Intervista a Eraldo Baldini

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Eraldo Baldini, scrittore e saggista, è uno dei più autorevoli maestri del noir italiano, vincitore nel ’91 del Mystfest di Cattolica. Per descrivere la sua narrativa, capace di trasportare un genere tipicamente anglosassone nei panorami familiari della campagna romagnola, viene coniata la definizione “gotico rurale”. Con L’uomo nero e la bicicletta blu ha vinto nel 2012 il Premio Montefiore. Il suo ultimo libro, pubblicato da Rizzoli, è La palude dei fuochi erranti. Lo abbiamo intervistato e ci siamo fatti raccontare qualcosa di lui e del romanzo.

1.Grazie, Eraldo, della tua disponibilità. Parliamo del tuo ultimo romanzo, “La palude dei fuochi erranti” edito da Rizzoli. Com’è nata l’idea, a partire dal titolo?E.: Essendo uno storico e antropologo culturale prima ancora che un narratore, un paio di anni fa avevo scritto e pubblicato, insieme alla collega Aurora Bedeschi, un saggio intitolato “Il fango, la fame, la peste. Clima, carestie ed epidemie in Romagna nel Medioevo e in Età moderna”. Facendo le ricerche per quel volume, avevo trovato centinaia di fonti e testimonianze, anche di prima mano, relative a quei temi e soprattutto alle pestilenze che nei secoli hanno flagellato il nostro Paese, a partire dalla peste del 1630, l’anno in cui poi ho ambientato il romanzo. Insomma, dalle suggestioni del reale è nata l’idea letteraria. Per quanto riguarda il titolo, è riferito al luogo della vicenda, l’ampia zona paludosa che ancora si estende tra il Ravennate e il Ferrarese, e a un fenomeno enigmatico e inquietante a cui i protagonisti assistono.

2. “La palude dei fuochi erranti” ha elementi di grande fascinazione, come la forca smontabile portata dall’aiutante del monsignore per punire i trasgressori della quarantena, e altri come credenze popolari, fattucchiere che leggono il futuro e fuochi fatui. Come decidi quanto deve avere di storico un tuo lavoro e quanto di leggenda o di favolistico?
E.: Normalmente cerco di mettere a frutto al meglio le mie competenze di storico e saggista, quindi di dare ai miei romanzi forti base realistiche e documentarie (ma non didascaliche), innestando poi su quelle anche elementi di fantastico e di soprannaturale. Elementi che comunque, non scordiamolo, appartenevano veramente (e più dell’oggi) all’immaginario collettivo e alla mentalità della società dei secoli scorsi.

3.Quando si va a leggere i romanzi di genere insieme alla trama ciò che colpisce solitamente il lettore sono anche le location. Sotterranei misteriosi di abbazie di grandi città, terre di mezzo che non esistono, luoghi su cui gravano maledizioni ancestrali come le brughiere dei Celti. Tu riesci a fare la stessa cosa ambientando le tue storie in Romagna. Non hai temuto neppure per un secondo che invece di riti e leggende ai lettori venisse in mente solo la movida estiva?
E.: Un romagnolo come me sa bene quanto sia multiforme l’aspetto e l’anima della sua terra, quanto sia antica e affascinante la sua cultura popolare, che viene dall’antico e fascinoso mondo pagano e contadino. Anzi, mi piace proprio far conoscere questa complessa realtà a chi della Romagna vede solo l’immagine stereotipata e “balneare”, frutto dello sguardo superficiale dell’oggi.

4. Diotallevi è un personaggio riuscitissimo. Ai lettori piace subito la contrapposizione tra il suo aspetto fisico e la sua indole volitiva e determinata. A chi ti sei ispirato per crearlo e quanto piace anche a te il tuo personaggio?
E.: Mi sono ispirato in una certa misura a un personaggio reale, il Commissario apostolico Gaspare Mattei, che nel 1630 venne inviato in Romagna per allestire i cordoni sanitari atti a difenderla dal contagio. Mattei in parte riuscì nel suo intento, tra l’altro, facendo sì che nessuna delle maggiori città romagnole avesse a lamentare casi e vittime di quella epidemia. Le descrizioni dell’epoca lo dipingono come un uomo volitivo, fin troppo inflessibile, intelligente. Il mio Diotallevi rispecchia quelle caratteristiche ma presenta anche fragilità, dubbi, paure che provengono dal vissuto drammatico della sua infanzia; ama il silenzio e la solitudine e gli costa un grande sforzo misurarsi con gli aspetti peggiori dell’umanità, anche se cerca di non perdere di vista gli obiettivi che è chiamato a raggiungere e i canoni morali del suo essere un “soldato della Chiesa”.

5. La sorte ha voluto che il tuo ultimo libro fosse anche di una contemporaneità agghiacciante. Cordoni sanitari, epidemie mortali e quarantene. Se lo avessi saputo prima lo avresti scritto lo stesso?
E.: Non lo so. Forse avrei temuto di essere accusato di cavalcare il momento, di approfittarne, di fare un’azione in qualche modo strumentale e commerciale. Ma il libro è uscito quattro mesi prima del manifestarsi del Covid 19, e posso dire che, purtroppo, è risultato in qualche modo drammaticamente profetico. Del resto, in quanto storico delle epidemie, ho sempre saputo e affermato che la domanda corretta non doveva riguardare il “se”, ma solo il “quando” di una nuova pandemia.

6. Sei spesso definito lo scrittore del Gotico rurale. Questa definizione ti piace o ti infastidisce essere considerato uno scrittore di genere?
E.: Da una parte mi lascia indifferente, perché credo che sia difficile inquadrare la mia produzione letteraria in un “genere” costante e preciso, dall’altra mi fa piacere che mi sia riconosciuta una cifra narrativa originale.

7. Tu sei specializzato in Antropologia culturale e hai scritto anche saggi proprio sulla cultura e la tradizione popolare. Quanto ti aiuta tutto questo nel tuo mestiere di scrittore di romanzi di genere? E se un giorno volessi cambiare completamente genere in quale ti piacerebbe cimentarti? Penseresti mai di scrivere una storia d’amore o un fantasy?
E.: Mi aiuta molto perché mi arricchisce di conoscenze e informazioni, e perché mi consente di attingere a quella che ritengo una fonte ricca di suggestioni e quindi di ispirazione, di idee per nuove storie. In quanto al “cambiare genere”, è un problema che non mi pongo: scrivo la storia che mi nasce e mi matura in testa, e non mi chiedo mai come possa essere catalogata ed etichettata.

8. Ce l’hai un posto del cuore dove di solito ti metti a scrivere o a raccogliere semplicemente le idee?
E.: Sono molto “casalingo” e non voglio mentire e ricamare una risposta falsamente interessante: penso più che altro in casa, e scrivo in casa…

9. Stai lavorando a qualche progetto? Puoi darci un’anticipazione?
E.: Al momento, in attesa di una idea letteraria buona, sto lavorando più che altro in campo saggistico; sto raccogliendo il materiale per un libro che vorrei intitolare “Uomini e lupi in Romagna”. Del lupo, il mio animale preferito, ho già trattato in narrativa (ho pubblicato nel 2006 un romanzo che si intitola “Come il lupo”, edito da Einaudi), e adesso vorrei affrontare il tema del suo rapporto storico con l’uomo nella mia terra. Lo sapevi che la Romagna ha oggi, statisticamente e forse anche in assoluto, la alta concentrazione di lupi d’Europa?

Intervista a cura di Antonia Del Sambro