Carlo Calabrò è nato a Palermo. Bioingegnere per formazione, sceneggiatore e attore per passione, in un paio di vite precedenti è stato anche consulente, banker e imprenditore tra Parigi e San Paolo. Sposato, due figli, vive e lavora a New York. Se volete saperne di più, visitate il sito dell’autore: https://carlocalabro.com/about-2/
Il suo romanzo d’esordio, Meccanica di un addio, pubblicato da Marsilio Editori, è stato finalista al Premio Scerbanenco 2024. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa in più della sua vita e del libro.
1. Benvenuto su Contorni di noir, Carlo, grazie mille per la disponibilità. “Meccanica di un addio”, finalista al Premio Scerbanenco 2024, è un romanzo coinvolgente, dalla trama ben strutturata e ricco di colpi di scena, ambientato in Amazzonia. Come è nata questa storia?
C.: Ho vissuto per oltre dieci anni in Brasile e per un periodo anche abbastanza lungo sono andato ogni mese in Amazzonia per lavoro. Mentre preparavo gli scatoloni per il trasloco a New York, mi sono detto che di quell’esperienza sarebbe stato bello condividere le atmosfere, i caratteri e le storie più intriganti. Intorno a quell’idea iniziale, forse più legata alle emozioni che alla struttura razionale del romanzo che avete letto, ho costruito un po’ per volta una trama noir. Volevo soprattutto che la storia noir accompagnasse il lettore in un paese affascinante, che ai tratti cupi associa però una straordinaria capacità di adattarsi, di reinventarsi e di sopravvivere alle avversità senza mai perdere una certa dose di allegria.
2. Florian Kaufmann è un ingegnere svizzero che si è trasferito nel minuscolo villaggio di Araxà do Oeste determinato a “dimostrare che è possibile l’impossibile: fare impresa (e soldi) onestamente, in Brasile, valorizzando i legnami ma allo stesso tempo proteggendo la foresta”. Originale e interessante, è un protagonista che lascia indubbiamente il segno. Come hai costruito questo bellissimo personaggio?
C.: Kaufmann è nato per strati successivi e soprattutto da genitori molteplici: è una sintesi di tanti imprenditori stranieri in Brasile che ho conosciuto e frequentato a San Paolo – due dei quali svizzeri come lui, peraltro. Da loro ha ereditato frustrazioni, ambizioni, idealismo e delusioni. Poi ci sono anche tante delle mie esperienze dirette come imprenditore che sono confluite nel bagaglio intellettuale e sentimentale di Florian, naturalmente: ma quello è vero anche di altri personaggi del romanzo, portano tutti quanti in giro un pezzetto di me.
3. Altro grande protagonista della storia è il Brasile, posto meraviglioso e affascinante, un caleidoscopio dalle molte sfumature che sei riuscito a cogliere nei suoi aspetti più veri, anche feroci e spietati. Qual è il Brasile che hai voluto raccontare e che rapporto hai tu con questa realtà così complessa?
C.: Sono brasiliani entrambi i miei figli e sono brasiliani alcuni dei ricordi più belli e importanti della mia vita, come brasiliane sono alcune delle letture e musiche che mi hanno segnato più in profondità: penso a Jorge Amado, per esempio, e a Chico Buarque. Forse sono diventato un po’ brasiliano anch’io, dopo tutti questi anni. Certo, della società e soprattutto delle istituzioni brasiliane racconto anche aspetti francamente orrendi, ma è una critica che viene dal punto di vista di chi quel paese lo ama tantissimo ancora oggi.
4. Mi hanno particolarmente colpita anche i personaggi femminili del romanzo, ognuna con una storia diversa da raccontare e un vissuto molto interessante e variegato, personalità ben delineate in grado non solo di incuriosire ed appassionare il lettore ma anche di spingerlo a riflettere su temi relazionali e sociali. Quali aspetti della condizione della donna nel Brasile di oggi hai voluto cogliere attraverso di loro?
C.: Quando ho cominciato a scrivere Meccanica di un addio ho pensato che il maschilismo esagerato della società brasiliana – cui peraltro il protagonista Kaufmann si adatta subito con grande soddisfazione sua, e danno altrui – fosse un elemento da sottolineare. Però, a ripensarci oggi, non so quanto non siano invece degli elementi ancora abbastanza universalmente radicati, purtroppo. E in effetti Maria Eduarda vive un’esperienza di un maschilismo spietato, sia pure superficialmente più abbottonato, anche in Svizzera. E quindi stavolta la domanda la rigiro a voi e ai vostri lettori: se Marisa Pontes lavorasse in un ufficio pubblico in Sicilia o in Friuli invece che in Rondonia, la sua condizione sarebbe così diversa? Se Diana il suo piccolo caffè lo avesse aperto a Roma invece che a San Paolo, siamo sicuri che avrebbe una vita più facile?
5. Nel tuo romanzo affronti anche questioni profonde, importanti e attuali legate alle tematiche dell’ecologia e dell’ambientalismo. Quanto secondo te il genere noir è ancora in grado, al giorno d’oggi, di raccontare la realtà contemporanea offrendo al lettore spunti significativi di riflessione?
C.: Secondo me il noir ha un valore di specchio della società ancora più importante oggi di quando scrivevano Hammett e Chandler. Proprio perché il genere permette e anzi richiede a noi autori di portare all’estremo i comportamenti dei nostri personaggi e le loro conseguenze, supporta abbastanza naturalmente la descrizione delle tematiche sociali e politiche più cupe e preoccupanti. La questione ambientale ne è un esempio abbastanza chiaro, e infatti la si ritrova sempre di più negli ultimi vent’anni, non solo negli ecothriller di nicchia ma anche nelle storie di personaggi più pop come Rocco Schiavone o James Bond.
6. Venendo alla tua scrittura, ho apprezzato moltissimo la leggerezza e l’ironia con cui hai raccontato aspetti anche feroci della realtà, in una narrazione intelligente, che coinvolge, intrattiene e contemporaneamente svela le pieghe più profonde della storia e dei personaggi. Come è maturata questa scelta e come sei riuscito ad armonizzare sempre così bene tutti gli elementi del racconto?
C.: È un equilibrio difficile e infatti è l’elemento su cui ho dovuto lavorare di più. Non avevo intenzione di scrivere né una commedia né un saggio impegnato sulla depredazione della foresta amazzonica: però di punti di caduta in mezzo ce ne sono tanti, e non tutti hanno lo stesso equilibrio. In prima stesura ho lasciato correre la penna (io scrivo sempre sulla carta, direttamente a schermo non riesco) in entrambe le direzioni; poi quello che ha funzionato bene, almeno dal mio punto di vista, sono stati i tagli degli estremi opposti, per quanto dolorosi: da un lato, sono andate via alcune scene che mi ero divertito da pazzi a scrivere, perché non aggiungevano gran che alla trama o ai personaggi; dall’altro, sono rimaste in un cassetto alcune riflessioni più generali sulla politica e sulla società brasiliana che esulavano dalla storia di Florian Kaufmann.
7. Un altro elemento del romanzo molto originale, particolare e che colpisce fin da subito è il titolo, “Meccanica di un addio”. Come è nato?
C.: Anche quello per sottrazione. In prima stesura il titolo era più lungo, e riassumeva una struttura interna del romanzo pensato un po’ come un manuale di meccanica, uno dei tanti che il suo protagonista aveva studiato all’università: prima la cinematica, in cui si osservano i movimenti dei corpi senza però analizzarne le cause; poi la statica, in cui si studiano gli equilibri e i vincoli; infine la dinamica, in cui gli equilibri si rompono e si capiscono le cause dei movimenti. La struttura è rimasta, così come lo sguardo narrativo; quanto al titolo, si è condensato nella semplice dicotomia tra “meccanica”, nel senso di un tentativo di trovare spiegazioni razionali, e “addio”, un termine emotivo che alla razionalizzazione, giustamente, sfugge.
8. Un’ultima domanda di rito in conclusione. Stai lavorando a un nuovo progetto? Avremo la possibilità di ritrovare qualcuno dei tuoi bellissimi personaggi?
C.: Mi piacerebbe tanto essere uno di quegli scrittori disciplinati che si siedono e si concentrano per quattro, sei, otto ore sullo stesso testo. Non ci riesco. E quindi ne sto portando avanti due, in un caotico processo parallelo, più un paio di sceneggiature. Quello che posso senz’altro anticipare è che di storie da raccontare, intorno ai personaggi e agli ambienti del “mio” Brasile noir, ce ne sono fin troppe, il problema semmai è scegliere quali sviluppare. E di personaggi interessanti, di quelli che mi svegliano in piena notte chiedendo insistentemente di essere scritti, ce ne sono parecchi anche da altre parti del mondo…
Intervista a cura di Linda Cester