Intervista a Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini

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Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini hanno scritto tre romanzi di grande successo per Marsilio: Soluzione finale (2005), Per esclusione (2008), pubblicato anche ne Il Giallo Mondadori e Il paziente zero (2011). Hanno pubblicato per Feltrinelli la trilogia Manticora (2015), per Araba Fenice l’antologia Gli insoliti casi del professor Augusto Salbertrand (2013), editata in Germania per Chichili. Molti i racconti per innumerevoli antologie tra cui: Anime nere reloadedOscar Mondadori, Medicina OscuraGiallo Mondadori. Bad PrismaMondadori, Nero LiguriaPerrone, RibelliRobin, Genova criminaleNovecento, Una finestra sul noirFratelli Frilli Editori. Tra gli ultimi lavori, la partecipazione alla saga spin-off di The Tube (creata da Franco Forte), The tube Nomads ideata da Alan D. Altieri, considerata dagli appassionati del genere il The Walking Dead letterario in digitale, con l’episodio Shockwave, per Delos Books. Per saperne di più sui loro lavori: www.novellizarini.it

Li abbiamo intervistati in occasione dell’uscita di Blind Spot, il loro ultimo romanzo con Ink Edizioni e leggete un po’ cosa ci hanno raccontato:

1) Bentrovati su Contorni di Noir e grazie per la vostra disponibilità. Inizierei a parlare dell’idea da cui è nato “Blind spot”, romanzo che fa parte della collana Medical Noir di Ink Edizioni.
N&Z.: Innanzitutto grazie per ospitarci, Federica, e grazie a Contorni di Noir per l’attenzione che ci dedica sempre, ormai da anni. Il medical thriller “Blind spot” è nato dalla dimostrazione scientifica “visiva” riguardo al cosiddetto punto cieco. Non conoscevamo questa singolarità dell’occhio umano, il fatto che avesse un punto completamente buio, ma che questa anomalia non influisse minimamente nel processo della vista. Cominciammo a pensare all’opposto, cioè che il punto cieco potesse invece essere fonte di uno specchio nero, che comunque potesse essere in grado ugualmente di poter riflettere e di poter essere allo stesso tempo come una porta di ingresso verso qualcosa di tanto imponderabile, quanto pericoloso. Traslando quindi questo fenomeno dal campo scientifico a quello della narrativa, il nostro thriller gioca su questo, sull’evidenza e le zone d’ombra. I nostri sensi possono venire ingannati da ciò che percepiamo e da quanto è a prima vista attendibile, addirittura inconfutabile. “Blind spot” è una storia dell’ombra, del lato che non si vede, o un lato che possono riconoscere soltanto occhi esperti e una mente selettiva nel cogliere il dettaglio. L’occhio umano inganna proprio per questo “Blind spot”. Il punto cieco diventa così un enigma, uno schermo buio che cristallizza l’attimo più recondito di ognuno di noi, un punto che non possiamo oltrepassare senza prima aver sconfitto la paura.

2) I protagonisti principali sono l’agente Barrett e la dottoressa Evans, due personaggi tanto diversi tra loro che riescono a cooperare insieme per scovare l’assassino. Dove si trova il punto d’incontro tra le loro diverse personalità?
N&Z.: Dici bene Federica, Barrett e la dottoressa Evans sono agli opposti, ai due poli. Ed è proprio questa diversità che li attrae e in parte anche li completa. Nonostante l’apparenza, Barrett è estremamente professionale sul lavoro, ma non lo fa pesare più di tanto, come se questa sua abnegazione fosse qualcosa che è già nel suo Dna da sempre. Qualcosa implicito nella sua natura, difficilmente districabile. Probabilmente, Barrett ha un passato duro, che ha lasciato tracce indelebili, oppure semplicemente è soltanto la sua essenza di vita. È così come è, senza costruzioni, barriere, scorciatoie. Uno spirito libero ma con delle regole. Può sembrare un controsenso, ma non lo è. Kylie Evans invece è stata mutata dalla sofferenza. Lei non era un tempo come è adesso. Ora è un labirinto di dubbi, di frustrazioni, di paure, di perdoni e maledizioni. Ha abbandonato il suo lavoro, ha abbandonato una buona parte di sé stessa per chiudersi in un rifugio tanto splendido con la colonna sonora del mare, quanto asfissiante e distruttivo nel silenzio. La scrittura, le pagine delle sue conoscenze mediche appena pubblicate, non sono una fuga o un semplice mezzo di sostentamento, ma un nuovo modo di interagire con l’esterno, ma soprattutto con se stessa. Le sue conoscenze sono un baluardo dietro le quali lei si sente sicura, anche se fatica ad accettarlo perché questo significherebbe correre il rischio di ritornare “tra i vivi”. La collaborazione con Barrett nasce sul filo degli opposti e continua sulla possibilità, per lei di poter tornare, per lui di collaborare con una persona tanto diversa, ma indispensabile. Ovviamente, il segreto di Kylie Evans metterà questa possibilità in serio e grave pericolo.

3) Quali sono le caratteristiche principali dell’agente Barrett e della dottoressa Kylie e qual è il punto di forza di ognuno di loro?
N&Z: L’agente Barrett è un uomo determinato, ma non antepone mai l’indagine alla relazione umana. Capisce quando deve fare un passo indietro, accetta i propri errori e le proprie colpe e cerca di rimediare ai propri sbagli. La dottoressa Evans è scienza applicata, quello che lei per anni ha studiato diventa una parte di se stessa, una seconda pelle, più robusta, più difendibile e meno attaccabile della sua prima, che invece è fragile e appartiene all’altra Kylie. Il punto di forza di Barrett è proprio la sua umanità che lui confonde dentro un’apparente durezza. Il punto di forza di Kylie Evans è la sua conoscenza.

4) Sui personaggi negativi ne imperversa uno, di cui non voglio fare nome per non svelare troppo, ma il cui fascino ambiguo cattura l’attenzione del lettore. Come vi ponete nei riguardi di questi personaggi quando iniziate a scrivere un romanzo, e quali sono le qualità che deve avere sempre pur assumendo sfaccettature diverse?
N&Z: Scherzando, quando dobbiamo creare il personaggio “negativo”, il villain di turno, diciamo sempre che deve essere in grado di spezzare in due una lapide. Quindi deve essere cattivo fino in fondo, ma questa cattiveria o negatività, ovviamente cambia in base al contesto della storia, alla costruzione della trama. Può diventare una cattiveria più affilata, più greve, più leggera, più nascosta, più dirompente, più subdola addiritttura una cattiveria gentile. Il personaggio di cui tu parli, è l’incarnazione del punto cieco in carne ed ossa, poiché non si può scorgere il punto buio, ma si può osservare soltanto il riflesso di quello che rimandano i suoi gesti, le sue parole. Rappresenta il passaggio del “Blind spot” da qualcosa di intangibile a qualcosa di materiale.

5) Durante lo sbrogliare della trama sono molti gli argomenti affrontati. Quello che mi ha maggiormente incuriosita è lo studio attraverso il quale ricostruire il profilo di un killer attraverso le sue caratteristiche fisiognomiche e comportamentali. Potete introdurci l’argomento e dirci su quali studi vi siete documentati?
N&Z: Grazie per questa domanda, molto pertinente e in un certo senso alla base della nostra volontà su come affrontare questa storia. Siamo abituati sia nelle serie tv che in altri thriller di un riferimento costante a una manualistica dell’omicidio che ormai è diventata prassi. I nomi di coloro che hanno studiato i killer sono in definitiva sempre gli stessi, tutti legati alla modernità del tema. Si va da Hickey che definisce assassino seriale chiunque uccida, mostrando premeditazione, tre o più vittime in un periodo di giorni, mesi o anni, a Ressler, Burgess, Douglas, che introducono un’importante distinzione nell’ambito della definizione coniata dall’F.B.I., cioè quella tra comportamento organizzato e disorganizzato, distinzione utile soprattutto dal punto di vista pratico dell’investigazione. Per loro, il serial killer organizzato pianifica con cura i propri delitti, scegliendo un tipo particolare di vittima che, in qualche modo, ha un legame simbolico con lui. Il serial killer disorganizzato, al contrario, agisce per un impulso improvviso che lo porta a uccidere vittime scelte casualmente, senza preoccuparsi di coprire tutte le sue tracce; di conseguenza, è molto più facile da catturare. Holmes e De Burger, hanno poi definito quelli che, secondo loro, sono gli elementi caratteristici dell’omicidio seriale: l’elemento centrale è la ripetizione dell’omicidio; l’omicidio seriale avviene “uno contro uno”; di solito, fra l’assassino e la sua vittima non c’è alcun tipo di relazione oppure, se c’è, è superficiale; l’assassino seriale prova “l’impulso ad uccidere”; negli omicidi seriali, mancano, tipicamente, motivi evidenti. Fino ad arrivare a Wilson e Seaman, e alla loro “teoria dei bisogni progressivi” in cui sostengono che le persone inizialmente uccidevano spinte dalla povertà e dalla fame; verso la metà dell’Ottocento, uccidevano per lo più per tutelare la propria sicurezza domestica; una volta soddisfatti questi bisogni, la persona sente il bisogno di gratificazione emozionale e sessuale, da qui la nascita dell’omicidio a sfondo sessuale; infine, una volta che si sono garantiti cibo, rifugio e gratificazioni emotive, si uccide per un bisogno di autostima, per ottenere rispetto. È questo il caso dell’omicidio seriale; l’insicurezza e la mancanza di un’identità precisa, vengono prepotentemente ad opprimere il soggetto, costringendolo a ripetere il comportamento omicidiario nella speranza di affermare il proprio sé. Abbiamo sentito quindi la necessità di affrancarci da queste teorie e tornare ancora più indietro nel tempo, dove l’identificazione del criminale o dell’uomo delinquente non era fatta in base alle azioni, al modus operandi, bensì attraverso lo studio e le peculiarità dei tratti somatici. Quindi citiamo Mantegazza e Lombroso, citiamo Il lavoro minuzioso, certosino, accurato del primo che fu proseguito poi da Cesare Lombroso che, diversamente dal predecessore, stravolse i concetti fondanti dell’antropologia fotografica ed allineò l’immagine del soggetto segnalato alle teorie della Fisiognomica e dell’atavismo da lui elaborate. Con questa scelta, ci siamo trovati alla fine con un thriller moderno con sfumature alienistiche tipiche dell’Ottocento. Qualcosa di inconsueto, ma anche di affascinante.

6) Come mai avete scelto di ambientare questo romanzo in California, che tra l’altro avete saputo descrivere con particolarità di dettagli ed atmosfere, tanto da non farci avvertire minimamente la vostra lontananza geografica da quel luogo?
N&Z: Il luogo non è mai una scelta casuale, ma è una necessità in base alla storia che si è creata. Lo era già stato anche per tutti gli altri thriller. Non è una questione di snobismo letterario verso il territorio italiano, ma soltanto un’esigenza. Nel caso di “Blind spot”, la necessità sta nel sistema procedurale americano all’interno di un processo. Senza svelare, accade qualcosa che non sarebbe potuta accadere altrove.

7) Dovendo scegliere un sentimento che maggiormente attraversa l’intero romanzo rispetto ad altri, quale sarebbe e perché?
N&Z: Diremmo la paura, in ogni sua sfaccettatura. La paura di non poter più essere normale, la paura di non riuscire a risolvere il caso, la paura di essere fermato, la paura dell’altro. La paura dell’ignoto dentro ciascuno di noi, la paura del lato di noi che non si conosce o che si conosce e ci tiene soggiogati.

8) Ho da poco visto un documentario sulla coppia di autori Fruttero & Lucentini, dove oltre ad analizzare i loro romanzi si indagava anche sul modo in cui avveniva la loro collaborazione creativa e nella scrittura. Come scrivono Novelli & Zarini? Quali sono i pregi e quali i difetti dell’uno e dell’altro?
N&Z: Il metodo, essendo in due è fondamentale. Usiamo il metodo della scaletta – quello del paradigma di Syd Field. Soggetto. Scaletta. Trattamento. Ciò che facciamo è infatti molto simile a ciò che fanno gli sceneggiatori americani. Creiamo di fatto l’ossatura di quello che vogliamo raccontare e poi procediamo utilizzando un cronogramma per una verifica cronologica degli avvenimenti e per individuare eventuali crepe nel susseguirsi logico delle vicende o punti morti. Individuiamo i punti chiave, gli snodi narrativi della storia e andiamo a riequilibrare i sottolivelli, lavorando sopra i punti deboli. Nel frattempo, i personaggi vengono creati a parte, psicologicamente, caratterialmente e fisicamente. Dopo aver fatto questo, c’è una verifica dell’intera struttura della storia che si è creata con una flow chart, dove viene verificata l’esatta e corretta cronologia degli eventi, gli eventuali sottolivelli di trama. Dopodiché, avviene l’inserimento dei personaggi all’interno della storia stessa e come conseguenza una seconda verifica a blocchi, questa volta legata all’azione dei personaggi principali e secondari. Quando riteniamo la storia conclusa, allora andiamo a sviluppare gli elementi di raccordo, di ambientazione e tutto quanto occorre per completare ed ottenere la trama nella sua interezza. Quindi non ci resta che dividerla in quelli che poi saranno i capitoli da scrivere. Nei libri dalla trama più complessa e meno lineare, a volte, decidiamo di scrivere le vicende dei personaggi singolarmente, ognuno con la propria cronologia di evento e poi, solo alla fine di farli interagire all’interno della storia. Ogni libro, ogni storia, richiede delle piccole varianti, in base a diversi elementi di struttura. Questo è un altro aspetto coinvolgente della scrittura. Riguardo ai pregi e difetti lasciamo la risposta ai nostri lettori. È bello mettersi in gioco ed essere giudicati dagli altri.

9) Quali sono i vostri punti di riferimento come scrittori? Da chi avete tratto maggior ispirazione o insegnamento?
N&Z: Uno scrittore nasce da un lettore. Non si può scrivere senza prima aver divorato libri di ogni genere e specie. E noi abbiamo divorato abbastanza, onnivori per scelta. A partire da tutti i classici, non soltanto di genere, ma in generale. Di certo ci sono autori che ci hanno ispirato e da cui continuiamo ad apprendere. Raymond Chandler, Alan D. Altieri, Jean Christophe Grangè, Maxime Chattam, Giorgio Scerbanenco, Emilio Salgari, Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft, Jack London, Philip K. Dick, quelli che ci hanno in qualche modo marcato più a fuoco di altri, proprio per le loro diversità, per il loro stile, per le capacità sopraffine di saper raccontare senza raccontarsi, ma ce ne sarebbero ancora e ancora. Le letture non finiscono mai, come gli esami.

10) Ci potete anticipare qualcosa dei vostri progetti futuri?
N&Z: Tra i progetti futuri, un racconto all’interno di un’antologia a cui teniamo tantissimo, ma della quale al momento non possiamo rivelare nulla e il quinto capitolo dei casi dell’investigatore Michele Astengo.
Ci sarà anche un nostro racconto all’interno di una nuova antologia dedicata al compianto Marco Frilli, che dovrebbe uscire ad Ottobre in teoria, ma in questo momento si naviga a vista e tutto potrebbe cambiare repentinamente.
Il progetto più immediato rimane comunque scrivere il quinto libro della serie dedicata all’investigatore genovese Michele Astengo per Frilli Editori. Fermandoci a riflettere, si è verificato qualcosa di ironico e altrettanto beffardo. La contigenza del momento, tutta l’odissea tragica del covid-19 ci aveva fornito proprio quel tempo che spesso ci manca per scrivere. Purtroppo non ci sono state, né concentrazione, né testa per fare la prima stesura. È soltanto da scrivere, avendo già tutto pronto, ma siamo rimasti come svuotati, privi di qualsiasi energia. È comunque pronto un altro medical thriller e ci sono ancora inediti nel cassetto che aspettano una pubblicazione. La scrittura è un fiume senza requie. Abbiamo anche alcuni progetti in fase embrionale che toccano altri aspetti e linguaggi della scrittura, forme differenti rispetto alla stesura di un romanzo, ma non possiamo dire niente in merito perché ci stiamo lavorando e dobbiamo attendere determinati sviluppi. Se accadranno o meno, ce lo dirà il tempo.

Intervista a cura di Federica Politi