Intervista a Massimo Rainer

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foto di Massimo Rainer

Oggi su Contorni di noir una bella chiacchierata con Massimo Rainer:
1. Avvocato per necessità, scrittore per vocazione. Usi uno pseudonimo perché pensi di dover tracciare una linea netta tra queste due attività. Ti definisci permaloso, egocentrico, vanitoso. Cosa non ho scritto e cosa vorresti i tuoi lettori sapessero di te?
M.: Che sono un uomo fortunato. Faccio ciò che mi piace, nella vita. È un privilegio inestimabile. 
2. Perché proprio il nome “Massimo Rainer”? 
M.: È stato scelto dal mio primo editore, Gianluca Barbera. Avevo bisogno di uno pseudonimo “noir”. Mi è subito sembrato azzeccato. 
3. Come nasci scrittore e quanto è stata dura la tua “gavetta”?
M.: Ero solo un lettore che, un giorno, si è reso conto di avere qualcosa da raccontare. Non conoscevo nessuno, zero agganci. Ho scritto un testo e ho spedito il manoscritto a un paio di case editrici. Tre giorni dopo ricevevo il contratto, sei mesi dopo ero in libreria. Sono un uomo fortunato, ripeto. 
4. Domanda provocatoria: Perché la scelta di scrivere proprio questo tipo di letteratura? 
M.: Perché è quella che maggiormente mi diverte leggere, anche se apprezzo anche altri generi diversi dal mio. 
5. Domanda complicata se ti chiedo il tuo parere sulla Magistratura oggi?
M.: Fa quello che può, come tutti. E, come in ogni ambiente, ha dei rappresentanti straordinari vicino ad altri meno validi. Ma il problema fondamentale è di carattere economico. Difficile ottenere risultati brillanti, con gli attuali fondi disponibili. 
6. Stessa domanda sull’editoria. Quanto spazio credi venga concesso agli scrittori emergenti?
M.: In Italia si pubblica tantissimo, forse troppo, a scapito della qualità. Non tutti hanno qualcosa da dire e non tutti lo sanno fare. 
7. So che, oltre ad essere uno scrittore, sei anche un “talent scout”. Come nasce questa voglia di scoprire nuovi autori?
M.: Non mi definirei un “talent scout” ma semplicemente un autore che ha avuto la fortuna di incontrare sulla sua strada un talento naturale incredibile, Sara Bilotti. Era francamente impossibile non accorgersi del suo potenziale, leggendo i suoi scritti. Si è trattato solo di darle fiducia, insegnandole qualche trucchetto del mestiere ma stando sempre attento a non tarparle le ali. E adesso è una farfalla che volerà altissima. 
8. Ti piace la musica? Quali generi ascolti? Se ti va, abbina una canzone ai tuoi libri (è un gioco che faccio spesso con gli scrittori..perché imparo a conoscerli anche attraverso la musica che ascoltano).
M.: Adoro la musica, tanto nostrana quanto straniera, e ascolto i più svariati generi. Non a caso, il mio esordio letterario, era costellato di citazioni musicali. Direi che “Rosso Italiano” aveva un respiro ampio e una molteplicità di situazioni che mi fa pensare alla musica dei Pink Floyd, a “The gunner‘s dream“, per esempio. “Chiamami Buio” è più sincopato: “Welcome to the jungle“, dei Gun’s and Roses potrebbe rappresentarlo al meglio. 
9. Hai scritto nel 2007 “Rosso Italiano” per Barbera Editore, ambientato nei tribunali, tra magistrati, giudici e avvocati. Poi qualche racconto per Mondadori. Ora, per Todaro Editore, “Chiamami Buio”. Com’è cresciuto, letteralmente parlando, Massimo Rainer nel frattempo?
M.: Sono più consapevole di me stesso, più esigente nei confronti della mia scrittura e più incazzato con Dio e con gli uomini. 
10. Immagino che il tuo lavoro ti porti via molto tempo.. Come ti sei organizzato per la stesura del romanzo?..Raccontami una tua giornata tipo.
M.: Il mio lavoro non ha regole. Un avvocato penalista è un po’ come un chirurgo, agisce quando serve, in tempo reale. Quindi mi capita di avere delle giornate dove non ho nemmeno il tempo per scrivere una riga e altre dove ho maggiore possibilità di applicarmi alla stesura. Il problema è che non lo so quasi mai prima. Quindi scrivo quando capita e dove capita. 
12. Mi incuriosisce il titolo incisivo del libro. Mi spieghi il motivo di tale scelta? 
M.: Il titolo originale a cui avevo pensato era semplicemente “Buio”, ma il mio editore mi ha fatto notare che, a mia insaputa, era piuttosto sfruttato. Volevo comunque conservare il nome del protagonista, Buio appunto, e ho quindi pensato di usare una sua battuta. 
13. Raccontaci qualche particolarità del protagonista, questo poliziotto dell’Ufficio Immigrazione della Questura. 
M.: Buio è uno sbirro alcolizzato, cocainomane, pervertito e corrotto che usa la divisa per soddisfare le sue esigenze economiche e i suoi istinti più bassi. È l’uomo più lontano del mondo dal concetto di Giustizia ma si trova a servirla, assolutamente suo malgrado. 
14. Mi accorgo che sempre più spesso si ha la tendenza a scrivere romanzi che parlano del “Male”. Per quale motivo, secondo te? Forse il “Bene” non interessa a nessuno? Perché si è così attirati dal “Lato Oscuro”? 
M.: Il “Bene” è sostanzialmente noioso. Basta guardare un telegiornale: quante “good news” vengono date? 
15. Giorgio Scerbanenco, fu uno dei più grandi scrittori noir. Le sue ambientazioni si concentravano in una Milano violenta e criminale, in continuo “fermento”. Quanto pensi sia cambiata la città da quell’epoca? 
M.: Milano è più violenta, più criminale e più in “fermento”. Per fortuna, dico io, con il mestiere che faccio. 
16. Quale messaggio vorresti trasmettere attraverso questo romanzo? 
M.: Nessuno, detesto i predicatori. Ho scritto un’opera di pura fiction. Forse. 
17. Quali sono gli autori che ti hanno influenzato nelle tue scelte? So che uno di questi è Grangé. Qual è l’aspetto che più ti appassiona del suo stile? 
M.: Pur apprezzando parecchi autori, come Altieri, la Bucciarelli, Carrino, Naspini ed altri ancora, credo di avere uno stile abbastanza personale. Non scrivendo per vivere, peraltro, non ho la necessità di adeguarmi a dei cliché, perchè spinto dalla necessità di dover vendere per forza. Grangè è cartesiano nella descrizione delle situazioni, anche di quelle più estreme. Ed è truce, quasi quanto me. 

Grazie Massimo e in bocca al lupo per il tuo libro!