Roberto Riccardi – La firma del puparo

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Editore E/O / Collana Sabot/age
Genere Thriller/Noir
Anno 2015
208 pagine – brossura
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Ognuno di noi lettori ha o avrà un libro che predilige su tutti gli altri letti, o che ha lasciato un’impronta nel nostro cuore e nella nostra mente, o che ha dato una svolta decisiva al corso della nostra vita.
Nel caso di Roberto Riccardi, autore de “La firma del puparo” e nella vita colonello della Beneamata Arma dei Carabinieri, il libro in questione è “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia. Grati ad un grande autore come Sciascia che ci ha lasciato in eredità capolavori ancora oggi attualissimi come “Il giorno della civetta” e quell’impronta indelebile nel cuore e nella mente di Roberto Riccardi.
Grazie alla sua professionalità legata all’attività lavorativa e alla sua passione per la scrittura, combinandone i due aspetti, l’autore ha dato vita ad una storia, incrocio di tante storie che arrivano dal passato, attuale e che unisce ai percorsi seguiti dalla giustizia e dalle forze dell’ordine i turbamenti legati ai sentimenti dei vari protagonisti.
Il tenente Liguori e il boss del narcotraffico Nino Calabrò.
Amici di infanzia e da adulti due strade diametralmente opposte.
Da bambini sulla piazza del paese , quando il pallone era una lattina, i nostri sogni scorrevano vicini e a dividerci c’era una barriera che chiunque altro vedeva chiaramente. La promessa della ‘ndrina locale e il figlio del maresciallo, figurarsi. Giocare con lui, illudersi di crescere insieme, era sfidare il destino. Non potevamo vincere e il conto ci era stato presentato. Il confine era divenuto concreto, un muro fatto di pacchi di polvere bianca. Sette tonnellate di cocaina, partite dalla Colombia e dirette sulla costa laziale, erano state il prezzo della nostra amicizia. Pagato con un biglietto per il carcere, durata del viaggio a discrezione del giudice.
Da bambini ad adulti, due adulti che hanno dato la loro parola in ambiti diversi.
Rocco Liguori nell’Arma dei Carabinieri.
Nino Calabrò nella malavita.
Ma quando quest’ultimo decide di non poter più mantenere quella parola e di diventare collaboratore di giustizia, il suo primo pensiero va alla sua famiglia, sua moglie, i suoi tre figli e Stefania, cugina di sua moglie che da diversi anni vive con loro e che ad un certo punto della storia, causa una sua grande leggerezza, farà correre un grosso rischio a tutti i componenti della famiglia di Nino. Quest’ultimo chiederà espressamente che sia il suo amico d’infanzia a seguire il programma di protezione necessario da mettere in atto per la sua famiglia.
Nella doppia veste di uomo di legge e scrittore, l’autore non può scindere le problematiche legate alla malavita con i sentimenti dei vari protagonisti, siamo essere umani ed i sentimenti, da qualunque parte essi arrivino, non possono non essere considerati.
Nino ha scelto la strada peggiore, quella della violenza, della morte, della sopraffazione in nome del guadagno e del potere. Scelto? “Chissà se un giorno potrò tornarci” si chiese Nino a voce alta. “Non so nemmeno se lo farei, tutti i miei guai vengono da lì. Se fossi nato altrove a quest’ora sarei un impiegato, o magari un pittore”.
Interrogativo al quale probabilmente non avremo mai risposta.
Ma Nino ha anche una famiglia, sua moglie e tre figli, una grande forza per lui.
Essere la moglie di un mafioso, se non vieni dallo stesso ambiente, è un’eventualità a cui nulla ti prepara a sufficienza. Un conto è pensare in astratto alle conseguenze positive e negative dell’affiliazione: i pericoli e il rispetto, la ricchezza e il doversi guardare alle spalle. Altro è immergersi in una vita che toglie il respiro, dove ogni giorno può essere l’ultimo, quello in cui il tuo uomo diventa un corpo crivellato di proiettili, un ricercato da vedere ogni tanto in un covo segreto o un detenuto da sei colloqui al mese, divisi fra i vari familiari.
Di contro Rocco Liguori ha perseguito la strada opposta, quella della giustizia, della ricerca e della difesa della verità, della persecuzione dei malavitosi e il poterli assicurare alle patrie galere. Ma a caro prezzo, a differenza di Nino, lui non ha una famiglia, non può permettersi questo lusso, non può abbandonarsi all’amore.
Vorrei scaldarmi al calore dell’amicizia, accendermi del fuoco dell’amore. Mi piacerebbe una casa con tanti armadi e un orizzonte qualunque, purché non cambi mai. Invece ho questa vita, felice per le ragioni sbagliate. Aiutami a riempirla di te se proprio lo vuoi, ma in questo caso preparati a soffrire. Perchè ho segreti così affilati che tagliano solo a sfiorarli.
Struggente la rappresentazione dell’animo umano così ben descritta dall’autore, fragilità di un uomo che chiede aiuto, di un uomo che è chiamato a combattere le sue battaglie di giustizia ma che nello stesso tempo ha una grande voglia di normalità tale da sembrare un miraggio irraggiungibile.
Ho tanto apprezzato questo aspetto, chiaramente ci sono diverse indagini da seguire e che troveranno le loro soluzioni grazie alla bravura e alla professionalità del tenente Liguori, ma questo non vieta all’autore di porre un accento importantissimo alla parte legata ai sentimenti umani così ben descritti.
E su tutto e su tutti la figura del Puparo.
L’incontro tra quest’ultimo e il tenente Liguori è un altro doveroso omaggio a Leonardo Sciascia e al suo “Il giorno della civetta”, proprio perché ricorda il confronto tra Don Mariano e il capitano Bellodi.
Emblematica e perfetta la metafora utilizzata dal Puparo per descrivere la sua figura e la sua persona.
Palermo è meravigliosa, l’avrà apprezzata, ma ha il difetto dell’indolenza. Da secoli lascia che l’uomo le scriva sul bianco della pietra con il nero del cuore. Ebbene, questa città è da sempre il mio marmo. Per tanto tempo sono stato l’ignoto sbozzatore di vari scultori. Cerchi pure quanto vuole, non troverà la mia firma da nessuna parte. Eppure, proseguì, sapesse in quante opere ho messo la mia mano. Non si meravigli se lo confesso, parlo di fatti archiviati da tempo.

Riepilogando, vi consiglio caldamente la lettura di questo libro, c’è tanto in questa storia.
Il cercare di non far mai dimenticare tutto il lavoro che c’è dietro le quinte, il sacrificio di tante persone che lottano e che in tantissimi casi purtroppo hanno dato la loro vita per perseguire gli ideali di giustizia, il seguire il corso delle indagini svolte, il trovare così ben rappresentati tutti i vari protagonisti con tutte le sfaccettature legate all’animo umano, il doveroso omaggio ad un grande autore della nostra letteratura che ha dato la possibilità all’autore di dare vita ai suoi libri.
Spero di essere riuscita con queste mie umilissime impressioni a trasmettervi le emozioni che mi ha regalato il libro, di avervi lasciato la curiosità e la voglia di leggerlo.
Vi confesso che non ho letto gli altri titoli che hanno per protagonista il tenente Liguori, ma conto di farlo al più presto sperando che ci sia un seguito.

Cecilia Dilorenzo
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Lo scrittore:
Roberto Riccardi, colonnello dell’Arma e giornalista, è nato a Bari nel 1966 e vive a Livorno. Ha lavorato a Palermo negli anni delle stragi e poi in Calabria, a Roma, in Bosnia e Kosovo quale componente dei contingenti di stabilizzazione. Con il personaggio di Rocco Liguori ha già firmato per la collezione Sabot/age delle Edizioni E/O il noir imperniato sul ruolo degli agenti sotto copertura Undercover. Niente è come sembra (2012), che ha vinto i premi Biblioteche di Roma, Azzeccagarbugli e Mariano Romiti, e il romanzo sullo sfondo delle guerre balcaniche Venga pure la fine (2013), candidato al Premio Strega 2014, che ha ottenuto riconoscimenti ai Festival del noir di Serravalle e Suio Terme. Ha inoltre all’attivo due romanzi nel Giallo Mondadori, il primo dei quali, Legame di sangue, gli ha fruttato il premio Tedeschi nel 2009. Ha pubblicato tre libri sulla Shoah per l’editrice Giuntina: Sono stato un numero (2009), La foto sulla spiaggia (2012) e La farfalla impazzita (2013, scritto insieme a Giulia Spizzichino). Con Sono stato un numero, opera premiata da “Adei-Wizo”, l’Associazione Donne Ebree d’Italia, si è aggiudicato il premio Acqui Storia