Intervista a Andrea Garbarino

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Andrea Garbarino Ha studiato al Liceo francese Chateaubriand di Roma e si è laureato in Scienze politiche all’Università statale di Roma. Nel 1976, dal giorno della fondazione del quotidiano la Repubblica, entra nella redazione del giornale. Dopo questa esperienza passa al periodico Il Mondo. Nel 1979 viene chiamato da Carlo Rognoni per il ruolo di caposervizio a Panorama. È in questo periodo che pubblica il suo primo libro, un testo di sociologia: I praticanti giornalisti italiani (Sansoni).
Nel 1982 è vicedirettore di Capital, incarico che ricopre fino al 1985, quando costituisce il primo service editoriale italiano, progettando e realizzando numerosi periodici aziendali. Dal 2000 si dedica esclusivamente alla scrittura.
Il suo primo romanzo, Luz, uscito nel 2006 per Marco Tropea Editore, ottiene un notevole successo di pubblico e critica. Nella primavera del 2012 fonda insieme alla figlia Elena la casa editrice Endemunde ñ Luz (romanzo), Milano, Tropea Editore, 2006, Gli appartati (romanzo), Milano, Tropea Editore, 2010,  I giorni in fila (romanzo), Bologna, La Linea, 2013,  I praticanti giornalisti. Indagine sociologica sulle nuove leve dell’informazione, Firenze, Sansoni, 1980  Sociologia del giornalismo. Professione, organizzazione e produzione di notizie, Torino, ERI, 1985.

Non perdetevi l’articolo su BookCity Milano 2013, in cui parlo dell’incontro del 24 novembre nel quale era presente anche Andrea Garbarino.

Benvenuto su Contorni di noir e:

1. Quale luogo ha il futuro? E che colore ha?
A.: Il futuro è un luogo che non esiste se non nel mondo delle inutili speranze. E’ un mondo dove si possa ritrovare serietà, sobrietà, responsabilità. E anche un senso estetico più sviluppato, che metta al bando le sedie di plastica dai bar all’aperto, gli applausi ai funerali, i telefonini mentre si pranza o si cena. Dove si nominino le cose con il loro vero nome. Dove non ci siano padroni altezzosi di cagnetti isterici, simili a topi, che abbaiano senza sosta né vergogna, né uomini potenti che si comportano come questi cagnetti. Il colore che avrebbe un posto così, se esistesse, sarebbe quello della trasparenza.

2. Più difficile convincere le case editrici o i lettori?
A.: Per gli esordienti, è più difficile convincere gli editori, farsi leggere. Per chi non ha più questo problema e non scrive cose incresciose, è più difficile convincere le librerie indipendenti a sostenere il suo libro. Il successo di un romanzo dipende sicuramente da una buona promozione e distribuzione da parte dell’editore. Ma quando il libraio consiglia il tuo romanzo, hai già vinto. Conosco piccole librerie di Milano e di provincia che credono nella qualità di quello che scrivo e che riescono a vendere anche 30 copie dei miei romanzi: sanno che il loro cliente li ringrazierà e tornerà per comprare altre copie da regalare. Questo, quando si attiva, è uno dei pochi circoli virtuosi del mondo editoriale.

3. E’ stato più difficoltoso cominciare a scrivere o più difficile proseguire in questo percorso? A.: Io scrivo da quando avevo 14 anni. Quando non scrivo, sto male. Il problema è ricominciare da zero. Finito un romanzo, vorresti riprendere subito, ma ti senti come una falena che sfarfalla ai piedi di una montagna di luce. Ci vuole tempo per rimettersi all’opera e una nuova fiducia in te stesso. Bisogna saper attendere.

4. E’ uscito il tuo nuovo romanzo “I giorni in fila”, La Linea Editore. Com’è nata l’idea?
A.: Volevo descrivere un tipo di donna che ho incontrato più volte: single, quarantenne, con una certa confusione in testa. Tendente a buttarsi via. Incapace di ritrovare la strada. Desiderosa di amore e al tempo stesso dura, come inaridita.

5. Mi incuriosisce il fatto che tu abbia voluto usare un IO narrante al femminile, Sandra. Che persona è?
A.: E’ una donna che ha finito la benzina. Vive con la madre, detestandola. Si trova coinvolta in una storia di eredità che diventa poco a poco una faida tra ex partigiani ed ex repubblichini. Mi sono calato in lei, con l’io narrante al femminile e un uso asciutto del presente, per una cronaca in diretta dei suoi pensieri. Ho lavorato per quasi un anno a definire il profilo psicologico di Sandra, per renderla il più autentica possibile. Le donne che hanno letto il romanzo sono state molto sorprese dell’attendibilità del personaggio.

6. Ho letto in una tua precedente intervista che prima di creare un personaggio, lo devi letteralmente vedere e studiare ogni aspetto psicologico che lo caratterizza. Come hai visto i protagonisti del romanzo?
A.: Sì, è vero. Prima di mettermi a scrivere, su un grande quaderno riporto tutte le caratteristiche di ogni personaggio, da quelle fisiche a quelle psicologiche, anche sommerse. Faccio anche dei disegnini che mi aiutano molto: le mani, un anello, gli interni di una casa, la strada in cui accade un fattaccio… Va anche detto che mi sobbarco anche molti sopralluoghi, senza mai usare la macchina fotografica ma solo degli schizzi sul mio taccuino. In tutti i miei romanzi c’è una assoluta fedeltà ai luoghi, che sia un villaggio abbandonato in Patagonia o una stradaccia di Savona. Se qualcuno volesse trarne un film, avrebbe già in mano tutte le location.

7. Ogni personaggio si nasconde dietro degli stereotipi. In realtà, celano dei caratteri e degli aspetti completamente diversi..come dire: c’è sempre il rovescio della medaglia?
A.: Se non ci fosse doppiezza negli umani, gli scrittori rimarrebbero disoccupati.

8. Sandra si porta dietro un passato ingombrante, che le impedisce di vivere serenamente e la obbliga a percorrere a ritroso vicende della sua vita che erano sopite. E lei assume l’aspetto di “fil rouge” che collega le storie di tutti. Cosa ne pensi?
A.: Sandra è una donna ossessionata dalle date. Tiene un diario da 30 anni, in cui segna tutto. In questo modo affiorano le scie del passato degli altri personaggi e i relativi incroci. Il lettore inizialmente non se ne rende conto ma già a pagina 40 comincia a sospettare qualcosa, a farsi due conti anche lui. Conosco persone che hanno tirato fino a notte alta per finire il romanzo e ottenere il quadro completo, immedesimandosi nelle investigazioni di Sandra.

9. Nel complesso, ne esce un quadro sugli uomini tutt’altro che felice. O sono traditori, o sono avidi, o…?
A.: Gli uomini sono mediamente votati a nuocere. Non che manchino le donne nocive, ma mentre una donna, mediamente si fa dei film in testa, l’uomo tipico cerca di farsi degli imperi in terra: edifica cattedrali, coltivando ambizioni spropositate, tagliando rami e fiori, mentendo, ingannando, ferendo, pur di raggiungere il suo obiettivo. Osservo che questo modello sta facendo breccia anche nel mondo femminile, con esiti secondo me terrificanti.

10. Sempre leggendo una tua precedente intervista, scrivevi che la convinta consapevolezza della propria fragilità e della indisponibilità verso gli altri, è l’unico sistema per voltare pagina e ricostruire su basi nuove. Sandra rispecchia un po’ questa tipologia?
A.: Non è l’unico, ma aiuta a vivere meglio assieme agli altri. Comprendere la diversità significa prenderla su se stessi, accettare intimamente il principio che io e l’altro siamo diversi. Questo non significa condividere i valori dell’altro, i suoi comportamenti. Significa tollerarli, almeno fino a quando un diverso non diventa un invasore. A quel punto è sano e giusto dissentire. Sandra in effetti è così.

11. Come cambia l’approccio di un giornalista rispetto allo scrittore nel raccontare una storia?
A.: Un buon giornalista indaga con tenacia e buona fede per poi riportare fatti che ha coscienziosamente verificato. Anche lo scrittore è un investigatore, soprattutto se scrive noir, ma ha una maggiore libertà narrativa. Io preferisco non eccedere, non approfittare troppo di questa libertà. La fantascienza, per esempio, non mi ha mai affascinato, così come le saghe, le favole noir, le storie di Harry Potter (mai letto un rigo), quelle di vampiri e di mostri antropomorfi. Preferisco il realismo magico dei sudamericani. Nei miei romanzi accadono cose strane, picaresche, ma non inattendibili. Ne Gli appartati, per esempio, c’è un simpatico vecchio che legge le storie delle persone sui soffitti delle camere. Quest’uomo esiste, l’ho conosciuto; e ho conosciuto persone che con le mani tolgono il dolore, come fa Sandra.

12. Nel 2012 con tua figli hai fondato la casa editrice Endemunde. “Evoca un luogo nordico che Garbarino sostiene di aver visitato nel 1967 ma soprattutto un mondo, un modello, che sta per tramontare”. Di quale modello parli e come vivi l’aspetto dell’editoria come casa editrice e come scrittore?
A.: Endemunde era un posto della Norvegia settentrionale che è scomparso dalle mappe (sto ancora indagando per capire come sia potuto accadere). Ma richiama anche la fine di un mondo che si sta impiccando da solo: con la volgarità transnazionale, che si nutre di identiche griffe e porcherie globali, che è in grado di distruggere in pochi mesi culture che hanno resistito per millenni; con la smania del profitto finanziario a scapito del profitto sociale; con l’indifferenza per i nuovi diseredati; con il crescente rumore delle parole a fronte del tremendo silenzio dei fatti… Con Endemunde cerchiamo di riportare alla luce dei valori progressisti che la società liquida ha oscurato. E come editore/scrittore, ho una regola: pubblico solo quello che mi piacerebbe aver scritto. Vedo che funziona.