace di coinvolgermi con potenza, trovo dentro di me nuove possibilità di scrittura, fino a quel momento rimaste nascoste o addormentate: insomma, riescono a rivoluzionare il mio rapporto con “lo scrivere”.

8) Il romanzo è appena uscito ma hai già qualche progetto futuro, anche sul destino del nostro amato commissario Bordelli?
M.: Non smetto quasi mai di scrivere, e anche quando non scrivo, scrivo lo stesso. Probabilmente il prossimo anno uscirà il Bordelli, che appunto andrà in pensione nell’aprile del 1970. Ho anche altro in cantiere, perfino qualche romanzo nel cassetto di quando nessuno mi voleva, che ovviamente in caso di pubblicazione riscriverei da cima a fondo. Ho ad esempio un romanzo molto lungo che ho scritto intorno alla fine degli anni Ottanta, e che mi piacerebbe tirare fuori dal “baule ragnateloso” degli impubblicati.

Intervista a cura di Federica Politi