Intervista a Maurizio de Giovanni

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Maurizio de Giovanni ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d’inverno, Il purgatorio dell’angelo e Il pianto dell’alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero). Dopo Il metodo del Coccodrillo (Mondadori 2012; Einaudi Stile Libero 2016; Premio Scerbanenco), con I Bastardi di Pizzofalcone (2013) ha dato inizio a un nuovo ciclo contemporaneo (sempre pubblicato da Einaudi Stile Libero e diventato una serie Tv per Rai 1), continuato con Buio, Gelo, Cuccioli, Pane, Souvenir, Vuoto e Nozze, che segue le vicende di una squadra investigativa partenopea. Ha partecipato, con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli, all’antologia Giochi criminali (2014). Per Rizzoli sono usciti Il resto della settimana (2015), I Guardiani (2017) e Sara al tramonto (2018). I libri di Maurizio de Giovanni sono tradotti in tutto il mondo. Molto legato alla squadra di calcio della sua città, di cui è visceralmente tifoso, de Giovanni è anche autore di opere teatrali.

L’abbiamo intervistato in occasione dell’odierna uscita del suo romanzo “Una lettera per Sara”, edito da Rizzoli nella collana NeroRizzoli.

1) Bentrovato su Contorni di noir a Maurizio de Giovanni che ringraziamo per la generosità e la disponibilità. Iniziamo con una domanda di rito: com’è nata l’idea da cui è scaturito questo terzo romanzo legato alla figura di Sara Morozzi “Una lettera per Sara”, uscito in libreria per Rizzoli?
M.: Come mi succede sempre, l’idea è nata all’improvviso. Dal niente, ha cominciato a tornarmi alla mente la vicenda di Graziella Campagna, cui peraltro il libro è dedicato. Avevo letto la storia da qualche parte, nel recente passato: una storia impossibile, come solo la vita vera riesce a essere. Il classico caso del trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Poi è tornata prepotente, ha messo radici, foglie e fiori ed è diventato per me imprescindibile scriverne. Naturalmente la realtà dei fatti ha costituito solo uno spunto, ma sono contento dell’omaggio fatto alla memoria di una persona dolce, troppo presto dimenticata dai più e che invece ha costituito la colonna sonora di una intera vita per pochi altri.

2) Sara, Davide e Viola sono impegnati in un’indagine che lega il presente ad un passato che risale a circa trenta anni prima. Un cold case. Quali sono le difficoltà nel riportare alla luce fatti che appartengono alle ombre e al silenzio da tanto tempo?
M.: Ti ripeto, la vicenda reale che il libro rievoca è molto lontana da quella che i lettori troveranno nel libro. Dunque nessuna difficoltà. Mi sono ispirato alla vicenda e ne è venuto fuori un buon prodotto, almeno così mi pare.

3) Quella di Davide, Sara e Viola è un’indagine ufficiosa. Eppure i tre si amalgamo alla perfezione arrivando dove l’altro manca. Qual è la qualità che caratterizza meglio ognuno di loro?
M.: Dici bene, la chiave è proprio l’amalgama. L’inesperienza di Viola e l’indolenza di Pardo trovano una guida fondamentale in Sara, che con la sua essenzialità unita alla profonda conoscenza dell’animo umano potenzia l’intero team.

4) Ho trovato che questi tre personaggi siano cambiati dal primo romanzo. A chi ancora deve leggere “Una lettera Sara”, cosa racconteresti su come sono diventati?
M.: La frequentazione reciproca non credo li abbia cambiati, ma ne abbia piuttosto esaltato le caratteristiche. Il mio preferito, subito dopo Boris naturalmente, resta Pardo, tenerissimo padre mancato, che con la sua stessa esistenza abbatte i luoghi comuni sul machismo.

5) Il tema del ricordo attraversa tutto il libro, sia nutrendosi di una valenza positiva, migliorando la vita di lo evoca, sia di una valenza negativa, avvelenando l’esistenza di chi non riesce a dimenticare. In che modo i personaggi riescono a maneggiare quest’oggetto così fragile e resistente allo stesso tempo?
M.: Il ricordo per me è sempre positivo.
Anche quando è doloroso, colora le nostre esperienze e ci rende umani. Dunque non sempre migliora la vita di chi lo evoca, ma anche quando avvelena l’esistenza di chi non riesce a dimenticare riesce a dare almeno un motivo per vivere.

6) Se invece dovessi scegliere un sentimento che più di altri, attraversa l’interno romanzo identificandolo, quale sceglieresti?
M.: Forse la disillusione. E sto pensando proprio a Sara.

7) Sei riuscito a creare personaggi che sono entrati nel cuore dei lettori, da Ricciardi ai Bastardi di Pizzofalcone, Mina Settembre e Sara. Come si riesce a non restare imprigionati in un personaggio seriale?
M.: I personaggi seriali sono come i vicini di casa di un posto di villeggiatura. Li vedi ogni anno, li trovi un po’ cambiati, qualcuno si aggiunge, qualcuno non c’è più. Ma sono e restano il simbolo delle vacanze. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno, soprattutto in questo periodo, di vacanze o almeno dell’idea delle ferie. Ecco perché mi piace con cadenza più o meno regolare tornare a trovare ognuno di loro, ad eccezione di Ricciardi, il primo, che ho salutato, con tanta malinconia ma con la consapevolezza di aver fatto una scelta giusta. Almeno per ora.

8) Questo romanzo è appena uscito ma puoi anticiparci qualcosa riguardo ai tuoi progetti prossimi futuri?
M.: La pandemia ci costringe a vivere alla giornata.
Aspetto di sapere quali attività riprenderanno, quando e soprattutto come, per riprogrammarmi come autore teatrale.
Per ora di certo c’è l’uscita del prossimo romanzo di Mina Settembre, stavolta per Einaudi, che dovrebbe uscire il primo. Settembre, è ovvio!

Intervista a cura di Federica Politi