Giancarlo De Cataldo è nato a Taranto e vive a Roma. Per Einaudi ha pubblicato: Teneri assassini (2000); Romanzo criminale (2002 e 2013); Nero come il cuore (2006, il suo romanzo di esordio); Nelle mani giuste (2007); Onora il padre. Quarto comandamento (2008) ; Il padre e lo straniero (2010); con Mimmo Rafele, La forma della paura (2009);Trilogia criminale (2009); I Traditori (2010); con Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, Giudici (2011); Io sono il Libanese (2012 e 2013); con Massimo Carlotto e Gianrico Carofiglio, Cocaina (2013); Giochi criminali (2014, con Maurizio de Giovanni, Diego De Silva e Carlo Lucarelli); Nell’ombra e nella luce (2014); con Carlo Bonini, Suburra (2013 e 2017, diventato prima un film di Stefano Sollima, poi una serie diffusa in centonovanta Paesi da Netflix) e La notte di Roma (2015); con Steve Della Casa e Giordano Saviotti, la graphic novel Acido fenico (2016); L’agente del caos (2018); Io sono il castigo. (2020; dove compare per la prima volta il personaggio del Pm Manrico Spinori della Rocca); Un cuore sleale (2020; secondo titolo con protagonista Manrico Spinori); con Cristina Cassar Scalia e Maurizio de Giovanni, il romanzo a sei mani Tre passi per un delitto (2020). Ha curato le antologie Crimini (2005) e Crimini italiani (2008). Nel 2019 sono usciti Alba nera (Rizzoli) e Quasi per caso (Mondadori). Insieme a Graziano Diana ha diretto il documentario Il combattente – Come si diventa Pertini, tratto dal suo libro omonimo (Rizzoli 2014).
Sarà disponibile in libreria dal 24 novembre il suo romanzo “Un cuore sleale. Un caso per Manrico Spinori”, edito da Einaudi, di cui vi riportiamo la trama:
Quando il mare di Ostia restituisce il cadavere di Ademaro Proietti – palazzinaro di successo e personaggio di rilievo negli equilibri politico-economici della capitale – la prima ipotesi è che l’uomo sia annegato in seguito a una disgrazia, cadendo dal suo gigantesco motor yacht durante una gita con i figli e il genero. Eppure c’è qualcosa che non torna, un piccolo indizio che potrebbe richiedere per l’episodio una spiegazione diversa. È davvero cosí o è Manrico a essersi fissato? Magari si è lasciato suggestionare dall’abitudine a pensar male dell’impulsiva ispettora Cianchetti, il piú recente acquisto della sua squadra investigativa. Stavolta nemmeno l’opera lirica, che da sempre lo ispira nella soluzione dei casi, sembra volergli venire in soccorso. L’unica certezza è che la famiglia del morto ha piú di un segreto da nascondere. Del resto, e lui lo sa bene, quale famiglia non ne ha?
«Manrico aspirò un odore composto, che sapeva di salmastro, alghe corrotte, catrame, acido fenico e pioggia. L’odore del porto. Amava quell’odore. Gli ricordava l’infanzia. Le gite in barca. Le ore passate a rosolarsi al sole. E l’adolescenza. Il turbamento delle prime forme femminili intraviste fra passerelle, arenili e cabine. Certe compagne dai capelli fini, il loro timido incedere su gambe troppo lunghe, troppo sottili. La sua curiosità assillante: dove andranno a finire quelle benedette gambe? Ma stava divagando. Era scomparso un uomo».