Intervista a Mirko Zilahy

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Mirko Zilahy ha conseguito un Phd presso il Trinity College di Dublino, dove ha insegnato lingua e letteratura italiana. Collabora con il Corriere della Sera ed è stato editor per minimum fax, nonché traduttore letterario dall’inglese (ha tradotto, tra gli altri, il premio Pulitzer 2014 Il cardellino di Donna Tartt).

Gli abbiamo fatto qualche domanda prima di incontrarlo al festival Giallo di sera a Ortona (CH) il 26 luglio alle ore 20.00 ed ecco le sue risposte:

1.Ciao Mirko, ultimamente per Longanesi hai curato la traduzione di Mystic River di Dennis Lehane, uno dei titoli famosi più per la trasposizione cinematografica che per il libro stesso. Il linguaggio reso per immagini, è molto diverso da quello letterario e soprattutto è un linguaggio passivo che lascia poco spazio alla fantasia, tuttavia sta incontrando molti consensi tanto che molti romanzi hanno trovato nuova vita con le graphic novel. Anche il tuo libro “La forma del buio” lo scorso autunno è diventato un fumetto. Come hai reagito vedendo “le immagini”, peraltro straordinarie, del tuo romanzo?
M.: Certamente l’immagine aiuta e indirizza lo spettatore. Ma la capacità evocativa della parola ha un potenziale assai più profondo. La forza della voce che stiamo scordando per affidarci alle immagini (interfaccia dei social in primis, ma anche serie tv) ci condanna a perdere una porzione della forza creativa che possediamo. Perché il grande algoritmo sta facendo proprio questo: sta sostituendo la nostra immaginazione con figure ed immagini non originali (nel senso che non vengono dalla nostra immaginazione di primo grado e di secondo: la lettura).
Ma l’esperienza con il fumetto (che è creativo eccome!) è una grande avventura e mi ha riportato indietro nel tempo e mi ha dato un’emozione nuova. È un’avventura che sto affrontando con Round Robin editrice e da profano del fumetto, ho provato a immaginare una collana che, per una volta in Italia, riunisse autori molto diversi tra loro (la seconda uscita il 26 luglio in anteprima allo splendido festival Giallo di Sera a Ortona sarà “Milano a mano armata” di Romano De Marco) sotto la bandiera della Tempesta (il nome della collana), appunto. Le forze in gioco, i venti, l’acqua e le anime che si agitano in questo vortice racconteranno tutte le sfumature del nero italiano. Se non è possibile mettere insieme thriller, giallo, noir, poliziesco, crime in una classica collana editoriale, ho pensato, posso farlo su questa nave che affronta la sfida dei flutti con una bandiera dei pirati in cima all’albero maestro.

2. È Così che si Uccide, La Forma del Buio e Così Crudele è la Fine sono i titoli della serie che ha come protagonista il commissario Enrico Mancini. So che ci sono delle novità sulla trilogia, ne vuoi parlare?
M.: A breve uscirà per Tea l’intera trilogia raccolta in un unico volume: “La trilogia del Caos”, sottotitolo “la Roma oscura del commissario Mancini” con un prezzo super e una nuova bellissima copertina. E devo dire che mi impressiona vedere anni di scrittura tutti insieme, un intero universo immaginifico e narrativo racchiuso in un tomo di più di 1200 pagine. Anche perché è un po’ che ho lasciato Mancini e la sua squadra per dedicarmi ad altre scritture e traduzioni e constatare che lui è comunque ancora lì, che riemerge in forme differenti indipendentemente da me, è divertente ed inquietante.

3. Il 26 luglio sarai presente alla seconda edizione del Festival Giallo di Sera Ortona con due appuntamenti. Che effetto ti fa riprendere gli incontri in presenza con i lettori?
M.: Avrei voluto presentare “La trilogia del Caos”, appunto, ma gli strascichi del Covid hanno fatto slittare un po’ tutto. Sarà una bella emozione comunque e con Romano De Marco, amico e direttore artistico della rassegna, parleremo di progetti prossimi a venire, di Mancini e soprattutto presenteremo la collana thriller a fumetti Tempesta per Round Robin. Devo dire che sono emozionato e un po’ arrugginito 🙂 ma la voglia di tornare a chiacchierare con i lettori è davvero grande.

4. Con Mancini hai regalato ai tuoi lettori un personaggio davvero straordinario da cui non è stato facile staccarsi alla fine di Così crudele è la fine. Tuttavia quel “si” proprio nelle ultime righe del romanzo lascia una porta aperta, Tornerà Mancini o regalerai ai tuoi lettori un altro personaggio?
M.: Devo moltissimo al commissario Mancini ed è vero, è un personaggio che ha lasciato aperte diverse domande sulla sua vita e sulla sua personale battaglia contro il Male. Ma quel “sì” non voleva significare un’apertura a una sua nuova avventura. Anche perché certe cose le decidono i fantasmi che ci abitano, quelli che ci sussurrano le risposte alle domande più scomode e io sento che Mancini ha assolto al suo compito: raccontare l’anima nera di Roma in un modo che superasse le regole del crime, del giallo, o del noir, e che ripescasse le grandi questioni delle origini classiche (identità, realtà, giustizia) traducendole in un linguaggio che fosse thriller, il mio thriller, spiazzando l’orizzonte delle aspettative del lettore di genere che vuole il romanzo “scorrevole”, “che si legge in un soffio”, “che si beve” e via dicendo. Personalmente se c’è una cosa che non amo è l’uniformità dello stile (soprattutto nel genere), la mancanza della voce dell’autore. Ma ogni libro ha una vibrazione sua e per trovarla bisogna ogni volta costruire un linguaggio nuovo, immaginare un nuovo mondo. In questo senso il romanzo di cui ho appena concluso la prima bozza…

Intervista a cura di Luciana Fredella