Editore La Nave di Teseo / Collana Oceani
Anno 2024
Genere Narrativa
336 pagine – brossura e ebook
Traduzione di Andrea Silvestri
Anche se appare sopito in questi ultimi tempi il movimento della #cancelculture, ciò che è avvenuto e sta ancora avvenendo è una politica di variazione della narrativa del passato – oltre a impostare quella del presente – nella quale secondo alcuni non si è stati politically correct. Forse la più famosa è Agatha Christie, presa di mira per i famosi Dieci piccoli indiani il cui titolo originale era Ten little niggers. Peccato che stiamo parlando del 1939, quindi la cancel culture ancora – in teoria – non esisteva. O forse stava già cominciando?
Questa premessa solo per sottolineare che non è sempre necessario cancellare un testo, ma partire da un profilo diverso può aiutarci a considerare la storia sotto un altro aspetto. Percival Everett non riscrive la storia de Le avventure di Huckleberry Finn, famoso romanzo di Mark Twain, ma la crea partendo da un punto di vista diverso: quello dello schiavo, Jim.
Siamo nella cittadina inventata di St. Petersburg, nel Missouri. Un Mississippi scorre placido e ignaro dei complotti e delle vicissitudini che coinvolgono Huckleberry – Huck – e James – Jim. Nel romanzo originale, Huck decide di scappare dal padre violento inscenando una rapina che avrebbe depistato le sue tracce, ma durante la fuga incontra l’uomo, considerato dal ragazzo un amico, anche se non si può e non si deve sapere.
il romanzo di Everett soverchia i ruoli, lasciando invariata la storia ma ribaltando il punto di vista. Uno schiavo che scappa, un ragazzino che si unisce alla sua fuga. Ci sono molti personaggi che si susseguono nella loro avventura, entrambi alla ricerca di una libertà che forse non otterranno mai, ma che li fa illudere di essere padroni della propria vita e non vittime di carcerieri che vorrebbero assoggettarli.
Lo schiavo James non è come tutti gli altri, legge libri, parla forbito. Ma questi suoi aspetti li tiene ben nascosti e cerca di insegnare anche agli altri schiavi. Perché la conoscenza dà la libertà, l’ignoranza imprigiona.
Un’ambientazione (solenne e crudele): dormire accampati sotto uno stesso cielo, che non faceva distinzioni di razza né di status sociale, che pareggiava i conti con la crudeltà degli uomini. Nello sfondo la visione di frustate sulla schiena, abuso sulle donne, umiliazione dell’uomo visto come una proprietà, qualcuno da sfruttare e sottomettere in un delirio di onnipotenza.
La fuga attraverso un fiume, acqua che riflette la condizione umana, sorgente di rinascita, di riconquista. Arrivare a credere che il viaggio avrebbe portato a una nuova America, un posto dove poter vivere indisturbati. Ma solo dopo aver “acquistato” i propri familiari agli schiavisti che li tengono in pugno.
Più leggo Everett e più ne vorrei leggere, credo sia importante ricordare periodi così oscuri nella vita dell’uomo, che continuano a ricorrere anche se in forme diverse, come un male che si trasforma ma non scompare, pronto a colpire quando meno te lo aspetti. Ma rimane alla superficie il senso dell’amicizia forte e solida unita alla fragilità dell’animo umano, non senza strappare anche qualche sorriso, che servirà solo a ricordarci le contraddizioni di un’America che ancora una volta sottolinea che forse il sogno americano non esiste.
Cecilia Lavopa
Lo scrittore:
Percival Everett insegna alla University of Southern California. Ha scritto numerosi libri, tra i quali: Deserto americano (2004), Ferito (2005), La cura dell’acqua (2007), Non sono Sidney Poitier (2009), Percival Everett di Virgil Russel (2013), Quanto blu (La nave di Teseo, 2020), Telefono (La nave di Teseo, 2021), Gli alberi (La nave di Teseo, 2023; finalista al Booker Prize e vincitore dell’Anisfield-Wolf Book Award). Per i suoi lavori Everett ha ricevuto lo Hurston/Wright Legacy Award e il PEN Center USA Award for Fiction. Vive a Los Angeles. Da questo romanzo Cord Jefferson ha tratto il film American Fiction, con Jeffrey Wright e Tracee Ellis Ross, candidato a 5 premi Oscar e 2 Golden Globe, vincitore del BAFTA per la migliore sceneggiatura non originale.