Intervista a Andrea Donaera

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Andrea Donaera

Andrea Donaera è nato nel 1989 a Maglie ed è cresciuto a Gallipoli. Nel 2019 ha pubblicato per NNE il suo romanzo d’esordio, Io sono la bestia, che è stato salutato da pubblico e critica come un vero caso editoriale ed è stato tradotto in Francia. Collabora con il quotidiano Domani e scrive per Metalitalia.

Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, Lei che non tocca mai terra, sempre per NNE ed ecco cosa ci ha raccontato:

1. Bentrovato Andrea. Sono sinceramente onorata di averti conosciuto, non di persona al momento, ma attraverso i tuoi libri: la tua prosa, che spesso si fa poesia, parla molto di te. Dalle pagine prende corpo il ritratto di un uomo complesso, di un’anima tormentata e pura. Andrea, hai scritto due romanzi meravigliosi, e ti ringrazio per questo. Li ho letti entrambi nel giro di poco tempo e già sono in debito di ossigeno. Per chi ancora non ti ha letto e non ha avuto il privilegio di conoscerti, vuoi raccontarti un po’? Chi è Andrea?
A.: Grazie davvero per queste bellissime parole: mi onorano sinceramente. E altrettanto sinceramente posso affermare che non mi è facile raccontarmi – forse è da questa difficoltà che nasce la voglia di inventare storie? A ogni modo, sono nato nel 1989 in Salento, dove ho vissuto fino a pochi anni fa. Dal 2017 vivo in Emilia Romagna. Da quando ho quattordici anni ho fatto molti lavori brutti. Mi sono laureato a Lecce in Scienze della Comunicazione, e a Bologna in Italianistica. Ho collaborato con alcune realtà accademiche che si occupavano di poesia contemporanea, e con un centro di ricerca finalizzato allo studio delle serie televisive. Mi piace la musica, in particolare il metal, e infatti scrivo recensioni di dischi per Metalitalia.com. Mi piacciono pure i libri, e di solito scrivo di cose di letteratura (più o meno) sul quotidiano Domani. Tra il 2009 e il 2017 ho scritto principalmente poesia. Poi mi sono reso conto che volevo provare a raccontare delle storie che richiedevano più spazio. Ed eccoci qua.

2. Il tuo editore è differente… Personalmente ho un debole per la tua casa editrice. NN Editore ha pubblicato dei classici imprescindibili per ogni libreria degna di questo nome: Kent Haruf ad esempio, ma anche molti autori italiani, molti gialli e noir. E ovviamente Andrea Donaera. Immagino il vostro primo incontro come una vera e propria storia d’amore. Ti va di parlarci del tuo percorso editoriale?
A.: Ho incontrato NN grazie all’intercessione di due persone. La prima è Caterina Serra, una bravissima scrittrice (che avevo conosciuto in ambienti di poesia), che era in contatto con la casa editrice, aveva letto il mio manoscritto e prese la decisione di “metterlo sulla scrivania” delle editor. L’altra persona è Martino Baldi, organizzatore del festival “L’Anno che verrà” di Pistoia, una rassegna dove si svolgono anche incontri di scouting editoriale: fui invitato a presentare il mio manoscritto ad alcuni editori in quella sede, e lì ho incontrato anche Eugenia Dubini (publisher di NN), che aveva già spulciato il materiale ricevuto da Caterina Serra ed era incuriosita. Lì a Pistoia io e Eugenia ci siamo piaciuti, e lei ha letto il manoscritto di “Io sono la bestia” sul treno che la riportava a Milano: dopo pochi giorni fui invitato presso la loro sede per il contratto e tutto il resto.

3. Le tue storie sono difficilmente ascrivibili a un unico genere. Come definiresti i tuoi romanzi?
A.: Sono la persona meno adatta a etichettare quello che scrivo: nella mia testa c’è solo la voglia di costruire delle voci, e di raccontare una storia a quante più persone possibile. Omar Di Monopoli ha parlato, in riferimento alle cose che scrivo, di “gotico salentino”. Forse per questi romanzi è un’espressione che può andare bene – specialmente la parola “gotico” mi sembra poter funzionare: la parola “salentino”, invece, non saprei, dato che continuo ad associarla a campi semantici fastidiosi, vacanzieri, con sole, creme solari, cocktail, spiagge ecc.

4. Come nasce “Lei che non tocca mai terra”? Ti va di parlarci della sua ideazione e gestazione, della scelta dei personaggi e di tutto quello che ti ha portato proprio dentro a questa storia?
A.: L’idea era quella di scrivere una storia d’amore. Perché credo che attualmente sia importante provare a proporre nuove storie che mettano al centro il sentimento più complesso che riguarda gli esseri umani. La mia generazione, date le mutazioni socio-economiche e culturali in corso, si ritrova a concepire le relazioni amorose in modi estremamente differenti rispetto a quelli dei propri genitori o nonni: il modo in cui ne parliamo nei romanzi è sintomatico, credo – infatti invito a leggere romanzi di ‘millennial’ come Gianmarco Perale, Claudia Petrucci, Francesco Spiedo, Maddalena Fingerle, dove affiora una rimodulazione del concetto di “amore” che segnala un giro di boa importante, a mio parere.
Così ho iniziato a riflettere, leggere, ascoltare, convogliando molti elementi del mio immaginario verso l’allestimento di una vicenda che potesse coniugare sia la mia voglia di parlare d’amore che il mio desiderio di scrivere storie capaci di spingere chi legge a riflettere sulle parti più oscure delle nostre vite. È stato fondamentale il magistero di Jacques Lacan, ma anche quello del regista di David Lynch, e al contempo molta letteratura (con libri lontani l’uno dall’altro, ma per me in qualche modo uniti) e anche molta musica.
I personaggi sono nati per creare una rete di processi amorosi problematici e oscuri: tutti rappresentano un aspetto preciso in questa sorta di ricerca attorno alle possibilità dell’amore – possibilità luminose o nerissime.

5. La tua scrittura è sorprendente. Originale, spesso ipnotica. L’uso del dialetto evidenzia la materia in tutta la sua arrogante presenza. Poi cambi ritmo e ti fai poeta e la dolcezza è tale da essere ancora più arrogante e offensiva. Ma come ci suggerisci pagina dopo pagina è la vita stessa a essere così sfacciata. Perché Andrea scrive? Perché Andrea scrive così?
A.: A me interessa provare a capire cosa succede nella testa delle persone. E anche nella mia testa, naturalmente. Provo a far scoppiare il mio “io” in vari frammenti, che vanno a costruire i personaggi: e il mio “io” è fatto di lingue e linguaggi, che vanno a riversarsi in questi personaggi che parlano, pensano, si muovono in un mondo che è nella mia testa. La scrittura che finisce sulla pagina scivola via dalla mia mente. Non riuscirei a scrivere se fossi costretto a fare sforzi compositivi: devo far fluire una lingua di un personaggio – a volte è un fiume fresco, a volte un rigurgito acido, ma è sempre senza intoppi.

6. Il Salento entra con prepotenza dalla finestra della camera di Miriam. Ma siamo lontanissimi dall’immaginario collettivo che ci restituisce quotidianamente spiagge affollate, movida on the beach, locali, discoteche e alcol a gogo. Il territorio è radicato nel racconto, come nella migliore tradizione dei gialli ma è altro da tutto ciò. Ci vuoi parlare di questo scenario sorprendentemente gotico e oscuro che hai scelto per ambientare le tue storie?
A.: A me non importa molto rovesciare lo scenario stereotipico del Salento. Ciò che davvero mi interessa è creare uno scenario dove far muovere i personaggi della storia che voglio scrivere. E questo scenario è la Gallipoli che io ho vissuto negli anni: un paesaggio mentale soltanto mio, totalmente soggettivo, figlio dei miei occhi, delle mie interpretazioni, delle mie prospettive. Non è una Gallipoli autentica, ma quella che ho introiettato io, che non vado al mare da quando ho 12 anni, che ogni estate l’ho passata facendo lavori terribili in bar, alberghi, locali e cose simili. Gli autunni e gli inverni li ho sempre vissuti nei vicoli, nelle cantine, nei garage, al massimo in bar silenziosi e periferici, con pochi amici che condividono con me questa tensione verso il nascondimento, verso una contro-vita apatica e svuotante, tra vino, sigarette, cene cucinate da noi, musica triste. E dunque questa Gallipoli è per me un posto a suo modo oscuro, che risucchia in una sorta di buco nero sotterraneo molte vite potenziali: a mio parere un ottimo scenario per metterci dentro delle storie.

7. Un giornalista ha chiesto a Georges Simenon come scriveva i suoi libri. “A volte” ha risposto “lo spunto iniziale è un odore mai sentito prima”. Da un odore di fritto (o di polpette al sugo…) nasce una certa cucina in una cittadina di provincia. Poi in questa cucina entra della gente. Per un artista “sensuale” tutto inizia da un contatto fisico con la realtà. Ti ritrovi in questa cucina sommerso da questi odori penetranti? Come nasce la tua ispirazione?
A.: Sì, moltissime dinamiche sensoriali mi sono estremamente utili quando provo a descrivere dei luoghi o delle azioni. Gli odori li reputo davvero centrali nel mio rapporto con il mondo. Ricordo – e dunque associo – davvero tanti odori a persone, luoghi, avvenimenti. La cosiddetta “ispirazione”, però, nasce di solito da qualche scontro inaspettato di elementi: ascolto una canzone, mi viene in mente un ricordo (quasi sempre falsato proprio dall’atmosfera creata dalla musica) e ho voglia di fermare tutto questo in un qualcosa di scritto; oppure osservo una scena che mi accade davanti, ipotizzo il suo procedere alternativo rispetto alla realtà. Cose così.

8. Da grande farò la scrittrice, e vorrò scrivere esattamente come scrivi tu. Cosa voleva fare da grande il piccolo Andrea?
A.: Da bambino sognavo di fare il cuoco – ma poi da adulto ho scoperto che sono molto più bravo a mangiare. Al liceo invece ho deciso che avrei fatto di tutto per insegnare letteratura – e alla fine però non ce l’ho fatta, perché per poter insegnare dovrei recuperare non so quanti Cfu, diavolerie del genere, e dunque le due lauree che ho sono sostanzialmente inutili, e da ormai quindici anni mi ritrovo a fare lavori assurdi e orrendi. Scrivere romanzi non è nemmeno lontanamente un lavoro: nei momenti in cui i miei amici vanno al calcetto o a yoga, io mi metto a scrivere. Quindi “da grande” non sto facendo lo scrittore: mi succede di scrivere dei libri, sì, ma in realtà non lo so cos’è che sto facendo.

9. Oltre alla scrittura hai altre grandi passioni: la musica, il cinema, le serie tv e la drammaturgia in generale. Io penso che il confine tra i vari mezzi sia sempre più labile e che a prevalere sia sempre l’urgenza di raccontare e condividere. Lo scrittore è in realtà un medium abitato da visioni, in generale un creatore è sempre un medium che capta la dimensione fantastica e la rende concreta (Fellini docet). Ci racconti qualcosa delle altre tue passioni?
A.: Quello che dici lo condivido pienamente. E, sì, mi piace molto la musica, che è la mia prima grandissima passione. Ascolto musica quasi tutto il giorno, e suono anche la chitarra in un gruppo heavy metal (non sono molto bravo, ma suonare con la mia band è una delle cose che amo di più in assoluto). Il mio primo approccio alla scrittura “creativa” è stato proprio con la musica, perché scrivevo i testi per il gruppo con cui suonavo al liceo. Il cinema e la serialità televisiva sono delle passioni molto intense, trasmesse da mia madre, e che ho alimentato molto durante gli anni dell’università (ho fatto un tirocinio presso un centro studi dell’Università del Salento che si chiama “L’OST: L’Osservatorio delle Serie Televisive”: un’esperienza fondamentale) e nei periodi di forte depressione (per fortuna non troppi) durante i quali mi era molto difficile leggere libri – ma avevo bisogno di storie per r-esistere, e dunque mi nutrivo con foga di prodotti audiovisivi.

10. Convieni con me che la struttura di “Lei che non tocca mai terra” si presterebbe a un adattamento seriale, magari nella forma più vicina al romanzo, ovvero la miniserie? Mi assolderai come tua umile aiutante nella stesura della sceneggiatura quando il progetto prenderà forma? Ovviamente solo se la terza puntata si intitolerà Andrea o Andrea.
A.: Assoldata, certamente! Anche se penso proprio sia un casino enorme la realizzazione di qualcosa del genere. Naturalmente sarebbe la realizzazione di un sogno così incredibile che mi spezzerebbe il fiato. Ma non riesco nemmeno a immaginare la strada da percorrere. Ma va be’, sognare è figo, oltre a non costare nulla, no?

Intervista a cura di Susanna Durante