Il tramonto del poliziesco “rivoluzionario” apre le porte al vero noir, basato più sui dubbi che sulle certezze. E arriva Padura Fuentes
(continua dall’articolo precedente)
Un’altra caratteristica narrativa che prende piede a Cuba tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta è la trama che mischia elementi gialli con la spy-story, come nel caso del romanzo “Viento Norte” (1980) di Carmen González Hernández, dove l’iniziale indagine per un omicidio apparentemente comune assume nel corso della narrazione tinte sempre più politiche, virando poi verso la storia di spionaggio e di azione: l’assassino entrato illegalmente nel Paese ha legami con la CIA e con le organizzazioni controrivoluzionarie cubane in esilio, e alla fine si scopre che il motivo dell’omicidio era di sabotare l’economia nazionale e attentare alla vita di un leader della Rivoluzione. Un finale dove il trionfo del bene sul male si traduce nell’invincibilità del processo rivoluzionario cubano.
Un ulteriore romanzo paradigmatico per comprendere lo spirito del poliziesco rivoluzionario è “La ultima mujer y el proximo combate” di Manuel Cofiño López, uscito nel 1971. Nel volume si presenta il mondo contadino della provincia cubana come un ambiente retrivo, riluttante ad accettare i cambiamenti imposti dalla Rivoluzione, nel quale si fatica ad applicare i piani statali di sviluppo forestale e agrario per via di un ambiente rurale ancorato non solo a interessi economici reazionari, ma anche a una serie di miti e credenze che danno vita a una visione primitiva della realtà. Insomma, lo sfondo della trama poliziesca è la classica lotta fra il progresso incarnato dallo Stato socialista e la rozza barbarie legata alle vecchie abitudini. Secondo il già citato Portuondo, in questo romanzo gli aspetti magici, tradizionali e meravigliosi della realtà e della natura caraibica hanno l’aspetto di una visione antiquata e pittoresca, mitica, che viene superata senza violenza dalla nuova coscienza socialista, scientifica e rivoluzionaria. Insomma, una versione quasi opposta alla coeva Macondo di Garcìa Màrquez.
Il tema del Paese in lotta perenne con la vicina superpotenza, che attende con coraggio collettivo una imminente guerra di invasione da parte dell’odiato “yanqui”, subisce una battuta d’arresto nel 1980, quando si verifica il famoso esodo di Mariel: cioè la fuga, tollerata dalle autorità rivoluzionarie, di circa 125 mila cubani che nell’arco di alcuni mesi si imbarcarono dal porticciolo a nord dell’isola per recarsi in Florida. Come osserva Duanel Dìaz Infante nel volume “La revolución congelada. Dialécticas del castrismo”, stavolta non si tratta più di poche decine di reazionari legati al passato che rifiutano il “paradiso socialista”, ad andarsene sono decine e decine di migliaia di giovani che vogliono solo fuggire dal castrismo. Un episodio che non poteva non avere ripercussioni anche sul poliziesco cubano, che pure continuerà per l’intero decennio a produrre ancora fulgidi esempi di detective rivoluzionari in lotta contro i nemici dello Stato.
Se il seme del dubbio sull’infallibilità della rivoluzione era già stato instillato dal caso di Mariel, è nel 1989 che la Cuba castrista deve fare i conti con le proprie contraddizioni, prima di tutto economiche. […]
Articolo di Giorgio Ballario su Latin Noir