Editore Iperborea / Collana I Corvi
Anno 2024
Genere Saggistica Narrativa
528 pagine – brossura e ebook
Traduzione di Luca Fusari
Possibile che un lettore o una lettrice abbia un ricordo, anche vago, di una stagione di incendi di qualche anno fa, in Canada, forte, eccezionale, tanto da occupare spazio sui media e attirare abbastanza attenzione da depositarsi nella memoria. Possibile che la lettrice o il lettore abbia sentito da qualche parte il termine iperoggetto e magari anche le sue caratteristiche come la viscosità o la sua presenza diffusa nel tempo e nello spazio. Possibilità, l’una e l’altra. Comincia a essere difficile ricordare un anno senza qualche catastrofe eccezionale. Comunque, in ogni caso, per questo si leggono i saggi e per questo si leggono romanzi. Questo di John Vaillant è in molti modi, certamente, un libro speciale.
E il 3 maggio il mondo di Fort McMurray andava più veloce che mai. Quel giorno l’impazienza del futuro sbaragliò l’inerzia del presente.
Stato dell’Alberta, Canada, è il 2016. Fort McMurray è un’isola urbana circondata da un’oceano di foresta boreale. Lì decine di migliaia di persone vivono, prosperano, in quella che rientra nella tradizione delle città di frontiera in pieno di boom economico. Se per centinaia di anni da quelle parti si cacciava e commerciava la pelle di castoro fino alla quasi estinzione, adesso sono le sabbie bituminose l’attrattiva. Per estrarre prodotti petrolchimici da queste sabbie e rocce enormi quantità di acqua, energia e risorse umane e tecniche sono necessarie. Si pagano ottimi salari e straordinari, le case sono costose, le concessionarie di SUV e pickup fanno affari d’oro ma questo è solo un momento, uno che comunità del genere hanno già vissuto. Roghi, incendi lontani, fanno parte del paesaggio e della vita della città. Per migliaia di anni le foreste dell’Alberta hanno bruciato regolarmente per ripristinare la foresta stessa in un equilibrio tra fiamme e vita.
Ma quell’anno, da quelle parti e ovunque, la composizione del sistema natura, del mondo, è cambiata in modo radicale, e qualcosa di inedito, per un effetto esponenziale, sta arrivando. Succede, uomini e donne esperti guardano e non capiscono, forse pensando le routine come eterne e l’esperienza non smentibile.
Qualcosa è successo e quella primavera la Bestia, come i sopravvissuti chiameranno quella tempesta di fiamme di magnitudine mai vista, per violenza, calore, comportamento, un’altra cosa proprio.
Paul Ayearst, cresciuto nella foresta boreale, gran lavoratore, cittadino integerrimo e coscienzioso padre di famiglia, fu colto dal dilemma cognitivo che riguardò tante altre persone quel giorno: aveva sentito gli avvertimenti e aveva visto l’incendio farsi più grande e vicino, ma una parte fondamentale di lui non voleva considerare attivamente le immediate e terribili implicazioni di un incendio boreale di categoria 6 dietro l’angolo, o non riusciva a farlo. Non intuì quale pericolo minacciasse casa sua e la sua adorata famiglia finché sua moglie non glielo strillò in faccia piangendo. Eppure, l’implacabile fedeltà del suo cervello allo status quo continuava a opporre resistenza.
Questo “L’età del fuoco” non è solo il racconto di una catastrofe reale talmente enorme da sembrare un film catastrofico. Ha a che fare con l’antico commercio degli animali da pelliccia, con i pickup e le rate per comprarli, la bellezza di avere una foresta di fronte al portico di casa propria, con i modi in cui si causano estinzioni e si sorregge una civiltà; con storie di normalità della vita su questo pianeta che ci raccontiamo a tutte le latitudini e con un certo livello di anidride carbonica nell’atmosfera. Storie non più sostenibili.
Come i nostri anziani hanno conosciuto persone vissute nel clima pre Antropocene, così nel futuro i giovani di oggi sperimenteranno una versione del nuovo Periodo caldo che è già cominciata.
È una nuova era e con essa altre entità emergono e per questo l’autore usa tutti i registri possibili, quelli del reportage, del thriller, del saggio. Descrive un tornado di fuoco che sembra attaccare gli umani come un kaijū, con un’intelligenza non umana che sembra eseguire manovre a tenaglia come un generale competente. Per questo lo scrittore si ritrova a gestire concetti e immagini dal distopico e dal catastrofico, dall’horror e dal post apocalittico per dare le coordinate d’immaginario sugli eventi di Fort McMurray. A tratti il libro è tracce di “Perdere la terra” di Nathaniel Rich, su uno shock cognitivo di massa che sembra quello de “Il massacro del Monte Rainer” di Max Brooks.
Da quelle parti, in quel pezzo di Alberta, alla periferia del mondo, nel 2016, è un risveglio improvviso su un’emergenza che è in realtà un evento su un pianeta che non è più quello in cui gli umani si sono evoluti. John Vaillant fa un resoconto di una cesura che è fluida e viscosa, di un passaggio a una nuova età, in cui il fuoco, un’entità dell’ossigeno e del pianeta alieno che ha vita e vita intelligente prometeica, non è mitigato. L’Alberta e Fort McMurray, leggendo, sembrano, si sentono, sempre più vicine.
Cercò di scattare una foto per immortalare le proporzioni della calamità, ma lo schermo del suo iPad non riusciva a contenerle. Era successo tutto in un istante; sembrava che il fuoco fosse dappertutto.
Come si racconta un evento grande quanto qualcosa di prossimo a una sezione di era geologica? Dove cause, eventi ed origini si dipanano insieme nel passato e nel futuro e sembra, sembra, con una speranza, dello scrittore e umanissima, che una civiltà, quella basata sui combustibili fossili, voglia in qualche modo concludersi.
Come si raccontano certe dimensioni, una certa accelerazione, un paradigma, the real thing. Forse questa cosa vera, larger than -human- life, si racconta con un nonfiction thriller, come in “Nuclear War” di Annie Jacobsen o “L’enigma del lago rosso” di Westerman.
Scorrevole e solido, capace di intrattenere e informare, complesso per struttura e competente sul dibattito, “L’età del fuoco” di Vaillant è un romanzo dell’Antropocene con tutto il coraggio e le qualità per rimanere.
Antonio Vena
Lo scrittore:
John Vaillant è uno scrittore e giornalista canadese, i cui scritti sono apparsi, fra gli altri, su The New Yorker, The Atlantic, National Geographic e The Guardian. Ha pubblicato La tigre (Einaudi, 2012) e dopo L’età del fuoco – con il quale si è aggiudicato il Baillie Gifford Prize nel 2023 – presso Iperborea apparirà anche la sua prima inchiesta, L’albero d’oro.