Intervista a William Raineri

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Nato a Brescia nel 1970 da genitori imprenditori, William Raineri è cresciuto con la passione per le storie grazie alle fiabe epiche e paurose della nonna paterna che scaturivano da un’immagine: un ritaglio di giornale nascosto in un cassetto con la foto di una casa sperduta chissà in quale bosco. Grazie alla passione smodata per il disegno da ragazzo voleva diventare autore di graphic novel per soddisfare i due aspetti creativi: la storia e le immagini. Ma è con la pubblicità – un concentrato di storia, personalità e trama – che inizia a sperimentare l’originalità arrivando in breve a vincere il premio Best of Nation all’European design award. Dato che la creatività non ha confini, oggi William Raineri scrive racconti, progetta personaggi, crea mondi narrativi per film, videogame o strisce comiche. Nel 2014 ha ottenuto il Master in Storytelling della Holden. “Chi porta le ombre” è il suo primo romanzo con il Comandante Olmo protagonista.

Matteo Bordoni lo ha intervistato ed ecco cosa ci ha raccontato:

1. La cosa che mi ha colpito sin dalle prime pagine è stata la descrizione di luoghi e atmosfere, quasi cinematografica, ricca di dettagli vibranti e vividi. Bellissime quelle dedicate ai paesaggi, toccanti quelle relative ai sentimenti, alle atmosfere della resistenza, alle paure e alle speranze. Quanto di tutto questo è dovuto a una minuziosa ricerca storica e quanto è frutto della fantasia?
W.: Per “Chi porta le ombre” ho diviso in due le ricerche utili ad affinare e approfondire gli ambienti e le atmosfere. Del periodo partigiano ho consultato libri fotografici, siti web, blog, film, ristampe di pubblicazioni e una eccezionale raccolta di volantini e comunicazioni di rivolta.
Ma è la ricerca post bellica che mi ha arricchito maggiormente. Dove mi sono immerso nella cronaca, nei fatti di costume e nell’attualità raccontata in centinaia di settimanali e periodici pubblicati dal 1949 al 1951. Lì ho approfondito la parte prosaica della storia, ciò che non si trova nei romanzi e rende credibile e tridimensionale l’atmosfera e il sapore di quel periodo.
La fantasia e la creatività mi hanno supportato nel creare tutto il resto. Ho la fortuna di saper visualizzare nel dettaglio le scene, le atmosfere e le dinamiche. Poi non mi rimane che trascriverle in bella copia.

2. Mugno e la Val Tenebrina non esistono, ma sono collocate geograficamente nel territorio bresciano. Sono luoghi reali a cui è stato cambiato il nome? Se sì, per quale motivo?
W.: No, non esistono in alcun modo. Volevo dei luoghi liberi da condizionamenti, in cui poter gestire lo spazio a mio piacimento.
Che siano collocati nel territorio Bresciano è una scelta che nasce da più ragioni: la prima è che volevo un luogo vicino alla Repubblica di Salò, per creare maggior senso di tensione e di paura, per imporre attenzione nei movimenti e rischio imminente. La seconda ragione è pratica, Brescia ha una provincia vastissima, con laghi, montagne, campagna per questa ragione esistono tante tipologie di bresciani, tutti diversi. In val Tenebrina ho immaginato di riunirli tutti e sfruttare le varie sfumature per dar personalità a un popolo che ho immaginato come una sorta di mix tra montanari e campagnoli, cittadini e abitanti dei laghi o dei fiumi.

3. La resistenza, i partigiani e le loro vicende sono il perno centrale intorno al quale ruotano gli eventi narrati. Leggendo tra le righe si nota una certa somiglianza alle atmosfere descritte da altri scrittori (Pavese ad esempio). Che influenza hanno avuto i racconti di chi ha vissuto quel periodo in prima persona nel suo romanzo?
W.: Johnny di Fenoglio, Anguilla di Pavese, Agnese della Viganò, Fausto e Anna di Cassola sono personaggi che hanno riempito di fantasia la mia adolescenza, mescolandosi in un luogo idealizzato fatto di campagne, montagne, boschi, piccoli paesi, vivendo e lottando a fianco di altri personaggi mai raccontati, quelli che io immaginavo uscire dai contorni rarefatti dello sfondo, unirsi ai protagonisti, assumerne le dinamiche di relazione con il territorio, il periodo, la condizione sociale.
Un mondo e un tempo che mi sembravano perfetti per ambientare la storia di Olmo.

4. Il nome del protagonista ne descrive i caratteri peculiari: Pietra a dire duro come una roccia, ma anche pericoloso e testardo. Olmo che nella simbologia delle piante rappresenta la protezione, la stabilità, simbolo di amicizia e di amore. Caratteristiche contrastanti ma conviventi in un unico individuo. Il protagonista è controverso (e non solo perché il vero nome è Benito, in netto contrasto con i suoi ideali), è uno di quelli che non si è del tutto sicuri di confinare tra i buoni o i cattivi. La sua bravura è quella di creare una sorta di empatia nel lettore che dimenticandosi di dargli una connotazione positiva o negativa si affezione all’uomo e non ai suoi estremi. Quanto di Olmo c’è in lei o nella sua vita?
W.: Purtroppo di me c’è poco in Olmo, condividiamo un certo spirito, la preferenza per il gelato al limone, e una discreta costanza. Nulla di più.
Però mi piacciono gli ideali di Olmo con il suo senso di giustizia che sta sopra la quotidianità, sopra l’interesse e sopra le necessità pratiche.
Olmo ha il coraggio di non essere ipocrita, che significa accettare di risultare cattivi, stupidi, spietati, etc. Olmo non si cura della forma e bada alla sostanza. Se ne frega se una piccola bugia poteva essere più digeribile di una cruda verità. Lui te la spiattella così com’è e per il resto sono affari tuoi.
È dura essere puri, perché si finisce per essere considerati cattivi.

5. Un dolce ha attirato al mia attenzione e nel romanzo, forse, è una delle poche cose che ha una base reale e rintracciabile. La scelta di non utilizzare luoghi reali ma comunque caratterizzarne l’area di appartenenza attraverso il cibo e quindi la cultura ad esso correlata mi ha incuriosito. Perché nascondere un luogo dietro un nome inventato per rivelarlo attraverso indizi ben definiti? Il Bossolà cosa rappresenta per lei?
W.: Il cibo mi piace. Anche troppo, infatti sono perennemente a dieta.
La cultura che le tradizioni culinarie sanno trasmettere è vasta e significativa. Passare attraverso il cibo è un po’ come scegliere il cavallo di Troia per far passare un messaggio che a livello razionale sarebbe scremato.
Il bossolo è significativo di un popolo ombroso e allegro al tempo stesso, individualista e generoso, creativo e inquadrato, che sa comandare ma anche ubbidire. I bresciani sono così, un popolo che decide di farsi conquistare da Napoleone perché chiede meno tasse dell’impero austroungarico e che poi molla Napoleone e si fa conquistare dalla Serenissima in un avanti e indietro lungo cinquecento anni. Un popolo che non ha avuto i grandi signori locali (come gli Sforza, i Malatesta, i Gonzaga età.) ma una miriade di medie famiglie.
Il bossolà è un po’ il simbolo di questa autonomia, infatti è una via di mezzo tra il pandoro veneto e il panettone milanese.

6. Il romanzo, se paragonato a uno strumento, ha un suo timbro distintivo, figlio di un linguaggio e di una cultura dei luoghi che fanno da culla alle vicende. Un grembo materno da dove tutto scaturisce e tutto ritorna. Mi incuriosisce sapere quale sia stato il “peso” della scelta linguistica, del tono e timbro generale adottato o se questo è il risultato dell’ambientazione storico culturale scelta e quindi scaturito con naturalezza nella stesura del racconto.
W.: Il timbro e la personalità sono una ricerca stilistica che nel mio lavoro di brand designer si trovano alla base di ogni scelta. Cercare, individuare e mantenere uno stile preciso è una pratica artigianale prima che artistica. Chi porta le ombre potrebbe essere ambientato anche negli anni settanta o negli anni ottanta e avrebbe un timbro simile ma adeguato ai tempi.

7. Ci sarà un seguito? Vedremo nuovamente i protagonisti?
W.: Certo che sì. Mentre noi siamo qui a parlare, Carraro e Olmo sono nascosti in una automobile dei Carabinieri e discutono di un problema che rischia di travolgere la tranquillità paciosa della Val Tenebrina.
Il mio intento fin dalla stesura del primo soggetto era di creare una serie. Si intuisce in alcune affermazioni di Olmo che c’è un’evoluzione in corso, che succederà qualcosa che sposterà in avanti la storia.
La Val Tenebrina e la città di Mugno sono luoghi predisposti a generare eventi tragici, ospitare attività d’ogni tipo, personaggi curiosi, storie contorte. In un mix tra città, campagna, montagna. Un mondo – rappresentato graficamente nella mappa inserita nel libro – dentro il quale i personaggi che ho creato sono pronti per entrare in scena.
Pini e Arenghi, con le loro battute strampalate, in primis.

Intervista a cura di Matteo Bordoni