Intervista a Ryan Gattis

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(c) Cecilia Lavopa

Ryan Gattis è scrittore e insegnante. Vive e lavora a Los Angeles, dove è membro di UGLARworks, una crew di arte urbana e di 1888, una compagnia no profit per la difesa e la diffusione del patrimonio culturale e letterario. Ha pubblicato alcuni romanzi e raccolte di racconti. Ha pubblicato il suo primo libro intitolato “Giorni di fuoco”, per Guanda. Per scriverlo Gattis si è documentato per due anni e mezzo, incontrando direttamente i protagonisti delle drammatiche giornate del 1992.
Ora è uscito il suo secondo romanzo, intitolato “Uscita di sicurezza“, sempre per Guanda. E noi lo abbiamo incontrato per farci raccontare di più su di lui e sui suoi libri.

1.Benvenuto, Ryan. Com’è nata l’idea di scrivere questo secondo romanzo?
R.: In realtà stavo lavorando a un altro libro. Poi le persone con cui avevo parlato e che mi avevano aiutato a fare ricerche per Giorni di fuoco, un giorno mi hanno detto: “Vuoi vedere uno scassinatore mentre apre una cassaforte?” E io ho detto: “Sì!”
Mi sono reso conto che Giorni di fuoco era stato scritto dalla prospettiva di trentenni, quarantenni, cinquantenni che ricordavano quando erano teen-ager negli anni ’90.
In questo libro ho trovato affascinante l’idea di far vedere il punto di vista di un ex appartenente a una gangs, sulla quarantina, nel suo processo di espiazione per quello che aveva fatto durante la vita, ed è così che è nato il personaggio di Ghost.

2. Sei passato dal raccontare una città in preda alle lotte fra le gang del 1992 a una città ridotta allo stremo per il fallimento della Lehman Brothers. Quanto è difficile per Los Angeles risollevarsi tutte le volte?
R.: È una bellissima domanda e difficile al tempo stesso. In realtà non esiste una sola Los Angeles, ce ne sono tante. Ha tanti volti, tanti quartieri e tante piccole città all’interno. Pensiamo a Compton, a Linwood, a Hawthorne, che sono tutte menzionate nel libro. Questa è la difficoltà nel riconoscere una sola Los Angeles.
La città si è ripresa abbastanza in fretta dopo la crisi, perché comunque i soldi non mancano, c’è una base imponibile molto forte, mentre tutte le altre cittadine che ruotano attorno a Los Angeles e che sono nella stessa Contea, hanno avuto più difficoltà e già di per sé sono come delle isole, distaccate dalla grande città.
Quindi per loro è stato più lento il processo di recupero, promosso in gran parte da giovani imprenditori locali. Questo dà speranza.

3. Per il primo romanzo “Giorni di fuoco” ti sei preparato a lungo, hai trascorso  molto tempo con i personaggi delle gangs. Alcuni di  loro dicevi che sono cambiati, hanno modificato la loro vita. Cosa hanno lasciato a te dopo averli incontrati?
R.: Il fatto di aver trascorso così tanto tempo nella parte più a sud di Los Angeles e incontrare queste persone mi ha permesso di abituarmi in un certo senso a una sub-cultura diversa. Ho imparato il modo in cui le persone in queste zone si salutano, si mostrano rispetto. Tutto questo l’ho interiorizzato e ora fa parte di me e adesso è normale utilizzare questi codici quando mi rivolgo a queste persone.
Certo, ho incontrato anche molti ex gangsters, che mi hanno mostrato anche un lato umano, che provano rimorso e rabbia per come si sono comportati da giovani e quindi vogliono fare qualcosa di positivo per i loro figli, la loro famiglia. Vogliono cambiare il mondo, in qualche modo.
Questo è stato per me dal punto di vista emotivo molto forte, perché se vivi a Los Angeles, rischi di vivere in una bolla: vai da casa al lavoro e viceversa.
Invece il mio lavoro, per fortuna, mi ha portato a conoscere le parti più profonde di questa città e a capire le esperienze, le sensazioni che queste persone hanno provato durante loro vita e ho cercato di dar loro una voce.

4. Ricky Mendoza Junior, Alias Ghost. Il suo motto è: ieri è passato e domani non arriva mai. C’è soltanto oggi, questo presente. Ci vuoi parlare di lui?
R.: Sicuramente quest’uomo ha alle spalle un passato doloroso, soprattutto per il suo problema di salute, di cui non voglio parlare troppo per non svelare ciò che poi avverrà nel libro. Ha perso anche l’amore della sua vita a causa di una malattia e sa che non potrà riportarla in vita. Quindi non può fare altro che vivere alla giornata, di cogliere l’attimo.
Questo gli permette di prendere delle decisioni difficili, è un aspetto che dà anche pathos alla storia, trascina il ritmo del romanzo.

5. L’altro personaggio principale è Rodolfo Rudy Reys, alias Glasses. Loro due si somigliano? Sono agli opposti? Si completano?
R.: Io li definirei due facce della stessa medaglia. Hanno in comune molto, il posto da cui vengono, lo stesso background. La differenza è che uno ha lasciato la gang quando era giovane, mentre l’altro è rimasto. Hanno condotto due vite opposte, ma in realtà a un certo punto del libro convergono. Credo che questo sia anche un espediente del thriller, nel momento in cui il cacciatore e il cacciato convergono in qualche modo e questo fa sì che esploda la trama nel terzo atto.
Hanno molto più in comune di quanto non ammetterebbero e poi alla fine questo è esplicito, quando Rudy riflette su quello che hanno veramente in comune.

6. Trovo che Los Angeles si presti a storie di largo respiro. È un miscuglio di razze. Don Winslow parla del “cane” e del suo potere, il tuo percorso è attraverso le voci di chi ci vive. Ma si parla ancora del sogno americano o è diventato un incubo a occhi aperti?
R.: Domanda complessa. Capisco e sono d’accordo con il fatto che trovi delle analogie tra il mio libro e quello di Don Winslow, perché parliamo di similitudini e di mondi analoghi. Tuttavia, lui parla più della parte sud del confine e io mi concentro di più sul nord, anche se c’è un evento che si svolge in Messico.
Quanto al sogno americano, bisogna sfatare un mito: in America c’è la meritocrazia. Non è assolutamente così. La classe conta ancora tantissimo. Le persone sono molto interessate a parlare della razza a cui appartieni, ma non si può parlare della razza senza considerare la classe sociale.
Ci sono comunque delle opportunità in termini di istruzione che sono fondamentali per arrivare a realizzare i tuoi sogni. Prendiamo lo scandalo universitario successo di recente: genitori ricchi che pagavano mazzette per far entrare i figli all’università, guarda caso in California.
Questo dimostra come i giochi siano molto complessi. Ciò nonostante, credo ancora nel sogno americano, l’America è l’unico posto in tutto il mondo in cui ci sono delle vere opportunità di emergere, uno degli esempi più palesi è quello degli artisti pop, poeti che hanno avuto successo grazie al loro talento.

7. Visitai la California nel 1993 e la situazione attuale non mi sembra molto diversa da allora: una forbice ancora troppo larga tra ricchi e poveri e un presidente Trump che fa promesse che non può mantenere. Ma sono ancora così tanti ad ascoltarlo?
R.: Direi che dal ’93 le cose sono cambiate. Per esempio c’è un grosso problema dei senzatetto, che è peggiorato nel corso degli anni. Circa due anni fa hanno costituito una commissione che si doveva occupare del fenomeno, che poi è stata chiusa per non aver raggiunto alcun progresso. Direi una situazione preoccupante, sia dal punto di vista economico, sia di salute mentale. Sono problemi che sono iniziati negli anni ’80 con Reagan. Quindi senza la capacità di gestire questo aspetto non si può andare avanti, non c’è futuro.
Per quanto riguarda il governo attuale, hanno fatto delle menzogne e delle promesse la loro moneta di scambio, però dovendo dire la verità la California è l’unico Stato dell’Unione isolato da questi attacchi su questo governo.
Infatti la California ha intrapreso molte cause legali e sicuramente ci vorrà più tempo perché queste portino da qualche parte.
Parlavo con un amico di Los Angeles qualche giorno fa e mi diceva che ha l’impressione che ci siano persone che aspettano di vedere la fine del mondo e di trarne vantaggio. È una visione un po’ dark, ma secondo me non poi così irrealistica.

8. Il tuo sito si divide tra te, il tuo naso e i tuoi tatuaggi.
Hai dedicato uno spazio a quello che ti è successo quanto eri adolescente. Ce ne vuoi parlare?
R.: Avevo diciassette anni, ero a scuola, e un giocatore di football – molto alto e possente – mi si è avvicinato e mi ha chiesto: “Vuoi fare a botte?”. Questo era sotto l’effetto di acidi e ovviamente io ho risposto di no. Il suo gomito era già partito e mi ha colpito al naso, che si è spostato. L’osso è rimasto in sede ma la cartilagine mi è finita sulla guancia.
Ho dovuto subire due interventi di ricostruzione facciale, mi ci è voluto più di un anno per riprendermi e parecchio tempo prima di tornare a sentire di nuovo gli odori e provare il gusto. Quindi è stato un periodo molto buio della mia vita e pensavo non mi sarei più riconosciuto allo specchio, considerato anche che avevo un’età difficile.
Come ho usato questa esperienza nella mia scrittura? Mi ha permesso di entrare in contatto emotivo con le persone che hanno sofferto nella loro vita, che hanno subito violenza. Per questo sono riuscito a entrare in contatto con degli ex gangster, degli sceriffi, ho creato un legame con loro. Parlavamo la stessa lingua, quella del dolore, si sono aperti con me raccontandomi le loro storie, fatte di sparatorie e di pugnalate.
Questo dolore mi ha permesso di creare un ponte, che poi ho voluto usare anche con i miei lettori nel libro, facendo capire loro cosa significa, nella speranza che non proveranno mai le stesse cose nella loro vita.

9. Ho letto anche che sei un componente di Uglar Works. In che cosa consiste, esattamente?
R.: È un gruppo che fa arte visiva, principalmente murales, oppure mostre in musei. Ad esempio di recente ne abbiamo tenuta una da poco sui tatuaggi al museo d’Arte Latino-americana a Long Beach. È stata un’esperienza molto interessante a contatto con questo gruppo, io non sono un artista, ma contribuisco nella mia veste di scrittore alla narrazione delle storie. Quindi insieme a loro ho cercato di aiutare gli artisti a mettere insieme delle storie e tradurle in arte visiva. Poi abbiamo fatto un progetto interessante a Linwood: insegniamo in una scuola ai ragazzi, a diventare pittori di murales. Così in futuro potranno guadagnarsi da vivere facendo questo lavoro.
È stato un periodo formativo, all’inizio mi avevano preso come stagista, mi facevano portare i bidoni di pittura, mi facevano pulire. Ci sono voluti mesi prima che mi permettessero di dipingere qualcosa. Questo mi ha permesso di conoscere Los Angeles in un modo diverso: giravo la notte e andavo in quartieri nei quali non va nessuno. Ho avuto modo di vivere questa città e apprezzarla in modo più profondo e arricchente.

10. Ultima domanda di rito: quali sono i tuoi progetti futuri?
R.: Il mio prossimo lavoro uscirà a brevissimo, in inglese. Sarà una sorta di sequel spirituale di Giorni di fuoco. Di nuovo sarà ambientato nel ’93 come il precedente, però questa volta mi concentro di più sul sistema giudiziario. Sarà di nuovo un romanzo corale, con più narratori, circa dodici. Il mio intento è quello di far sì che il lettore sviluppi una sua opinione sul sistema giudiziario, su come funziona e sui problemi che dovrà affrontare.

Intervista a cura di Cecilia Lavopa