Intervista a Sandrone Dazieri

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Foto di Rossella Rasulo

Sandrone Dazieri è nato a Cremona nel 1964 e, dopo aver abbandonato la carriera di cuoco, è diventato uno dei più apprezzati scrittori e sceneggiatori italiani. Nel 1999 è uscito il suo primo romanzo, Attenti al gorilla (Mondadori), cui hanno fatto seguito numerosi altri, tra cui La cura del gorilla (Einaudi, 2001, da cui è stato tratto l’omonimo film con Claudio Bisio) e l’ultimo in ordine di tempo La bellezza è un malinteso(Mondadori, 2010).
Come sceneggiatore e headwriter ha curato alcune serie di straordinario successo tra le quali: “Squadra Antimafia”, “Intelligence” e “R.I.S. Roma”.

1. Benvenuto su Contorni di noir, Sandrone. La tua biografia è davvero molto lunga e interessante. Cosa vorresti che i tuoi lettori sapessero di te?

S.: Niente. Vorrei che esistessero solo i miei libri e che chi li scrive non avesse importanza. Ho anche un vero imbarazzo a parlarne in pubblico, mi sembra sempre di essere banale e meno interessante di quello che posso aver scritto.

2. Hai cominciato a scrivere da bambino e tua madre era la principale lettrice delle tue storie. Quali erano i suoi commenti e/o suggerimenti?
S.: Diceva che ero bravo e che dovevo continuare. Era molto contenta dei miei esperimenti. Ma a un certo punto ho smesso di farglieli leggere, perché volevo tenermeli per me. Sentivo, confusamente, di non essere pronto ad avere dei lettori.

3. Quali, invece, i commenti delle case editrici a cui hai cominciato a mandare i tuoi manoscritti? E’ stato difficile il tuo esordio?
S.: Mandai il mio primo romanzo a tre case editrici in contemporanea: Einaudi, Mondadori e Feltrinelli. Einaudi non rispose, Feltrinelli mi fece sapere che certa monnezza loro non la volevano, Mondadori mi pubblicò. Direi che non fu difficile, quindi.

4. Quanto il tuo passato di militante nei centri sociali e il tuo impegno contro il sistema ti ha cambiato nella scrittura? Pensi che si possa portare avanti la propria protesta anche attraverso la letteratura?
S.: Sicuramente il mio passato militante ha cambiato me e il mio modo di vedere le cose, di conseguenza ha cambiato la mia scrittura. Anche nella scelta dei temi. Nel mio primo romanzo la vittima era una punkabbestia, nel secondo un albanese immigrato… Per quanto riguarda la protesta, penso che uno scrittore che descrive le cose per come le vede fa già un atto rivoluzionario.

5. E’ uscito per Mondadori il tuo ultimo romanzo “Uccidi il padre”. Com’è nata l’idea e quanto tempo ti ci è voluto per svilupparla?
S.: L’idea è partita dal personaggio. Volevo raccontare la storia di un ragazzo che fosse cresciuto in isolamento, e come tale vedesse il mondo in modo molto diverso da come generalmente gli esseri umani cresciuti socialmente lo vedono. Poi è venuto il resto.

6. Hai scritto romanzi ambientati a Milano (ved. Gorilla Blues, Mondadori), anche se sei originario di Cremona. Molti autori si sono ispirati a questa città, a cominciare dal Maestro Scerbanenco. Pensi abbia molto da raccontare questa metropoli? Quali panorami offre, a tuo avviso?
S.: Il Gorilla è milanese, ma già alla seconda avventura si era spostato a Torino, poi a Varese… Tutte le città hanno degli angoli noir che si possono sfruttare, più sono grandi meglio è , ma io le scelgo in base al rapporto emotivo e alle sensazioni che mi provocano durante l’ideazione del romanzo. In questo caso Roma è stata determinante per le atmosfere del libro. Per quanto riguarda Scerbanenco, la sua Milano non esiste più da un pezzo.

7. Ho trovato i personaggi principali, Colomba Caselli e Dante Torre, di estrema fragilità, per motivazioni diverse. Ce li vuoi descrivere?
S.: Dante è stato rapito quando era bambino ed è vissuto in isolamento per undici anni. Isolamento totale. Ha imparato a vivere in mezzo agli altri esseri umani, ma non si sente davvero parte del consesso sociale. Anche per questo riesce a vedere cose che altri non vedono. Colomba era una poliziotta che vedeva il mondo in bianco e nero e contava solo su se stessa; le è accaduta una tragedia e ha scoperto di non potersi più fidare di sé, e che il mondo ha molte più sfumature. Entrambi hanno fobie, paure, attacchi di panico: sono spezzati, ma questo essere spezzati e frantumati permette loro di vedere il presente spezzato e frantumato che vivono e comprenderlo. Hanno vissuto l’orrore, sono sopravvissuti, riescono a gestirlo.

8. Personaggio predominante – e dominante – della storia è il Padre. Che cosa ci puoi raccontare di lui? E’ nato con il romanzo o ha preso forma successivamente?
S.: Il Padre è nato con il protagonista. C’era già, era l’orco senza nome che ha strappato la vita a un ragazzo, il mostro che si nasconde sotto il letto, la paura oscura. Non sapevo chi sarebbe stato, ma c’era già.  Poi si è affinato durante la scrittura.

9. Mi ha colpito la connotazione che hai voluto dare alle forze dell’ordine: poliziotti che non vedono l’ora di chiudere un’indagine, a prescindere di chi sia il colpevole, figure apatiche che leggono gli indizi a loro piacimento, ma anche chi va contro corrente e rifugge le etichettature mettendoci intuito e coraggio. Ce ne vuoi parlare?
S.: Ho cercato di mostrare il mondo delle forze dell’ordine come un mondo reale, con brave persone e professionisti in gamba, ma anche cialtroni e corrotti, violenti e imbecilli, come ce ne sono in tutti i mestieri.

10. Qual è la ragione che ti ha spinto a scrivere un thriller anziché un noir?
S.: Il noir da un giudizio sul presente, il thriller ne racconta l’orrore. Volevo raccontare l’orrore.

11. Il mio blog si chiama “Contorni di noir” non a caso. Sono incuriosita dal significato che uno scrittore possa dare al genere. Mi dai la tua definizione personale di noir?
S.: Eh… complicato. Diciamo che io utilizzo il noir per leggere il presente e giudicarlo attraverso una lente etica, anche se ovviamente poi racconto una storia che spero divertente. E’ qui la grande differenza con il giallo. Il giallo ti dice che il mondo funziona, solo che qualcuno delinque e va trovato e rimosso dal consesso sociale. Il noir ti dice che il mondo non funziona, e che non vi è possibilità di alcuna giustizia, se non provvisoria e imperfetta.