Intervista a Luca Crovi

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Foto da www.genova.mentelocale.it

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Dal 28 aprile 2015 è in libreria “Giallo Metropoli”, una raccolta di 11 storie noir narrate da alcuni dei migliori autori del genere, ambientate a Milano e ispirate ad alcuni dei più importanti fatti di cronaca avvenuti in città.

Pubblicato da Piemme Edizioni, “Giallo Metropoli” è il frutto di un bel progetto che unisce creatività e solidarietà: gli autori hanno infatti prestato la loro penna per sostenere le attività di Soleterre, i diritti del libro verranno infatti devoluti alla loro organizzazione.

Soleterre è un’organizzazione umanitaria laica e indipendente che opera per garantire i diritti inviolabili degli individui nelle “terre sole”.

Realizza progetti e attività a favore di soggetti in condizione di vulnerabilità in ambito sanitario, psico-sociale, educativo e del lavoro.

Interviene con strategie di pace per favorire la risoluzione non violenta delle conflittualità e per l’affermazione di una cultura di solidarietà.

Adotta metodologie di partenariato e di co-sviluppo per promuovere la partecipazione attiva dei beneficiari degli interventi nei Paesi di origine e in terra di migrazione e garantire la loro efficacia e sostenibilità nel tempo.

Consigliamo di dare un’occhiata alle iniziative di questa organizzazione: www.soleterre.org

Questo l’indice degli autori con i titoli delle rispettive storie:

  • Rosa Teruzzi. Il ragionier Olivo
  • Simone Sarasso. Diecimila pallottole
  • Paolo Roversi. Sette uomini d’oro
  • Luca Crovi. Una nuvola rosa
  • Giovanni Zucca. Due-Undici a Milano
  • Nicoletta Vallorani. Duemila e ottocento (quasi una ballata)
  • Alan D. Altieri. “J”
  • Riccardo Besola, Andrea Ferrari, Francesco Gallone. E tu dov’eri?
  • Massimo Picozzi. Il Bandito
  • Massimo Polidoro. Il caso Gardini
  • Cristina Cattaneo. Milano, tra delitti e diritti

Intervistiamo uno degli autori, Luca Crovi. Benvenuto su Contorni di noir, Luca!

1. Se dovessimo paragonare la Milano raccontata da Scerbanenco e la città oggi, vista attraverso gli occhi dello scrittore, quali credi siano le differenze?

L.: Curiosamente molte delle vie che Scerbanenco ha descritto nei suoi racconti e nei suoi romanzi sono rimaste pressoché uguali, è cambiante l’umanità che le abita. Lui raccontava nei racconti della Milano Nera lo sboom economico degli Anni Sessanta, oggi non si può che guardare alla Milano frenetica dell’Expo e a quella ormai multietnica crossover di culture che vengono dai paesi più differenti del mondo. Singolarmente la Stazione Centrale, nata durante il fascismo, è ancora oggi un punto nevralgico di passaggio per la gente comune ma anche per i criminali come lo era al tempo di Scerbanenco.

2. Per Piemme Editore, è uscita l’antologia di racconti intitolata Giallo Metropoli, undici crime story che portano la firma tua e di Alan D. Altieri, Besola-Ferrari & Gallone, Cristina Cattaneo, Massimo Picozzi, Massimo Polidoro, Paolo Roversi, Simone Sarasso, Rosa Teruzzi, Nicoletta Vallorani e Giovanni Zucca. Ci vuoi raccontare com’è nata l’idea?
L.: L’idea è venuta a Massimo Polidoro che ha contattato singolarmente ognuno di noi e che ha pensato anche di coinvolgere nel progetto oltre a Piemme anche Sole Terre a cui sono devoluti tutti i proventi che l’antologia ricaverà.

3. All’interno dell’antologia, troviamo il tuo racconto intitolato “Una nuvola rosa”, ispirato al gravissimo incidente accaduto nel 1976 alla ICMESA. Qual è stato il motivo della tua scelta e, visto che si tratta di una storia narrata dal punto di vista di un bambino, come hai vissuto tu quel fatto?
L.: Ero un bambino di otto anni quando accaddero i fatti. Ero al mare in vacanza con i miei e seguii le vicende alla televisione. Ne rimasi sconvolto. Pensavo che la nube tossica in qualche modo avrebbe cancellato anche Milano. Ho scelto di narrare quelle vicende dal punto di vista di un bambino che vive in presa diretta la tragedia ma non riesce a comprenderla fino in fondo. E’ un bimbo che ama scrivere storie di draghi e guardare storie di fantascienza alla televisione che per un po’ sarà convinto di assistere a un’invasione aliena. Il mese in cui accaddero i fatti dell’Icmesa era luglio, e le scuole erano quindi chiuse, nel mio racconto mi sono preso la licenza di immaginare cosa sarebbe accaduto se il tragico evento fosse accaduto semplicemente qualche mese prima prima della chiusura dell’anno scolastico. Mi sono stati complici nella stesura del racconto i miei quattro figli che fino alla fine, prima di scoprire che stavo parlando di eventi successi, erano convinti di scrivere assieme a me semplicemente una favola nera che parlava di draghi e nuvole rosa.

4. Nell’antologia si parla di rapine che neanche la Chicago ai tempi di Al Capone, di un omicidio commesso da un’inaspettato ragioniere nel 1900, di un poliziotto morto sotto una scarica di kalashnikov mentre cerca di sventare una rapina a un furgone portavalori, di un “figlio di papà” della Milano da bere che uccide a coltellate la propria fidanzata. Tante sono le scene di ordinaria follia di una metropoli dai contorni violenti e più adatti – forse – all’America degli anni ’70. Ma c’è spazio anche per la solidarietà in questa immagine così negativa?
L.: In realtà leggendo i racconti si noterà come la gente comune di Milano ha detto spesso di no alla violenza, è scesa in piazza e ha reagito. Ha sdrammatizzato eventi che sarebbero se no stati irrisolvibili. L’intento degli autori è stato quello di riflettere su fatti criminali, di testimoniare la presenza di colpevoli ma soprattutto quella delle vittime. Non c’è alcun vero compiacimento in nessuna delle storie che è stata scritta anche quando qualche autore utilizza uno stile smaccatamente pulp. Il punto di vista delle vittime innocenti è quello che troverete emergere spesso in primo piano. E spesso vi troverete a domandarvi se certi eventi sono realmente accaduti così.

5. I protagonisti delle storie sono spesso persone comuni, chiunque potrebbe trovarsi coinvolto. Dobbiamo dubitare anche del vicino di casa?
L.: Non è che dobbiamo vivere nel sospetto quotidiano ma sicuramente vigilare su certe strane situazioni che possiamo avere di fianco a noi non è mai dannoso, anzi.

6. Ho apprezzato il fatto di esservi voluti riallacciare a tematiche sociali e a inchieste da tempo nascoste sotto chiave e mai più affrontate. Pensi che il riproporle possa essere di ispirazione a chi ha troppo spesso la memoria corta?
L.: Sicuramente riraccontare certi fatti vuol dire fare testimonianza e spingere i lettori ad andarli a rileggere e a scoprire come sono andati realmente i fatti. Scrivere storie di fiction noir ti costringe a farti certe domande e lascia ai lettori la possibilità di cercare certe risposte.

7. Come vi siete coordinati tu e gli altri autori dell’antologia? Quale interazione c’è stata tra i vari racconti?
L.: Ognuno ha lavorato separatamente per conto suo. Anche se personalmente posso dirti che io mentre la scrivevo ho condiviso la mia storia con Gallone, Besola e Ferrari e con Sarasso, che hanno fatto lo stesso con i loro racconti. Fare leggere le proprie storie agli altri crea una speciale complicità e spesso evita che errori macroscopici ci sfuggano. Inoltre permette ditestare subito le reazioni emotive che ciò che hai scritto può stimolare.

8. Quanto interessa il libro di denuncia sociale rispetto alla storia romanzata? Abbiamo fior di autori in Italia come Massimo Carlotto, Valerio Varesi, Elisabetta Bucciarelli e tanti altri, che attraverso le loro opere hanno dato voce e potenza alla parola scritta. A tuo avviso, c’è la volontà di “ascoltarla”?
L.: Il noir ha spesso le stesse attitudini del romanzo sociale, raccontà la realtà, quella scomoda, quella che magari non vorremmo sentire. Parla di ingiustizie perché è il suo territorio. Se tutto fosse giusto e perfetto non esisterebbe questo genere di letteratura-

9. Mi accorgo che sempre più spesso si ha la tendenza a scrivere romanzi che parlano del Male. Per quale motivo, secondo te? Forse il Bene non interessa a nessuno? Perché si è così attirati dal lato oscuro?
L.: In ognuno di noi c’è una forte compresenza di Jekyll e Hyde. Il fascino del male è legato dalla sua forte dirompenza nella realtà quotidiana. Ognuno di noi almeno una volta nella vita si è immaginato cosa potrebbe accadergli se varcasse il limite fra bene e male, se accondiscendesse al suo lato oscuro. Per fortuna per gli scrittori è terapeutico ipotizzarlo solo sulla pagina scritta.

10. Hai pubblicato “Noir, istruzioni per l’uso” (2013, Garzanti), una sorta di Atlante del delitto. Non a caso il mio blog si chiama Contorni di noir.. Trovo che spesso questo termine sia abusato e si parla di noir anche quando non c’entra nulla. Cosa significa per te?
L.: Sono d’accordo con te che spesso si abusa della parola noir. E’ stato molto divertente quello che mi ha raccontato James Ellroy quando l’ho intervistato pochi giorni prima dell’uscita del suo “Perfidia”: Non ho mai scritto noir in vita mia, trovo che questa definizione sia la più lontana e deviante che si possa dare alla mia letteratura. È una definizione data a sproposito. Io ho sempre scritto romanzi storici. La definizione di noir calza a pennello solo per i film di Hollywood a tema criminale ambientati fra gli anni ’50 e ’60… Amo le investigazioni poliziesche e le so raccontare, ma questo non implica che io scriva noir.”
Nel mio saggio troverete definizioni del noir diversissime da parte di un’ottantina di autori che hanno visioni diverse del mondo e della letteratura. Io volontariamente non ne ho data una nel mio libro. Il libro ve lo confesso doveva chiamarsi semplicemente: “Suspense! Segreti della narrativa del brivido”. Poi l’editore ha pensato che commercialmente la parola noir (seppur impropria) funzionasse di più.  E’ curioso come ormai sia così diffusa anche in Italia quando il realtà da noi la narrativa poliziesca fin dal 1929 è stata inclusa nel genere tutto made in Italy del “giallo”.

Ringraziamo Luca della disponibilità e alla prossima!