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Hanna Lindberg è nata nel 1981 e vive a Stoccolma. È una giornalista di costume che lavora soprattutto sul web. Stockholm Confidential, il suo romanzo d’esordio, uscito presso Longanesi nel 2017, è subito arrivato in cima alle classifiche svedesi ed è stato pubblicato in oltre 10 paesi.
In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo Il Gusto di uccidere edito sempre da Longanesi, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Hanna Lindberg durante una “bloggfrukost” (colazione coi blogger) molto divertente. Eccovi a seguito tutte le domande che le sono state rivolte:
1. Quando abbiamo letto il primo libro STH Confidential non si sapeva se ci fosse stato un seguito. Vorremmo sapere se, quando stavi scrivendo il primo libro, avessi già in mente un seguito o se ti è venuto in un secondo momento l’idea del progetto seriale e quanto abbia influenzato la tua scrittura.
H.: In realtà non ne avevo la più pallida idea, avevo solo l’idea di come sarebbe dovuto essere il mio romanzo. Sono stata estremamente sorpresa e felice di come il primo libro sia stato accolto e quindi ho maturato l’idea di elaborare un seguito. I personaggi stessi sembravano chiedermi di continuare e così sono arrivata al terzo che sto scrivendo ora.
2. Quando hai iniziato a scrivere ti sei posta il problema di come far comprendere la società nordica, così diversa come cultura, ai tuoi lettori nel mondo?
H.: Certamente. Avevo come esempi quelli degli altri scrittori scandinavi come la Lackberg che lo hanno fatto a modo loro, mentre io volevo farlo a modo mio mostrando anche nuovi aspetti non raccontati di Stoccolma e della Scandinavia: non solo i lati oscuri della terra scandinava, ma un lato di Stoccolma più inedito e sorprendente.
3. Attualmente, in Italia, stiamo subendo l’invasione mediatica della cucina e degli chef che sono oramai alla stregua di celebrità fin troppo invadenti. Il fatto di aver usato questo mondo anche nel tuo romanzo vuol dire che anche nel tuo paese si vive una situazione analoga? Qual è il ruolo mediatico di queste celebrità delle cucina?
H.: Abbiamo avuto un enorme boom culinario e di ristoranti di qualità in Scandinavia e la cosa è per me una buona cosa, si mangia davvero bene adesso! Credo che il fatto attuale degli chef/rockstar sia una tendenza globale, considerando che fino a qualche anno fa fare lo chef in Svezia non era un lavoro molto importante, la paga era bassa e molto duro ed assolutamente nessun glamour. Adesso la competizione è enorme, grande prestigio, il giro d’affari è impressionante e in crescita. Sono rimasta piacevolmente sorpresa quando mi sono accorta che la mia idea era nata nel momento giusto perché si tratta di elementi perfetti per le basi di un buon giallo. Un aspetto specifico della cucina che si porta con sé una serie enorme di regole nascoste e proprie e con tante tensioni. Andare a scoprire come delle “bolle” di tensione da scoprire e descrivere.
4. Ci sono chef famosi e stellati in Svezia?
H.: Si, Björn Frantzén, il primo ad aprire un ristorante 3 stelle è di certo il migliore in assoluto assieme a Mathias Dahlgren e Stefano Catenacci, di origini italiane, ha cucinato alla cena del Nobèl.
5. Perché hai deciso di inserire la questione del genocidio ruandese come background del tuo personaggio?
H.: Volevo dare al personaggio un percorso personale molto, molto complesso e difficile, considerando cosa abbia dovuto fare per cercare di superare lo choc di una tale situazione. Non voglio rivelare nulla, perché c’è chi interagisce con lui e ne usa l’esperienza traumatica per i suoi fini. Ho voluto usare la tensione psicologica, non la violenza; il passato difficile si prestava ottimamente e gli dava lo spessore che cercavo. Sono anche andata in Ruanda per fare ulteriori ricerche e per capire bene cosa fosse successo.
6. Qual è la situazione attualmente in Svezia in merito all’immigrazione?
H.: E’ una situazione complessa e difficile, il dibattito è problematico, perché da un lato c’è il partito populista che vorrebbe chiudere tutti i confini mentre dall’altra parte si vorrebbe aprire di più: è tutto molto complesso e pesante creando tensioni nella società, mentre sarebbe necessario affrontare il tutto in modo diverso.
7. Sia nel primo libro, come in questo, c’è la sensazione che Stoccolma voglia cercare di emergere a tutti i costi, a volersi mettere al passo con il resto d’Europa, esagerando, nell’aspetto estetico, nella ricerca della qualità della vita molto più spinta nelle attitudini, nei trend, di quanto non abbiamo in Europa?
H.: Si, credo che abbiamo il complesso del “fratello minore” rispetto alle capitali europee. Abbiamo il tasso di Hypster pro-capite più alto d’Europa. Abbiamo sempre attenzione di quello che accade altrove con l’ansia di stare al passo come se non avessimo fiducia di quello che abbiamo, delle nostre bellezze e che quindi volessimo anche i grattacieli e i juice bar. Inoltre Stoccolma è molto concentrata verso il successo. Una cosa che colpisce molto arrivando all’aeroporto di Stoccolma è che ci sono appesi i ritratti degli Svedesi famosi.
8. E’ un fatto che si sia inserita nel movimento letterario nordico a tutto tondo, il quale da almeno un decennio fa parlare di sé. Come crede d’aver dato un valore aggiunto?
H.: Io credo che il mio valore aggiunto sia stato quello di aver rinnovato il linguaggio del crime novel scandinavo, un nuovo aspetto di Stoccolma rispetto a quello solito e tradizionale, e questo riscontro mi viene anche dai lettori sorpresi e contenti del fatto che non sia il tipico romanzo svedese.
9. La letteratura di genere ci presenta una ricca collezione di personaggi femminili come Miss Marple, Erika Falck; come si inserisce la tua protagonista in questo filone e perché è diversa?
H.: La sua differenza. Beh, considerate un’altra giornalista: Annika Bengzton, il personaggio creato da Liza Marklund; credo che Solveig sia diversa in quanto versione moderna di Annika, contemporanea. Usa i media, è una persona molto coraggiosa, ama il rischio, si identifica con la sua professione senza paura di esporsi, ma per questo molto vulnerabile ed esposta ai rischi. D’altronde, questa professione è l’unica cosa che ha.
10. E cosa dire di Lenny? Lo abbiamo trovato nel primo libro e di certo non faceva una bella fine, poi lo troviamo qui ora e sembra che sia in cerca di una rivalsa. Perché hai voluto riportare questo personaggio anche in questa avventura?
H.: Principalmente per far vedere che la vita continua. Il suo personaggio cresce, ha perso tutto, ha un passato tra i vip ed ora invece deve risalire la china dal fondo. Ha un rimorso di coscienza, la scopre e non sa come gestirla. Incontra una donna per cui prova sentimenti e non sa cosa fare adesso. Insomma, è in una profonda fase evolutiva.
11 – Il fatto che tu abbia scelto prima il mondo della moda, adesso quello dei grandi chef e nel prossimo romanzo il mondo degli influencer, nasce da una tua scelta specifica e se sì perché?
H.: Sì, fin dal principio si trattava di una scelta specifica. Il mondo della moda è il più evidente, ma anche gli altri non sono da meno. Sono molto affascinata dai mondi patinati e del fatto che al loro lato “luminoso” ne corrisponda sempre uno “oscuro” ed è quello che voglio esplorare, anche nel mio prossimo romanzo.
12 – Sono tutti personaggi molto diretti, nella loro umanità molto immediati, quasi antipatici in un certo qual modo, “selfish” al punto da perdere anche le cose più chiare. Quanto c’è di personale o autobiografico?
H.: Per fortuna nulla, ho avuto ed ho colleghi molto carini e simpatici sebbene siano situazioni che ho visto in altre occasioni. I miei personaggi sono di fantasia ma voglio che abbiano caratteristiche reali ed ho volutamente esagerato questi aspetti. Solveig mancando di autostima si aggrappa al suo lavoro ed inevitabilmente è un personaggio ego riferito.
13 – Hai avuto feedback dai tuoi lettori in merito a quali siano gli aspetti di Stoccolma che hai inserito nei tuoi romanzi e che loro hanno apprezzato di più, qualcosa che tu hai inserito e che credi sia piacevole?
H.: Credo siano i dettagli: questi esprimono e danno più realtà alla cosa. Per questo libro sono stata assunta in una cucina per avere la possibilità di vedere bene tutti i dettagli e saperli riportare nel modo migliore. Questo aspetto, quello della veridicità, è il principale, poi è piaciuto anche il fatto di far scoprire lati della città che magari non erano così conosciuti.
14 – Il fatto di usare così tanti riferimenti a luoghi e vie di Stoccolma, credi possa essere invece un problema con i lettori non svedesi che, magari, non riescono a figurarsi bene la città e quindi rischiano di perdersi anche l’aspetto della localizzazione degli eventi?
H.: In realtà credo di no. Io cerco sempre di descrivere tutto quanto con accuratezza in modo che il nome del luogo o della via sia soltanto un’etichetta e non si sovrapponga alla descrizione. Certo conoscere la città potrebbe aiutare, ma è l’ambientazione che fa il tutto, non il nome.
Articolo a cura di Michele Finelli