Vincenzo Cerracchio – Uno sparo nel buio

1872

Editore Fazi Collana Darkside
Anno 2017
Genere Noir
378 pagine – brossura e ebook

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L’Italia del primo dopoguerra, la nascita dell’emancipazione femminile, la nazione di governi instabili, l’Italia degli scontri di piazza. Vincenzo Cerracchio, firma de “Il Messaggero” ricostruisce i contrasti sociali, la politica sotterranea e non della Roma degli anni Venti.

Roma, 1922. Presso la Corte d’Assise si svolge il processo per l’omicidio di Bice Simonetti, il cui cadavere è stato ritrovato la mattina del 4 gennaio 1918 sul Lungotevere Marzio. L’imputato, Ignazio Mesones, figlio di un diplomatico peruviano e marito della vittima, è accusato di aver ucciso la donna con un colpo di pistola alla tempia con l’intento di simularne il suicidio. Il caso sembra piuttosto semplice da risolvere, se non fosse per l’ipotesi, sempre più plausibile, di un eclatante scambio di persona per le evidenti condizioni fisiche dell’imputato: l’uomo, da anni, è completamente cieco.

L’antefatto, il crimine, raccontato con un’asciuttezza tra fredda cronaca e una scrittura che si adatta a quella che si potrebbe catalogare come non-fiction novel. Chiarezza degli eventi, della cronologia, nessun spazio all’immedesimazione, ma personaggi, davvero tanti, che vivono i cosiddetti “quindici minuti di notorietà” wharoliana all’interno di un processo e i protagonisti trait d’union tra realtà e non finzione. Confine labile dentro cui limitarsi, lasciando la via principale e il percorso ai fatti.
Ci troviamo di fronte a testimonianze accese a perizie controverse in cui l’autore ha il merito di tenere l’attenzione del lettore tra aule di tribunale e stanze degli interrogatori con una scrittura lineare e secca, senza perdersi in dettagli che ne rallenterebbero il ritmo. Un caso contorto, a più nodi, dove una soluzione appare difficile e lontana, ostacolata da deposizioni contraddittorie, minacce in sgrammaticate lettere anonime, traffici di droga sotterranei.

Dentro a Una Roma del Ventennio, stinta, grigia, quasi anonima in certi suoi tratti e storie, ma ugualmente radiosa della sua eterna bellezza senza tempo, il processo finisce con lo spostarsi e trovare dominio sui giornali, dove gli articoli di cronaca diventano un tutt’uno con i pareri personali degli autori dei vari pezzi, che condannano o assolvono imputati e testimoni prima ancora che la giustizia abbia fatto il suo corso. Diego, un giovane giornalista del «Giornale d’Italia», nemmeno a dirlo, si interessa e prova  a trovare la verità all’interno di una vicenda sempre più intricata. In suo aiuto, Caterina, tenace futura psicologa e femminista impegnata a dimostrare l’incapacità di intendere e volere dell’imputato. Nello sviluppo del loro rapporto, il pensiero è corso subito alla coppia Hemmings/Daly-Nicolodi/Brezzi di “Profondo Rosso”. In quel caso, una giornalista, la Brezzi, e un musicista, il Daly di Hemmings. Sono quelle associazioni strambe, che nonostante tutto contengono sempre un pizzico di verità.

I personaggi sono a loro agio dentro una Roma rapita e soggiogata da un regime all’apparenza forte, ma fragile al suo interno. Sono un’appendice di vitalità, di energia, dentro un’atmosfera che si appiattisce per imposizione, per incapacità di una ribellione che ribolle come lava incandescente.

Al giovane non sfuggì il tono leggero. Il gioco era scoperto anche perché il signor Tonino, impacciato nella palandrana da autista, si dondolava da un piede all’altro senza proferire verbo. Decise di stare allo scherzo. «Illustre collega, davvero, devo andare. Le renderò soddisfazione in un altro momento. Dovrò prima chiedere al mio direttore se mi concede un’ora di tregua dal lavoro per allenarmi alla scherma. Io come ha visto sono solo un corridore. Comunque il processo lo seguiremo, come dire, spalla a spalla».
«Che battuta sagace! Potrei aggiungere allora che sarà una sfida omerica, omero contro…omero».
L’investito declamò il finale, cercando il consenso di un gruppo di avvocati che assistevano incuriositi alla scena da poco lontano. Ma questi ripresero a parlare tra loro, limitandosi a un cenno di saluto con la mano alla tesa del cilindro.
«Corri pure, ragazzo», insistette, «ma guarda dove metti i piedi. Anzi la penna. Spero che non somigli a quel tuo collega millantatore, Sasà D’Arrigo, il pupillo della sirena Partenope. Digli che lo saluta Giulio Rossini. Come fai di nome?».
«Mi chiamo Diego. E scelgo la sciabola… per il duello, dico. Mi dia solo il tempo di acquistarla e poi di affilarla».
Lo disse spalancando il sorriso più amichevole possibile, a mo’ di saluto. Poi scorse il suo cappello, mezzo calpestato ai piedi di una colonna. Un fagottino di feltro.
Nel raccoglierlo sentì una fitta alla spalla “e adesso come scrivo?

Si presenta in questo modo Diego, espressione sfacciata e sfrontata di ciò che si vorrebbe e che servirebbe, un giornalista ficcanaso al punto giusto, che vuole andare in profondità a ogni questione, che non ha paura delle minacce dei potenti e di chi opera nell’ombra, ma che soprattutto è ribelle a ogni pensiero comune.

Questa è anche un po’ l’identità della scrittura di Cerracchio, una penna sfacciata e impertinente, di sommossa in tributo a una verità ardua e immersa nelle politiche umane e di stato di una Roma sotto assedio di una dittatura tanto opprimente quanto silenziosa, greve sopra la speranza eterna del Vittoriano.

..E quattro mesi prima, il 4 novembre, la città intera aveva fatto ala al corteo che aveva condotto solennemente le spoglie del Milite Ignoto fino al Sacello del Vittoriano. Una folla immensa, da non poter muovere un passo, stretti gli uni agli altri, in processione davanti all’Altare della Patria. Solo una volta il cuore gli aveva battuto più forte: quando sua madre lo aveva portato a Ripa Grande a vedere l’arrivo dal mare del cacciatorpediniere Granatiere. Ma allora Diego aveva appena dieci anni.

Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini

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Lo scrittore:

Vincenzo Cerracchio è un giornalista professionista, cronista di nera e inviato di sport del «Tempo» e del «Messaggero».