Lorenzo Sartori vive tra Crema e Milano. Giornalista e studioso di storia militare, è uno tra i maggiori divulgatori del wargame in Italia e all’estero. Dal 2000 è editore e direttore della rivista «Dadi&Piombo» nonché autore di regolamenti di gioco apprezzati in tutto il mondo. La sua produzione letteraria spazia dal fantasy al thriller passando per la fantascienza. In ambito noir, ha pubblicato, tra gli altri, Il filo sottile di Arianna (Laurana Editore, 2021), tradotto all’estero, vincitore del Premio NebbiaGialla 2020 e finalista al Premio Garfagnana in Giallo 2021. Dal 1999 si occupa di organizzazione di eventi e dal 2018 è direttore artistico del festival letterario Inchiostro di Crema. Dal 2022 dirige anche Tremosine in giallo, sul Lago di Garda.
Lo abbiamo invitato a parlarci del suo nuovo romanzo, Il nido del pettirosso, pubblicato da Fazi Editore nella collana Darkside. Ecco cosa ci ha raccontato:
1. Lorenzo, benvenuto nuovamente su Contorni di Noir. Un romanzo di genere dove le emozioni umane più potenti sembrano permeare ogni pagina. Come hai fatto a mantenere la tensione classica del thriller e a concentrarti anche sull’aspetto emotivo?
L.: Ho cercato di lavorare soprattutto sui personaggi, sulle loro tensioni, paure, fragilità, per cui più che un ostacolo è stato l’aiuto principale, unito all’ambientazione che è servita da cassa di risonanza di questa tensione.
2. Una storia di montagna “Il nido del pettirosso”. Quasi un fatto di cronaca da raccontare e tramandarsi nelle piccole comunità. Quanto c’è di vero in questa storia e a cosa ti sei ispirato?
L.: In questa storia non c’è nulla di vero, nel senso che non è ispirata a un particolare fatto di cronaca. Però qualche anno fa una mia cara amica mi ha raccontato di quando con la sua famiglia è andata a gestire un piccolo albergo di montagna. Quando me lo ha raccontato ho capito subito che quella esperienza sarebbe stata l’innesco giusto. Era lo spunto che stavo cercando da tempo per raccontare un thriller ambiento in montagna. Ovviamente non ho raccontato la sua storia che non ha avuto nulla di particolarmente tragico ma la sua esperienza mi è servita tantissimo per immedesimarmi nelle vicende della famiglia Ghilardi e nella difficoltà di essere accettati in comunità chiuse, abituate a difendersi con i mezzi a disposizione.
3. Alice e le altre potrebbe essere il sottotitolo della tua opera perché le protagoniste vere sono tutte donne, partendo dalla stessa Sara trovata morta in un burrone fino all’ispettrice Valenti. Da dove ti arriva questa identificazione così forte e precisa con le donne e con il loro mondo?
L.: Capita spesso che i protagonisti, anzi, le protagoniste dei miei romanzi siano donne. Trovo molto più stimolanti i personaggi femminili di quelli maschili. Il primo motivo è che le donne hanno un diverso sguardo sul mondo, si potrebbe semplificare con l’affermazione che sono più curiose e io ho bisogno di personaggi curiosi che in qualche modo scavino, indaghino. Le donne poi sono più tridimensionali, un po’ è il dna, credo, e un po’ è il doppio condizionamento che ricevono, quello di impostazione patriarcale che le vuole al servizio del maschio (compagno, marito o datore di lavoro che sia) e quello di una società più emancipata ma al tempo stesso competitiva che le vuole fare le stesse cose dei maschi. A differenza degli uomini le donne sono capaci di giocare in due campionati contemporaneamente. Poi, probabilmente, la ragione è anche che ho uno spiccato lato femminile.
4. E ancora, Laura è costruita come se fosse quasi reale, come se fosse una di quelle donne che un po’ tutti possono incontrare sul serio nella loro vita. Chi è Laura? Esiste sul serio? Tu l’hai incontrata?
L.: No, non l’ho mai incontrata ma probabilmente ho incontrato donne che avevano alcune delle caratteristiche di Laura. Laura è una donna che fugge da se stessa e che trascina la sua famiglia in un progetto di vita che si rivelerà fallimentare. È il problema di quando fuggi da te stesso, non puoi mai scappare lontano abbastanza e non è scappando che risolvi i problemi. Laura cerca affetto e lo fa nel modo sbagliato, attraverso il cibo. Fugge dalla città per rifugiarsi non tra le montagne, ma in cucina. Attraverso i suoi piatti cerca conferme, considerazione, amore. E non si accorge che la sua famiglia ne sta soffrendo e non si accorge nemmeno che è lei a isolarsi dalla comunità prima ancora del contrario. Solo un secondo forte trauma la costringerà a prendere coscienza e a tornare su quelle montagne non per se stessa ma per qualcuno che ama.
5. Parliamo un attimo della tua scrittura. Il tuo stile è rimasto riconoscibilissimo e anche con le dovute differenze ricorda molto quello di Alieni a Crema. Per cui ti chiedo: questa flessibilità, questa adattabilità, questa versatilità è frutto di uno studio ben preciso e di una volontà di farti comunque riconoscere sempre dai tuoi lettori o ti siedi semplicemente al pc e viene tutto di conseguenza?
L.: Questo è un bellissimo complimento. Mi sono mosso tra generi letterari diversi e sono felice che dall’esterno il mio stile resti riconoscibile a prescindere dalla storia. Non è studiato, ma a volte non è neanche automatico. Quando inizio una storia mi deve suonare nel modo giusto, deve avere la giusta voce. A volte inizio a scrivere e viene tutto da sé, altre volte no, devo ripartire più e più volte finché non mi suona come deve.
6. Se dovessi far ritornare un solo personaggio de Il nido del pettirosso in un tuo prossimo lavoro chi sceglieresti e perché?
L.: L’unico personaggio che credo abbia senso che possa tornare è l’ispettrice Angelica Valenti. Per lei ho lasciato una “finestra” aperta alla fine del romanzo, ma non è detto che Angelica vorrà sfruttarla. Alla fine sta un po’ anche ai personaggi.
7. E se dovessi scegliere una colonna sonora per questo libro cosa sceglieresti e perché?
L.: È abbastanza difficile. E la cosa buffa è che all’inizio del romanzo si citano anche due brani, tra l’altro molto leggeri e che per questa ragione non vedrei proprio come colonna sonora del romanzo. Diciamo che se potessi commissionare una colonna sonora per un ipotetico film su Il Nido del Pettirosso la affiderei a Brian Eno, Moby e ai The Kills.
Intervista a cura di Antonia Del Sambro