Elisabetta Cametti, con una laurea in Economia e Commercio in Bocconi, da vent’anni si occupa di editoria e lavora tra Milano e Londra.
La stampa l’ha definita “la signora italiana del thriller”. Nel 2013 ha pubblicato il primo romanzo della serie K, I guardiani della storia, suo thriller di esordio e bestseller internazionale. Nel mare del tempo è uscito nel 2014 e Dove il destino non muore nel 2018.
Nel 2015 ha inaugurato la serie 29 con Il regista, seguito nel 2016 da Caino, entrambi molto apprezzati da pubblico e critica. I suoi libri sono stati pubblicati in 12 paesi.
È opinionista in programmi televisivi di attualità e cronaca su Rai 1 e sulle reti Mediaset.
L’abbiamo intervistata per farci raccontare qualcosa di più del suo nuovo romanzo Una brava madre, pubblicato da Edizioni Piemme (2023):
Una madre può essere luce o buio assordante.
Il pilastro che regge il nostro futuro o l’abisso in cui sprofondiamo.
Non ci è concesso scegliere chi ci dona la vita: qualcuno nasce in un abbraccio, qualcun altro all’inferno.
1. Benvenuta su Contorni di noir, Elisabetta. Hai scritto numerosi romanzi storici, a un certo punto hai deciso di cominciare a scrivere un thriller psicologico, “Muori per me” e “Una brava madre”, appena uscito per Piemme, prosegue sempre nel genere. Ci spieghi come nasce questa nuova storia e il motivo per il quale hai scelto di cambiare genere con gli ultimi due libri?
C.: Una brava madre è il romanzo in cui si fondono le mie due anime, quella di scrittrice e quella di chi ogni giorno affronta casi di cronaca nera. La cronista testimonia come il male possa essere ovunque, anche qui e ora. La scrittrice lotta per dare voce alla speranza.
Trascorro le giornate a studiare scene del crimine, autopsie, piste investigative e profili psicologici. Scrivo romanzi per raccontare quelle storie, per farle entrare nelle case con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica, di rendere consapevole il lettore. Consapevole di quanto il male possa essere vicino, subdolo, letale. Solo chi conosce riesce a percepire, sospettare. Prevenire. Alcune volte, nelle esperienze degli altri riusciamo a trovare noi stessi… e a metterci in salvo.
2. I casi di cronaca, sempre più frequenti, ci riportano alle figure delle madri con un’accezione negativa rispetto al passato. L’angelo del focolare, la moglie e la madre accoglienti, ora sembra che questo concetto sia stato stravolto. E’ cambiato il ruolo di madre, secondo te? C’è un’incapacità di fondo nelle nuove generazioni? Come ci si avvicina con sensibilità a questo argomento e non farsi allo stesso tempo travolgere come donna?
C.: In questo romanzo si intrecciano le storie di cinque madri che affrontano la maternità in modo completamente diverso, sebbene ognuna di loro vorrebbe essere considerata una “brava madre”.
A una viene rapita la figlia, un dramma che la porterà a valutare di farla finita, finché non deciderà di dedicare la propria vita alla ricerca di persone scomparse. Un’altra sceglierà di separarsi dal bambino appena partorito per salvarlo da un destino infausto. Un’altra ancora anteporrà carriera e notorietà al bene dei figli. Ma c’è anche una madre disposta a denunciare il figlio adolescente, convinta che solo il carcere possa riuscire dove lei ha fallito. E una che cresce la figlia come una bambola in una casa di bambole, per estraniarsi da una realtà troppo dolorosa.
Non c’è nulla di più soggettivo del concetto di madre: ci sono tante idee di madre quante sono le madri. E questo è ancora più evidente in una società dove dilaga il narcisismo, mentre viene meno quella rete di legami familiari femminili su cui un tempo le donne potevano contare per supporti concreti e psicologici: madri, nonne, zie, cugine.
Un contesto complicato, in cui maturano casi che devono farci riflettere.
Ci sono storie e immagini che non mi abbandoneranno mai. Scavano dentro e lì rimangono, per sempre. Penso che l’unico modo per conviverci, senza lasciarsi devastare da tanto orrore, sia quello di raccontarle con precisione e lucidità. Per informare, per aprire gli occhi a chi potrebbe trovarsi nella stessa situazione, per cercare di dare un piccolo contributo alle indagini. Per continuare a ricordare le vittime e i sogni che illuminavano i loro pensieri.
3. Torna Annalisa Spada, capo della Squadra Mobile di Milano, apparsa per la prima volta nel romanzo “Muori per me”, romanzo nato come stand alone. Una poliziotta dedita al lavoro e alla voglia di giustizia. Perché hai voluto parlare ancora di lei? Sentivi che questo personaggio ti è rimasto in qualche modo vicino?
C.: Annalisa Spada aveva, e ha, ancora molto da dire. Sia come poliziotta, sia come madre. In Una brava madre il suo ruolo è centrale anche per mostrare come le indagini delle forze dell’ordine e le inchieste giornalistiche possano essere complementari, se portate avanti con professionalità, attenzione e rispetto, in uno scambio virtuoso di informazioni per il raggiungimento del fine comune.
Ho voluto mettere a confronto il lavoro di Annalisa Spada con quello di Giorgia Morandi proprio per sottolineare quanto il giornalismo investigativo di livello possa aiutare a fare luce su alcuni aspetti. E consentire al pubblico di “entrare nel caso”, di capire le dinamiche, di farsi una propria idea. L’obiettivo di Annalisa e Giorgia è lo stesso: condurre alla verità e garantire giustizia alle vittime.
4. La narrazione si svolge su due piani paralleli. Giorgia Morandi, conduttrice televisiva, si occupa del mistero che riguarda Fabrizio Ravizza, un editore di successo svanito senza lasciare traccia. Annalisa Spada, investiga sull’omicidio di tre uomini legati a una giovane tatuatrice, Aria. Una ragazza con evidenti disturbi della personalità, arrestata sulla scena di uno dei crimini e sospettata di essere “la serial killer dell’inchiostro”. Un romanzo corale nel quale le donne sono protagoniste, ognuna con aspetti molto diversi tra loro. Tutte in qualche modo alla ricerca della verità. Ce ne vuoi parlare?
C.: Annalisa Spada è una poliziotta votata alla giustizia, Giorgia Morandi è una conduttrice televisiva che ha fatto della ricerca della verità la propria missione.
Sono due donne molto diverse nell’aspetto, nel modo di ragionare, nell’approccio alla quotidianità. Tuttavia, si somigliano molto: sebbene siano state messe a dura prova dalla vita che ha strappato loro quanto di più caro avessero, entrambe continuano a lottare per i valori in cui credono. Non si piegano al destino e guardano al futuro con determinazione.
Penelope è una donna di cui nessuno conosce la vera identità. Nata in un ghetto, dove la vita non ha valore, dove donne e bambini vengono trattati come oggetti da usare e sfruttare, dove accoltellamenti e sparatorie sono all’ordine del giorno, aveva solo due alternative: continuare a essere una vittima o trasformarsi in un carnefice. E ha scelto, senza voltarsi indietro.
Rapita da neonata, Aria è cresciuta con una madre che si voltava dall’altra parte mentre il padre abusava di lei. Per inseguire un vano sogno di libertà, si è rifugiata nel disegno. I tatuaggi sono il suo modo di rendere indelebili i brevi attimi di felicità.
Brigitta è animata dall’odio verso la donna che ha spinto al suicidio suo padre. Ha rinunciato a vivere per dedicarsi alla vendetta.
Lucrezia si sente un riccio, vorrebbe potersi nascondere per sempre dietro una palla di aculei.
Sveva è una narcisista, focalizzata su se stessa. Non prova empatia né senso di colpa, non sa capire gli stati d’animo degli altri e usa le relazioni solo per obiettivi personali. È abituata a mentire e a manipolare le persone, tanto da avere reso la propria vita una terribile menzogna.
Donne forti e fragili allo stesso tempo, accomunate da un segreto taciuto per trentacinque anni.
5. Ho apprezzato molto il richiamo a fatti reali di cronaca durante l’avvicendarsi dei fatti, come ad esempio il caso di Novi Ligure. Credi sia importante non dimenticare quanto la realtà superi di gran lunga la fantasia o per ricordarci che non è chiudendo la porta di casa che si lascia il male fuori?
C.: Quando si parla di crime, non esiste fantasia più sconvolgente della realtà. Ogni mio romanzo si basa su fatti accaduti: in Una brava madre ho inserito ventiquattro casi di cronaca degli ultimi anni.
6. Teneri i passaggi in cui si parla di Allibis, il border collie di Giorgia Morandi, quasi a voler ricordare che esistono molti modi per trasmettere o – per meglio dire – ricevere amore incondizionato, che sia quello di un figlio o di un animale. Cosa ne pensi?
C.: In ogni mio romanzo, le protagoniste sono sempre accompagnate da un animale domestico. Amo gli animali e sono convinta che sappiano renderci migliori.
Per Giorgia, Allibis non è solo una cagnolina. È una figlia. Come lo sono i tre gatti che ha salvato.
Allibis dimostra a Giorgia un amore incondizionato. Spontaneo. Tanto da buttarsi contro l’assassino per prendersi una pallottola.
7. Borges scrisse: il libro non è un ente chiuso alla comunicazione: è una relazione, è un asse di innumerevoli relazioni. Cosa rappresenta per te?
C.: Penso che per scoprire chi siamo sia sufficiente aprire un libro. Le storie degli altri parlano di noi, ed è grazie ai romanzi che ci rendiamo conto di non essere soli nelle nostre riflessioni. Non siamo i primi a soffrire, né gli ultimi a lottare: la disperazione che ci tormenta ha già mietuto vittime e continuerà a farlo, così come continuerà a salvarci quella spinta alla sopravvivenza che definiamo speranza. Nulla si inventa in fatto di emozioni.
8. Nelle interviste, in genere ci concentriamo sul libro di cui parliamo, ma a un’autrice come te non possiamo non chiedere quali progetti stai portando avanti.
C.: Ho iniziato questo nuovo anno facendo tesoro di una delle frasi che ripeteva sempre mia nonna: «Meglio stanchi che annoiati». E in questo 2024 non intendo risparmiarmi.
Cecilia, grazie per questa intervista così interessante.
Ringrazio Contorni di noir per l’ospitalità.
E i lettori che hanno deciso di fare questo viaggio insieme a me.
Intervista a cura di Cecilia Lavopa