Intervista a Natasha Korsakova

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Natasha Korsakova è una violinista e scrittrice di origine greco-russa. Dopo gli studi alla Central Music School del Conservatorio di Mosca, a 19 anni si è trasferita in Germania e ha continuato la sua attività concertistica, esibendosi come solista in tutto il mondo. È stata nominata “Artista dell’anno” in Cile e in Italia, e ha suonato per Papa Benedetto XVI in Vaticano. Oggi vive nel sud della Svizzera e visita spesso l’Italia, in particolare Roma, che ha scelto come teatro dei suoi romanzi gialli. Il secondo capitolo della serie del commissario Di Bernardo è stato da poco pubblicato nei Paesi di lingua tedesca, dove la serie ha avuto un grande successo anche in edizione audio.

Il primo capitolo della serie del commissario Di Bernardo si intitolava L’ultima nota di violino, ha vinto il premio speciale Edoardo Kihlgren Opera Prima (Piemme 2021).

Uscito da pochi mesi il nuovo romanzo, sempre pubblicato da Piemme, intitolato Ultimo concerto romano (2023). Al termine di alcuni capitoli ci sono dei QR Code. inquadrandoli con il cellulare si possono ascoltare alcuni brani musicali presenti nel libro.

Abbiamo incontrato l’autrice in occasione della sua visita a BookCity Milano 2023 e le abbiamo fatto qualche domanda:

1. Secondo romanzo con protagonista il commissario Di Bernardo, questa volta alle prese con un pianista trovato morto. Il libro si svolge in due archi temporali, come il precedente “L’ultima nota di violino”. Nel prologo descrivi il rituale della ‘ndrangheta calabrese. Ci vuoi parlare della scintilla che ti ha dato l’idea per questo nuovo romanzo?
K.: Anche se sembrerà sorprendente, in prima linea è stato il Concerto per pianoforte Nr. 2 di Rachmaninov. Il mio primo romanzo “L’ultima nota di violino” è un giallo violinistico. Anche il secondo doveva svolgersi nel mondo della musica, ma questa volta ci voleva un altro strumento. Così ho pensato al pianoforte e di seguito al concerto di Rachmaninov, che non avevo mai potuto suonare, visto che sono violinista. Quindi ho deciso di scrivere una storia, dove questa bellissima musica prende un ruolo importante.
Riguardo al prologo con il rituale della ‘ndrangheta, è collegato con il passato del mio protagonista, il Commissario Di Bernardo. Prima di trasferirsi a Roma, Di Bernardo ha lavorato diversi anni in Calabria, combattendo la ‘ndrangheta, e ha avuto esperienze a dir poco traumatizzanti. L’idea del prologo era di creare una specie di mix tra realtà (anni 1950) e un incubo del commissario. Anche se non all’inizio, più avanti nella storia si capisce sempre di più la connessione tra i due archi temporali – quelli della Calabria nel passato e la Roma dei nostri giorni.

2. I romanzi sono trappole e gli scrittori sono i carnefici che li allestiscono. Perché gli scrittori sono curiosi di capire come il loro personaggio riuscirà a cavarsela, quali soluzioni escogiterà per tirarsi fuori dall’imboscata nella quale è caduto, per verificare se e quanto manterrà la calma o se invece impazzirà (cit.). Che rapporto hai con il tuo personaggio?
K.: Troppo stretto, purtroppo, e non solo con uno! Devo dire che proprio nel romanzo “Ultimo concerto romano” ho dovuto uccidere una persona che mi stava molto simpatica, e non esagero che dopo questo “atto” sono stata male per diverse settimane. I personaggi diventano miei amici, a volte perfino un’anima gemella. Poi, all’improvviso mi ritrovo a pensare che, in realtà, Dionisio Di Bernardo o Roberto Del Pino non esistono. O forse invece lo stesso sì, seguendo il pensiero affascinante del filosofo irlandese George Berkeley: “Esse est percipi?”

3. Di Bernardo non è insensibile alla bellezza e alla profondità della musica classica. Un modo per fargli affrontare con più leggerezza i casi di cui si deve occupare o un legame indissolubile con l’ambiente che più conosci meglio?
K.: Probabilmente entrambe le cose. All’inizio, non direi che la musica classica gli interessasse tanto. Il suo rapporto è cresciuto strada facendo, proprio dopo che viene “buttato” nel mondo dei musicisti a seguito di un caso di omicidio che deve risolvere – un mondo per lui nuovo, sconosciuto. Per fortuna, Dionisio presto riesce a scoprire e percepire l’incanto e la profondità di questa musica, ispirato anche da una donna violinista. Sicuramente è stato significativo il fatto di riuscire a muovermi bene e sicura nel mondo di musicisti, visto che ci sono nata e cresciuta. Riguardo alle mie storie, consideravo molto importante cercare di descriverlo nel modo autentico: né peggio né meglio che in realtà.

4. Il libro è stato scritto in più paesi: questo non ti ha impedito di snaturarlo nella sua italianità. Come sei riuscita a non farti influenzare dai luoghi in cui ti trovavi?
K.: Direi semplice: durante i viaggi scrivevo quasi sempre in aereo o nella stanza di un albergo. Come spesso capita durante le tournée, non avevo tanto tempo di fare ricerche della città o passeggiate lunghe, come a Roma, per “catturare” ispirazioni per strada, visto che la storia, volendo, si può trovare a ogni angolo.
Devo però anche ammettere che dall’inizio volevo creare una storia e dei personaggi che avessero l’ambientazione in Italia, ma che potessero svolgersi in ogni altro paese.

5. Roma è molto presente nel tuo romanzo, definita da scrittori romani “un magnifico disastro, la più noir d’Italia”. È più facile ambientare le storie nelle città che si conosce meglio o è la città stessa che si presta a questo tipo di narrazione?
K.: Ritenevo importante di piazzare il primo romanzo in Italia, causa la famosa storia della liuteria degli strumenti ad arco. Il prologo in effetti si svolge a Cremona: città ideale per un racconto violinistico, ma per il resto del giallo, per il mio sentimento, un po’ piccola. Roma invece è stata la decisione piuttosto spontanea, al di fuori del momento. E forse l’atmosfera magica (e non solo) di questa città davvero è stata predestinata alla storia, visto che ormai ho ambientato tre gialli nella città eterna!

6. “Pochissimi si chiedono cosa ci sia oltre il palco, ascoltano la musica e basta.” Questo lo hai dichiarato in una intervista. Ci spieghi cosa significa per te essere sul palco?
K.: Non è facile da descriverlo, ci provo!… Essere sul palco, particolarmente durante i momenti più magici, per me significa creare un ponte con il pubblico, cercare di riuscire a “prenderlo” e portarlo via con la musica, via dai problemi di ogni giorno e curare l’anima, almeno per alcuni minuti, ma volentieri anche per molto di più.

7. “La paura è un istinto senza il quale l’umanità non sarebbe sopravvissuta. Mentre noi ci soffermiamo a riflettere se questa spiacevole sensazione sia giustificata, lei ci ha già divorato da dentro.” Cosa rappresenta la paura per Natasha?
K.: Ho un rapporto con la paura abbastanza continuativo: come per esempio spesso in aereo, visto che ho molta paura di volare. Oppure essendo in una zona sismica devo spesso pensare ai terremoti. All’età di 15-16 anni avevo “Lampenfieber” (detto in Tedesco) che significa qualcosa come paura del palcoscenico. Piuttosto negativo allora, quindi fui molto sollevata quando questo problema passò. Ma curiosamente, leggendo la domanda, in un primo momento dovevo pensare ai nostri gatti! È davvero affascinante vederli come veri predatori durante la caccia, ma appena sentono il pericolo, l’istinto è fortissimo di salvarsi. Quindi di sicuro la paura non rappresenta solo un sentimento negativo e inquietante, ma anche qualcosa che ci potrebbe salvare nel momento più difficile – basta solo poterla affrontare.

Grazie della tua disponibilità e aspettiamo di ritrovare il commissario Di Bernardo prossimamente!

Grazie mille! Anche Dionisio e io lo speriamo tanto!

Intervista a cura di Cecilia Lavopa