Intervista a Nicolas Trashnikòv

2015

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Oggi ospitiamo sul nostro blog Nicolas Trashnikòv, scrittore bolognese trentasettenne, il cui romanzo d’esordio – “1982. Estate di sangue” – è appena stato pubblicato per Giraldi Editore e da noi recensito. Lo hanno intervistato le scrittrici Elena e Michela Martignoni e queste sono le sue risposte. Buona lettura!

1. Buongiorno Nicolas,  benvenuto nel nostro blog e anche nel mondo degli autori crime italiani. Il suo è un romanzo d’esordio, ma sia la penna sia la struttura del romanzo risultano tutt’altro che inesperte… ci vuole raccontare come è approdato alla scrittura e quali sono le sue esperienze nel campo?
N.: Scrivo e leggo da sempre, tantissimi racconti e qualche sceneggiatura. Sono arrivato al mio primo romanzo in piena maturità, a 35 anni, ovvero quando mi sono sentito pronto per farlo nel modo giusto. Credo che per la carriera di un autore sarebbe meglio non pubblicare nulla prima dei trenta. Mia personalissima opinione.

2. Il suo nome, dalle assonanze slave, o russe, suona già di per sé misterioso, e ci evoca un autore culto per il crime nostrano, cioè Giorgio Scerbanenco, nato a Kiev ma sempre vissuto a MIlano. Il suo libro infatti avrebbe potuto rubare il titolo a una grande opera di Scerba (come lo chiamiamo in gergo): TRADITORI DI TUTTI. La vicenda che lei narra però, è tutta italiana, anzi si svolge in luoghi che sembra lei conosca, in cui abbia vissuto. E’ così?
N.: In realtà no. Roma l’ho vissuta poco, ma in quelle brevi parentesi l’ho respirata a fondo. Roma è una città magica e bastarda, che mi ha sempre ispirato. E dalle sue suggestioni ne ho spremuto uno scenario funzionale alla trama del romanzo.

3. Cosa pensa del panorama letterario crime italiano? Legge anche autori italiani? Quali sono i suoi autori culto?
N.: Personalmente non conosco il panorama letterario crime italiano. Più in generale, non leggo nessun autore italiano: a oggi non ne ho ancora trovato uno che mi abbia minimamente entusiasmato. Eccezion fatta per Giuseppe Pontiggia, che reputo un grande narratore; su tutte le sue opere cito “Vite di uomini non illustri”, che non c’entra assolutamente nulla con il crime, ma che è un piccolo-grande capolavoro. Se devo citare i miei autori culto, direi: Fedor Dostoevskij (grande precursore del crime), Lev Tolstoj, James Ellroy,  Edward Bunker, John Fante, Charles Bukowski e Antonin Artaud.

4. Ha scelto di far intraprendere al Cicoria un percorso culturale, in carcere. La lettura e la cultura sembrano importanti per il suo protagonista. Crede che siano vie possibili per la rieducazione di un criminale? Vengono  davvero percorse, che lei sappia, nei nostri istituti penali?
N.: La lettura è cultura, la cultura è ricchezza, luce, vita. La cultura allarga la mente. La cultura è il mezzo per sviluppare profondità al pensiero. E’ fondamentale avere cultura in un mondo distorto come quello di oggi. La cultura fine a se stessa però non serve a nulla se non va di pari passo con la consapevolezza. Il concetto di “rieducazione”, sinceramente non mi piace. Anche perché a mio avviso, la stragrande maggioranza del genere umano andrebbe ri-educata, non solo chi sta in carcere. Parlerei piuttosto di “risveglio”. Ecco, il personaggio del Cicoria è l’antitesi perfetta tra cultura e consapevolezza. Una lotta intestina. Per quanto riguarda i nostri istituti penali: quasi ovunque c’è la possibilità di studiare, di prendere un titolo di studio, di accedere a una biblioteca. Non sarà magari Harvard, ma anche in carcere la cultura è alla portata di tutti.

5. Lei colloca la sua vicenda in un passato prossimo che, vista la sua data di nascita, non può avere vissuto personalmente. Perché ambientare la storia nel 1982? In realtà i gravi fatti che accaddero quell’anno non vengono molto trattati nel libro, anche se l’atmosfera si respira.
N.: Personalmente dell’82 ricordo solo mio padre che si tuffò nella fontana del Nettuno per festeggiare la vittoria dei mondiali. Però essendo un appassionato di storia ho studiato. I fatti gravi che accaddero quell’anno si devono respirare, appiccicati addosso sulla pelle, ma non sono parte fondamentale della trama, perché non sono la Storia, questa è una mia precisa scelta. La Storia è quella delle vite fottute di due uomini nell’afosa estate del 1982.

6) Lei descrive Cicalino come se lo conoscesse davvero.  Da dove attinge le ispirazioni per i suoi personaggi? E’ tutta fantasia? Gli identikit li ha disegnati lei?
N.: Cicalino è il demone e il bambino che vive dentro ognuno di noi. Cicalino è il logos del caos, della distruzione, il seme dell’odio coltivato, sbocciato sotto forma di una calibro 9. Cicalino è un personaggio di fantasia che conosco come le mie tasche. Le ispirazioni per i miei personaggi sono frutto di reconditi e oscuri passaggi nella mia mente distorta che nemmeno io conosco tanto bene. Gli identikit invece sono opera di Sofia Sanzari.

7. Qual è il suo personaggio preferito? Non può svelare nulla, naturalmente, per non togliere il gusto ai nostri lettori di scoprire da soli chi siano i buoni e chi i cattivi, ma ci dica per sommi capi se c’è qualche personaggio che intende sviluppare anche in futuro, visto che la sua è una ‘trilogia’.
N.: Non c’è un personaggio preferito a dire il vero. A Cicalino sono particolarmente legato, una sorta di legame paterno. Il personaggio di Gorzan mi ha divertito molto nella stesura, trovo la sua perfidia scabrosamente divertente a tratti. Ecco, Gorzan sarà sicuramente tra i protagonisti indiscussi del prossimo romanzo, l’unico tra tutti i personaggi di ESTATE DI SANGUE.

8. La rabbia, la voglia di ripulirsi e riscattarsi, la violenza, le bande, la mafia e la camorra… sono protagoniste del suo romanzo nel 1982.  Il criminale di allora, secondo lei cos’ha in comune con quello del 2016? Se ha qualcosa in comune…
N.: Poco e niente. La criminalità organizzata di oggi è molto più complessa e articolata di quella degli anni 80. Diciamo che ne è la naturale evoluzione 2.0. Per esempio quello della banda della Magliana è un caso storico unico e raro, che rispecchia però perfettamente il clima collettivo di caos e tensione tipico di quegli anni, dove una batteria di borgatari si è trovata tra le vette più alte del potere, spinta dalle trame oscure dei servizi segreti. Che se vogliamo è anche una storia affascinante con note romanzate di romanticismo, vista trent’anni dopo. Oggi invece la criminalità organizzata non è più un fenomeno a se stante colluso con gli alti poteri. Oggi la criminalità organizzata è parte integrante dei governi, dell’alta finanza, dei fondi monetari, delle lobby. Un arsenico sociale inodore, incolore, altamente letale.