María Moreno – L’atroce storia di Santos Godino. El Petiso Orejudo

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Edicola Edizioni/Collana Ñ
Anno 2024
Genere Narrativa
264 pagine – brossura
Traduzione di Francesca Lazzarato


In Argentina il nome di Cayetano Santos Godino fa ancora paura, come da noi quelli di Girolimoni, di Ludwig o del Mostro di Firenze. Santos Godino, noto anche con il soprannome di “Petiso orejudo” (il piccoletto dalle grandi orecchie) è il criminale per eccellenza, l’assassino seriale di bambini, il pazzo sadico che prova piacere nell’uccidere vittime innocenti. E poco importa se la sua è una storia vecchia di oltre un secolo e se lui, il feroce killer, era poco più di un ragazzino quando commise i suoi delitti. La sua fama sinistra oscura persino quella di altri famosi assassini di epoche più recenti, come Carlos Robledo Puch, “l’angelo della morte”, e Yiya Murano, “l’avvelenatrice di Montserrat”.

María Moreno, giornalista, scrittrice e critica culturale di Buenos Aires, ha scelto il caso Santos Godino per scrivere un libro urticante di difficile collocazione: non è un saggio, non è un romanzo, non è true crime e non è neppure un’inchiesta giornalistica. È una miscela molto noir di tutti quattro i generi, con una spruzzata di sceneggiatura teatrale, dato che ogni capitolo è preceduto dallo scritto di un anonimo “poeta macabro” che svolge il ruolo del coro greco nella tragedia classica. Un lungo viaggio nelle tenebre di una mente malata e di una storia terribile in tutti i sensi, “atroce” come recita il titolo.

Moreno ripercorre i crimini dell’adolescente di origine italiana (i genitori erano arrivati pochi anni prima dalla Calabria) nella Buenos Aires caotica, povera e sporca di inizio Novecento, nei quartieri allora periferici di Almagro e Parque Patricios dove gli immigrati vivevano nei conventillos, i condomini-dormitorio privi di qualsiasi servizio igienico. Ed è lì che il piccolo Cayetano, morbosamente attratto dal fuoco e già torturatore seriale di gatti e uccellini, a soli otto anni tenta il primo omicidio ai danni di una bambina di due anni, che rapisce, picchia e getta in un fosso. Ci riesce l’anno dopo, quando sequestra e seppellisce viva un’altra bimba di tre anni, ma l’orribile delitto verrà attribuito a lui soltanto molto tempo dopo. Intanto il “Petiso orejudo” prova a compiere altri omicidi, appicca incendi dolosi e compie violenze sugli animali (uccide a coltellate una cavalla), ma ogni volta riesce a scamparla in modo rocambolesco.

A sedici anni Santos Godino compie un “salto di qualità” e uccide per tre volte in pochi mesi: prima un ragazzino di tredici anni, strangolato; poi una bambina di cinque anni, bruciata; infine un bambino di tre anni, che porta in un luogo abbandonato, tenta di strangolare e poi uccide conficcandogli un chiodo in testa. Alla fine viene arrestato, confessa tutti gli omicidi e si apre un dibattito pubblico giuridico-scientifico sul destino del giovane assassino: siamo in piena epoca post-positivista e le teorie criminologiche di Cesare Lombroso vanno per la maggiore. I medici e gli psichiatri che lo visitano lo descrivono come un imbecille, degenerato ereditario, perverso ed estremamente pericoloso, ma in sostanza non del tutto capace di intendere di volere, perciò viene condannato all’internamento in un ospedale psichiatrico.

Qui, però, Santos Godino aggredisce altri due pazienti e alla fine il Tribunale decide di trasferirlo in un penitenziario. Dieci anni dopo, nel 1923, il ragazzo viene mandato a tempo indeterminato nel carcere di Ushuaia, nella Terra del fuoco, la prigione più lontana da Buenos Aires che esista. E lì, nel gelo della Patagonia meridionale, tra stenti e violenze degli altri detenuti (lo massacrano di botte perché un giorno uccide due gattini-mascotte dei compagni di cella), il “Petiso orejudo” muore all’età di 60 anni dopo aver invano chiesto la scarcerazione.

«Quando il cimitero di Ushuaia venne spostato», scrive María Moreno nell’ultima pagina del libro, «cercarono le sue ossa. Non c’erano. Il guardiano del cimitero dice che nel momento in cui chiusero il penitenziario la moglie del governatore era in possesso del femore del Petiso Orejudo. Di Cayetano Santos Godino non resta nemmeno la polvere delle sue ossa».

Giorgio Ballario


La scrittrice:
María Moreno (Buenos Aires, 1947), giornalista, scrittrice e critica culturale è considerata una delle più grandi croniste e saggiste in lingua spagnola, con una vasta produzione di testi dedicati al femminismo. Nel 1984 fonda Alfonsina, la prima rivista femminista dal ritorno della democrazia dopo la dittatura militare. Ha scritto, tra gli altri: El affair Skeffington, A tontas y a locas, Black out, Oración. Carta a Vicki y otras elegías políticas, Contramarcha e Subrayados. Ha vinto il Premio Iberoamericano de Narrativa Manuel Rojas, il Premio Lola Mora e il Premio Ñ. Ha ricevuto la borsa di studio Guggenheim per la ricerca su politica e sessualità nelle militanze degli anni Settanta.