Bruno Morchio è nato nel 1954 a Genova, dove vive e ha lavorato come psicologo e psicoterapeuta. È autore, tra l’altro, di una fortunata serie gialla che ha per protagonista l’investigatore privato Bacci Pagano. Per Rizzoli ha pubblicato Il testamento del Greco (2015) e Un piede in due scarpe (2017).
Esce oggi il suo nuovo romanzo, intitolato Dove crollano i sogni, per Rizzoli e questa l’intervista che abbiamo realizzato.
1. Ciao Bruno, è un vero piacere averti ospite sulle pagine di Contorni di Noir, benvenuto. Se sei d’accordo, partiamo con le domande e cominciamo con una articolata sulla tua ultima fatica letteraria “Dove crollano i sogni”.
Raccontaci un po’ come è nato il progetto e come è nato il personaggio di Blondi, quanto Blondi è simile ai pazienti del tuo lavoro di psicoterapeuta e se è stato complicato e in che misura calarti nell'”IO” narrante al femminile?
B.: Tutto è cominciato con il crollo del ponte Morandi. Non si è trattato di scrivere un romanzo per elaborare il trauma (anche se non si scrivono romanzi senza un trauma da elaborare), ma certo il tutto è avvenuto in un contesto particolare: il governo giallo-verde aveva il vento in poppa, il senso comune sembrava improntato a valori che non ho mai condiviso, emergeva un nazionalismo becero accompagnato da sentimenti razzisti e dallo svilimento sistematico della cultura, delle competenze, della scienza. Le periferie erano diventate il brodo di coltura di un risentimento populista che poco aveva a che fare con la lotta di classe e le classi più svantaggiate sembravano consegnarsi alle narrazioni bugiarde della destra. E allora mi sono detto: proviamo a buttarci nelle acque limacciose del Polcevera e vediamo cosa peschiamo. Per farlo ho messo a fuoco due generazioni: quella degli adolescenti e quella dei loro genitori, adulti poco solidi, inaffidabili, bruciati dalla vita, fregati da un sistema che ha cancellato ogni possibile futuro.
Così sono nati questi due “orfani”, Blondi e Cris, e i loro scalcinati genitori; il cinico Alex e suo padre, complici di malaffare; Samuel, la Ketty e la Sabri, giovani che non studiano e non lavorano (come gran parte dei ragazzi che popolano le nostre periferie) e che si lasciano vivere senza sogni né progetti; ma anche la figura positiva di Pablo, figlio di una coppia di immigrati peruviani uniti da un sentimento di amore, che gli hanno insegnato a dar valore alle cose, al denaro guadagnato e al lavoro.
Quanto all’identificazione con Ramona-Blondi (il romanzo è scritto in prima persona e la voce narrante è quella di lei, quasi maggiorenne, che non è andata oltre la terza media) ho dovuto ricorrere alla mia esperienza di lavoro con le adolescenti, specie le ragazzine di periferia. E non solo: è stata un’avventura anche linguistica. Si trattava infatti di creare una lingua artificiale che “mimasse” la parlata dei giovani e rendesse l’aura d’un certo milieu, senza la pretesa di documentare una realtà idiomatica in continua, rapida trasformazione, talvolta caratterizzata da codici e gerghi incomprensibili per il lettore medio.
2. È evidente, come tu sia stato in equilibrio perfetto tra un dire vuoto di una generazione allo sbando e un non detto che poi fa la sostanza del libro. Quindi la domanda è: siamo in una generazione millenial che non permette pensiero profondo, ma soltanto una facciata di luoghi comuni, di routine e di un gergo modaiolo per farsi accettare nel branco, o c’è la paura da parte dei giovani di esporsi e quindi di abbandonare quel linguaggio codificato che permette loro di essere anche senza sostanza?
B.: È una generazione alla quale è stato rubato il futuro. Nutrita dai miti degli anni Ottanta (consumo, facile guadagno accompagnato a scarsa considerazione del valore del lavoro) ridotti ormai a miraggio irraggiungibile. Ciò che è dicibile e pensabile è una facciata di cartapesta, una illusione senza spessore; la realtà è fatta di scarsa scolarizzazione, lavoro precario e sottopagato, stagnazione intellettuale e morale. La realtà non trova neppure le parole per raccontarsi. Questo è l’approdo amaro di un paese dove chi ha una laurea e qualche possibilità economica finisce per andare all’estero e i molti che rimangono devono “accontentarsi”, o vivere alle spalle dei genitori “garantiti”. Un paese dove la politica non ha investito sui giovani e sul futuro e ha guardato solo all’utile immediato e ai sondaggi. Speriamo che lo tsunami che si è abbattuto sul pianeta porti le classi dirigenti a ripensare qualcosa di quanto fatto in questi ultimi trent’anni. In primis a seppellire per sempre l’armamentario ideologico, economico e istituzionale del liberismo.
3. Il tuo è un libro di fantasmi, di persone che in fondo sono già morte dentro o che respirano appena in ragione di una fiammella tanto lontana quanto irraggiungibile di un’utopia. Si avvertono leggendo le pagine, presenze, più che persone. Anche i contatti sono quasi un rito profano dettato più dall’istinto che da un reale bisogno. Quanto è stato difficile rendere tutto ciò con la scrittura?
B.: Scrivere dialoghi mi piace ed è un’operazione che mi riesce abbastanza facile. I dialoghi “vuoti” di questi ragazzi, almeno all’inizio, credo rendano bene l’angustia dei loro orizzonti. Il discorso diventa un po’ più pregnante quando entrano in gioco le emozioni basiche: paura, rabbia, desiderio sessuale, umiliazione.
4. Blondi è una manipolatrice, una sognatrice pericolosa. Ma ci manipolano di più i sogni o le false speranze che ci costruiamo per avere una motivazione per sopravvivere?
B.: Blondi, a differenza di altri suoi coetanei, è intelligente e riesce a vedere le cose come stanno, anche se le mancano gli strumenti per sottrarsi al suo destino. Così finisce, di volta in volta, per compiere la scelta che le sembra più conveniente, in una catena che in realtà la rende sempre meno libera. Occorre partire da una considerazione: il sogno di Blondi, quello che lei definisce necessario per sopravvivere, apparentemente è un progetto che ipoteca il futuro, ma a ben vedere è un tragico cascame del passato. La suggestione della Costa Rica, scoperta per caso guardando una patinata rivista di turismo, affonda le sue origini nel racconto (falso, un autentico depistaggio) che la mamma ha fatto a Blondi sul padre che lei non ha mai conosciuto. La Costa Rica è il luogo mitico dove incontrare il padre (e perciò lei non può evitare di pensare di portarci anche la mamma).
5. Se ricordiamo bene, contrariamente ai tuoi precedenti lavori, non c’è musica nel libro, tranne una suoneria. Forse perchè non c’è musica dentro la sopravvivenza o l’accettazione di essere in fondo dei perdenti?
B.: È un periodo in cui la musica non mi tocca il cuore, anche se la sento tutti i giorni.
6. Il sogno di Blondi è anche il tuo? Vuoi mollare tutto e scappare all’estero in un “buen retiro” e dedicarti alla scrittura o altro?
B.: No.
7. Il finale. Senza svelare nulla, mai forse giustizia e ingiustizia, dolore e sorpresa, inizio e fine sono stati così vicini fino quasi a sovrapporsi, a interscambiarsi. Quanto hai lavorato su questo finale e che cosa alla fine ti ha portato a questa conclusione?
B.: Senza rivelare nulla, l’idea del romanzo è germogliata proprio dal finale, il crollo del ponte Morandi. Senza quell’evento tragico non avrei mai scritto questa storia.
8. È tempo di giocare un po’. Sei pronto? Prima domanda. Poco tempo fa sono stati gli ottanta anni dalla nascita di De Andrè, per cui ci è balenata questa domanda.
Quando stai scrivendo, ti senti più un’anima salva, un’anima in pena, o un’anima persa all’interno della storia?
B.: Le anime salve non scrivono noir − almeno credo − se non perché è un genere che vende. Non è il mio caso. Nelle storie mi perdo, come ci si perde in un bosco, perché non scrivo sinossi e non compilo scalette e quando mi siedo al computer spesso non so cosa scriverò; ma non sono azzannato dal sentimento di angoscia che caratterizza chi si perde veramente. So di possedere una bussola (preconscio? mestiere? forse entrambi) che alla fine mi porterà da qualche parte. Un’anima in pena sì, perché talvolta sento la fatica della scrittura. Scrivere è un lavoro onanistico che prende molta energia e deve far godere gli altri. Talvolta procura piacere anche a chi scrive, ma a me capita di rado.
9. Tre immagini. Qual è per te la più noir? Uno sparo e un uomo che cade ammazzato tra la folla. Un lamento, o un suono ovattato di dolore dietro una porta chiusa. La silhouette di una donna dentro un taglio di luna che filtra da una porta appena socchiusa.
B.: Un lamento, o un suono ovattato di dolore, dietro una porta chiusa.
10. Immaginati novello dottor Victor Frankenstein. Devi creare il mostro prendendo parti da famosi personaggi letterari. Di chi il cervello? Di chi il cuore? Di chi gli occhi? Di chi l’umanità?
B.: Il cervello di Ivan Karamazov, il cuore di Jay Gatsby, gli occhi di Lily Briscoe (in Gita al faro di Virginia Woolf) e l’umanità di Pepe Carvalho.
11. Uno splendido personaggio femminile di un’altrettanta splendida serie tv dice “Alle persone felici piacciono le canzoni, alle persone tristi piace la poesia”. Sei d’accordo o no? E, estendendo la domanda… A che tipo di persone piace il noir?
B.: Mi suona di più: alle persone felici piacciono le canzoni, alle persone tristi quelle dei cantautori italiani (con l’eccezione di Conte e Baccini). La poesia piace alle persone colte, e nemmeno a tutte, e ha poco a che fare con il loro stato d’animo.
Quanto al noir, nutro diffidenza verso quanti affermano di non amare il genere; mi fanno venire in mente coloro (in genere maschi) che dicono di leggere solo classici (e leggono a malapena un romanzo all’anno). Quando è ben scritto, il noir è letteratura senza aggettivi e piace a tutti coloro che amano leggere.
12. Intanto ti ringraziamo per aver accettato l’invito di Contorni di Noir (aspettiamo il prossimo Bacci, perchè pensiamo tu ci stia già lavorando) e ti salutiamo con questa ultima domanda. Creare una storia è più come plasmare l’argilla, lavorare sul marmo o prendere le giuste proporzioni prima di un disegno?
B.: Dipende dal tipo di storia. Se guardo ai miei romanzi, scrivere Le sigarette del manager è stato come plasmare l’argilla, in quest’ultimo libro ho lavorato sul marmo e le due spy stories, Colpi di coda e Il testamento del Greco, sono nate dopo aver preso le misure prima di un disegno.
Grazie a voi e ai lettori di Contorni di noir per l’ospitalità.
Intervista a cura di Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini